Verso Natale sempre più disuguali

Continuano a crescere le distanze tra la classe ricca dell’Italia e il resto della popolazione, sempre più in difficoltà. Fenomeno presente anche in altre nazioni, ma da noi ha assunto dimensioni preoccupanti. Parola del sociologo Mauro Magatti
Aumentano in Italia le disuguaglianze sociali

Benvenuto dicembre. Ma non aspettarti calorose accoglienze. Non è solo un fatto meteorologico. Anzi, non lo è proprio e le rigide temperature non c’entrano affatto. Lo sbrigativo saluto è la conseguenza di una crisi con tante facce, non solo economica, che alleggerisce il portafoglio familiare e appesantisce la testa. Il tuo arrivo porta con sé scadenze che implicano ulteriori emorragie finanziarie, mentre la prospettiva delle feste negli ultimi giorni, da Natale a fine anno, non alletta. Manca sia la possibilità di spendere, che la propensione mentale all’allegria. Cosa c’è da festeggiare, quando la ricchezza, anche in quest’anno che volge al termine, ha continuato ad affluire verso chi la detiene in quantità? Il sociologo Mauro Magatti segue con attenzione la vicenda sociale e con lui andiamo a indagare gli effetti su questo “freddo” dicembre degli italiani. La crisi infatti continua ad accentuare le disuguaglianze all’interno del nostro Paese. Ma resta prevalente una lettura unicamente economica del grave fenomeno, considerato quasi ineluttabile, suscitando così un senso collettivo d’impotenza, mentre si dovrebbe fare di tutto per contrastarlo.

Prof. Magatti, non le sembra un approccio riduttivo?
«Certo. La crisi economica, arrestando l’espansione che si era prodotta nei due decenni precedenti, ha radicalizzato un problema, che però è figlio della stagione precedente, quando la possibilità di accedere alle opportunità create dalla globalizzazione è stata selettiva. Così, chi disponeva di risorse economiche e finanziarie, chi possedeva risorse cognitive e scolastiche, chi aveva risorse relazionali aveva potuto usufruire di quella grande espansione, mentre invece tutta la parte di popolazione meno dotata in ogni senso aveva fatto fatica a stare al passo con quel processo di trasformazione. Questo vale per i gruppi, gruppi sociali e classi, ma vale anche per i territori».

La classe media è spesso scivolata ai limiti della povertà. La precarietà ha investito tantissime famiglie. Effetti accaduti anche in tanti altri Paesi. Ma perché da noi sono più violenti?
«Il fenomeno delle disuguaglianze è stato registrato all’interno di tanti Paesi e anche tra Paesi rispetto al periodo immediatamente precedente la crisi. In Italia si è prodotto invece un duplice effetto. Da una parte, è rimasta indietro rispetto ai Paesi più avanzati, arretrando sotto il profilo della “potenza” – ovvero, impoverendosi in tecnologia, formazione, ricerca – e limitandosi a una “volontà di potenza”, connotata da individualismo e consumismo. Dall’altra, all’interno del Paese, alcuni si sono avvantaggiati di quella stagione storica di sviluppo, mentre altri hanno fatto fatica. La crisi ha fatto semplicemente esplodere il problema, che veniva in qualche modo mascherato dall’espansione».

Vede segnali di inversione di tendenza in quest’ultimo periodo?
«Il governo sta cercando di tamponare le falle, con interventi che sono necessari per evitare il peggio. Non vedo tuttavia le condizioni per aprire una stagione di rilancio che aiuti il Paese a prendere consapevolezza dei problemi, a capire che non ci si salva da soli e a superare almeno un po’ quelle ideologie che hanno dominato negli ultimi venti anni e che hanno ruotato attorno a un individualismo radicale e a un consumerismo spinto».

La crisi ha ingigantito ogni sorta di periferia. Papa Francesco le ha indicate come luoghi cruciali e da allora se ne parla in ogni circostanza. Non le sembra che questa ripetizione possa ridurre questa priorità a una faccenda di buoni sentimenti e a frequentazioni riservate ai volontari, evitando poi di inserire quell’obiettivo nelle strategie politiche e sociali?
«La povertà, la malattia, la mancanza di senso sono il segno della contraddizione che l’uomo e la società si portano costantemente dentro. Stare vicino ai poveri, guardare i poveri è anche un modo per capire le contraddizioni di sé stessi e del proprio modello sociale. Stare vicino ai poveri, da questo punto di vista, è sempre un insegnamento, perché hanno sempre un discorso da farci e perché ci fanno vedere, a rovescio, la nostra realtà. Quindi è importante adesso raccogliere l’invito a recarsi nelle periferie come singoli e come gruppi. Saperli ascoltare è altrettanto indispensabile. Se li ascoltiamo, infatti, se gli stiamo vicino, possiamo correggere noi stessi e anche la società con i suoi meccanismi d’ingiustizia. Si parte da una vicinanza, come indica il papa, ma quella prossimità non è solo un atto di benevolenza del ricco verso il povero. In realtà, è una vicinanza che cambia il ricco e, auspicabilmente, aiuta anche il povero, attraverso opportuni interventi strutturali, a superare la sua condizione. Ma, tra i due, chi ha più bisogno di cambiamento è il ricco e la parte di società che rappresenta».

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