Van Thuan, uomo di croce e di speranza

Avviata la sessione diocesana della causa di beatificazione e canonizzazione del cardinale vietnamita.
van thuan

L’aula della Conciliazione del Palazzo Lateranense, a Roma, comincia a riempirsi ben prima delle 12 di venerdì 22 ottobre. In silenzio, circondati dagli spettacolari affreschi della sala, prendono posto cardinali, vescovi, rappresentanti dell’associazionismo cattolico, sacerdoti e suore, tanti vietnamiti con i loro vivaci abiti della festa. Il sorriso è stampato sulle labbra, l’emozione è palpabile. Quando si dà ufficialmente l’avvio alla sessione diocesana della causa di beatificazione e canonizzazione del cardinale vietnamita e servo di Dio François-Xavier Nguyên Van Thuân, in sala non ci sono più posti, nemmeno in piedi.

 

Alla presenza del presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, il card. Peter K.A. Turkson, il card. Agostino Vallini, vicario del papa per la diocesi di Roma, presenta la figura di questo martire della fede, rinchiuso in isolamento per tredici anni nelle prigioni vietnamite dopo la sua nomina a vescovo di Saigon, con l’accusa di essere al centro di un complotto tra Vaticano e imperialisti.

 

«Un testimone della croce», lo definì Giovanni Paolo II. «Un uomo di speranza», lo ha chiamato Benedetto XVI. Un uomo di fede che, amando i suoi nemici, le guardie carcerarie, li trasformò in amici. Riuscì a convincere un agente a fargli intagliare una piccola croce di legno, che nascondeva nel sapone, mentre un altro gli procurò un pezzo di filo elettrico con cui costruì una catenella, per appendere al collo la croce. Una croce che, rivestita di metallo, ha sempre penzolato al suo collo, anche dopo la nomina a cardinale.

 

Dopo aver deciso di cambiare gli agenti ogni due settimane, per non farli convertire da quel “pericoloso” vescovo, le autorità vietnamite decisero di non avvicendarli più altrimenti «contaminerà tutti i poliziotti». Tante le esperienze di fede vissute da Van Thuan, che dopo un iniziale scoramento, si abbandonò totalmente a Dio e alla Madonna, trasformando la sua angusta cella in una “cattedrale”, nella quale, appena poteva, celebrava la messa con tre gocce di vino e una di acqua, versate nella mano.

 

Ma qual è stato – si è chiesto Vallini – il segreto che ha permesso a Van Thuan di affrontare prove così dure? «Una parte importante è da attribuire all’educazione e alla testimonianza ricevuta in famiglia, specialmente dalla mamma» e «all’esempio dei suoi cari che non indietreggiarono di fronte alle minacce e alle sofferenze».

 

Tra i suoi antenati, si contano i primi martiri vietnamiti. Suo zio Ngo Dimh Diem, presidente del Vietnam e monaco oblato benedettino, fu ucciso in un colpo di Stato militare. Van Thuan fu confortato dalla madre. «Tuo zio – gli disse– ha dedicato tutta la vita al suo Paese e non vi è nulla di straordinario che sia morto per esso. Come monaco ha dedicato la sua vita a Dio e non vi è nulla di straordinario che sia morto quando Dio lo ha chiamato».

 

Da seminarista scelse tre santi come modelli di vita: santa Teresa di Lisieux, dalla quale apprese “la via dell’infanzia spirituale” e a riporre fiducia nella preghiera; san Giovanni Maria Vianney, che gli insegnò l’umiltà, la pazienza e il valore dello sforzo tenace; e san Francesco Saverio, da cui imparò l’indifferenza davanti al successo o al fallimento. Ordinato sacerdote nel 1953, si ammalò presto di una grave forma di tubercolosi. Guarito inspiegabilmente, Van Thuan propose a se stesso di fare sempre la volontà di Dio.

 

Giunto a Roma per completare gli studi, visitò Lourdes e Fatima, interiorizzando i messaggi della Vergine e, in particolare, quello rivolto a Bernadette: «Non ti prometto di renderti felice in questo mondo, ma nell’altro. Nel 1967, a 39 anni, fu nominato vescovo di Nha Trang e scelse come motto “gaudium e spes”, gioia e pace. «Uomo di ricca e profonda spiritualità – si legge nella biografia realizzata dal Pontificio consiglio della giustizia e la pace – trovò grande ispirazione nell’incontrare, nel 1974, Chiara Lubich (fondatrice del Movimento dei focolari, ndr) e la spiritualità dell’unità. La sua scelta di Gesù crocifisso e abbandonato, cardine di quella spiritualità, come colui da amare ed imitare, gli diede la forza per essere un testimone eroico della speranza e della carità, sempre, ed in modo indescrivibile durante i lunghi anni bui di prigionia», cominciati nel 1975.

 

Terminata nel 1988 la prigionia, nel 1991 venne a Roma e Giovanni Paolo II lo nominò prima vicepresidente e poi presidente, del Pontificio consiglio della giustizia e della pace. Nel 2001 fu nominato cardinale. Dopo una lunga malattia, si spense il 16 settembre 2002.

 

«Il card. Van Thuan – commenta Maria Voce, presidente del Movimento dei focolari – ha testimoniato che è possibile raggiungere la santità in qualunque situazione. In fondo, santità significa rispondere sì a quello che Dio ci chiede, con la certezza che sia amore». «Il servo di Dio (Van Thuan) – conclude il cardinale Vallini – è stato un vero discepolo di Gesù, che ha fatto della sequela di Cristo l’unica ragione di vita, che ha ricondotto tutto a Dio, sapendo riconoscere in ogni esperienza la mano provvida del Signore. Il chicco di grano, macerato nella terra, ha portato frutto».

 

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