Il Venezuela è riuscito a debellare l’iperinflazione

Dopo aver superato il 130 mila%, il carovita in Venezuela è sceso a livelli più accettabili e quest’anno dovrebbe mantenersi attorno al 36%. C’è molto ancora da fare.
Nel cartello si legge "per le pensioni vitalizie, adesso", durante una protesta che chiede un aumento dei pagamenti in un'inflazione da record a Caracas, Venezuela, mercoledì 23 marzo 2022. I pensionati in Venezuela ricevono circa 30 dollari al mese. (Foto AP/Ariana Cubillos)

Per comprendere le ragioni dell’esodo di 6/7 milioni di venezuelani, che in questi anni hanno preferito emigrare all’estero, basterebbe il dato dell’inflazione alla fine del 2018, quando superava il 130 mila%. La crisi era certamente iniziata prima, e diremmo che l’arrivo al potere, nel 2013, del presidente Nicolás Maduro ha aggiunto una quota di incertezza e instabilità ulteriore ad una situazione già alquanto compromessa, facendo scivolare la realtà socioeconomica a livelli di ingovernabilità. Non hanno aiutato a migliorare la situazione le dure sanzioni economiche che avevano l’obiettivo di strangolare il governo chavista, dimostrando ancora una volta che si tratta di misure dotate di un certo cinismo, un poco come i bombardamenti di obiettivi civili in guerra, per provocare lo scontento e la reazione contro i propri governanti. Ma ciò che in realtà accade è che si affama la gente e la si priva di prodotti di prima necessità, senza che appaiano risultati politici di rilievo: Maduro è ancora al suo posto, mentre l’opposizione appare sempre più indebolita, fondamentalmente perché non è migliore del governo al quale si oppone in quanto a democraticità.

La buona notizia, da tempo non ne arrivavano da Caracas, è che l’iperinflazione sarebbe ormai sotto controllo. L’indice dei prezzi di febbraio è sceso del 2,9% e pare che la proiezione del carovita nel 2022 sarà attorno al 36%. Alla fine dello scorso anno era ancora al 686%. Se si vuole, si tratta di un risultato decisamente migliore di quello ottenuto in Argentina dove, pur in migliori condizioni economiche, il governo non riesce a scendere al di sotto del 50% annuale.

Il risultato “miracoloso” è stato ottenuto in modo relativamente semplice: prima di tutto, la divisa è stata decurtata in più occasioni di ben 14 zeri, alla ricerca di un allineamento col dollaro, moneta sempre di riferimento. Si è poi smesso di sussidiare beni come la benzina (si faceva il pieno con 40 centesimi di euro), cosa che provocava una gigantesca emissione di moneta che ha portato il deficit fiscale (differenza tra entrate ed uscite dello stato) attorno al 20% del Pil. Ciò ha consentito di adeguare i prezzi al livello del loro valore commerciale. Il cambio è rimasto stabile negli ultimi quattro mesi, il che ha di fatto consentito di dollarizzare l’economia. Ed a questo ha contribuito senz’altro l’elevato livello di rimesse dei venezuelani all’estero per aiutare le loro famiglie, con una cospicua entrata di moneta forte (dollari).

Il governo ha dunque rinunciato a mantenere sotto stretto controllo il mercato dei cambi, consentendo alla popolazione di utilizzare indifferentemente la divisa nazionale (bolìvar) o i dollari nelle transazioni. D’altra parte si è privilegiata l’apertura commerciale, eliminando dazi ed iva alle importazioni. Insomma, un silenzioso giro economico decisamente liberale, avendo constatato che il controllo esasperato sulla produzione di beni e servizi ha portato ad un fallimento colossale di tale impostazione. Infatti, questo cambiamento ha avuto come risultato quello di una parziale riattivazione e un certo ritorno dell’economia a livelli di maggiore prevedibilità.

Ovviamente le difficoltà non mancano, prima fra tutte la convenienza di importare prodotti invece di produrli localmente. Si tratta di uno dei nodi dell’economia nazionale, dove va riscoperta la funzione dell’imprenditoria quale motore del mercato, a sua volta legata alla cultura del lavoro. Per molti anni si è vissuto di sussidi e di denaro facile, in un Paese ricco, disposto ad importare di tutto più che a produrlo. Lo aveva capito anche il defunto Hugo Chávez che la mancanza di cultura del lavoro e di produzione interna erano un problema.

La dollarizzazione è poi una medicina utile in questi frangenti, ma a lungo termine è una misura rischiosa, perché mantiene una certa sfiducia nella moneta locale e perchè importa inflazione in dollari. L’economia è anche, e soprattutto, fiducia nelle regole del gioco e nella stabilità.

Sarà possibile uscire dal vicolo cieco ideologico del chavismo per tornare a una democrazia capace di sviluppo?

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