Uno Stabat alla Scala

Una musica autentica. La bellezza dell’esecuzione nella direzione di Chung, così matura, spirituale, interiore

Tempi di pandemia, di sospensione, di dolore. Il Teatro alla Scala reagisce proponendo nella vasta aula – vuota di pubblico – del Piermarini lo Stabat Mater di Rossini. Un lavoro di un uomo in sofferenza, una celebrità ma dall’anima in crisi – lo scriverà in dieci anni ad intervalli – che medita sulla Madre di tutti i dolori.

C’è una lunga tradizione musicale prima di Rossini, di cui un culmine è il sublime Stabat del giovanissimo Pergolesi. Nell’animo del Pesarese si muovono tanti elementi, non solo musicali – l’amato Mozart – ma umani: l’eco dei trionfi operistici, la mestizia del presente, il ricordo di una religiosità lontana, ma mai sopita. Ecco perché l’inizio con il coro e il quartetto dei solisti è tanto basso, sussurrato, come una processione lentissima con squarci orchestrali di acuto dolore.

E se l’aria del tenore (René Barbera, voce fluida) Cuius animam gementem ricorda il passato belcantistico – ma così sfumato nella direzione meravigliosa di Myung-Whun-Chung –, il duetto Quis est homo (soprani Rosa Feola e Veronica Simeoni) dice tutta la soave leggerezza di cui Rossini è capace sempre, anche nella sofferenza: il troppo dramma gli e ci farebbe più male.

Il basso cantabile (Alex Esposito) melodizza la serietà dell’aria Pro peccatis – si direbbe un lieve tremore di coscienza rossiniana –, fino al quartetto invocante Eja Mater che certo ricorda mosse operistiche ma che cantato con cuore e accompagnato da una orchestra soffice fanno respirare e quasi consolano l’anima oppressa dalla paura della morte.

L’aria del soprano e il coro Inflammatus hanno qualcosa di tragico e solenne insieme. Rossini si svela e il fuoco che gli arde finalmente si rivela come luce e fiamma, quasi strazio, per quanto misurato. Nell’infinito Amen è un’autentica tempesta emotiva che si scatena con forza, gridando, invocando, lanciando dolore infiammato fino alla chiusura fra gli ottoni schierati come in una battaglia.

Musica sacra o profana? Discussioni inutili. La musica vera è sempre “umana” e ciò significa che raccoglie ogni dimensione dell’uomo. La bellezza dell’esecuzione scaligera del 6 marzo – ora su Youtube – sta in particolare nella direzione di Chung, così matura, spirituale, interiore.

Credo che qui il maestro coreano sfiori la perfezione, meglio di altri interpreti, pur grandi. La morbidezza del suono, la sicurezza degli attacchi, il gioco delle sfumature, dei timbri strumentali, rendono quest’opera un miracolo di equilibrio, di rossiniana atmosfera alta, infine di preghiera.

Smorzando ogni virtuosismo barocco, tessendo la tela del coro e dei solisti con cura, si entra nella dimensione della fragilità umana, dell’invocazione commossa e speranzosa. Chung sa e ce lo dice che la musica autentica salva, se fatta come qui con rigore e amore.

 

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