“Unite, vittoria!”

“Quel grido “Unite, vittoria!” l’hanno concertato tra loro le ragazze – spiega Marco Bonitta -. Io l’ho sentito per la prima volta assieme a voi, e mi sono adeguato volentieri. Il significato è chiaro: insieme si vince, più evidente di così… “. In quel grido, dunque, sta il segreto di uno dei successi azzurri più belli degli ultimi anni: il titolo mondiale femminile della pallavolo, conquistato a Berlino. Sul podio le atlete azzurre hanno idealmente portato con sé le 160 mila praticanti la pallavolo in Italia, la maggiore disciplina sportiva al femminile. “È chiaro che è importante poter contare su una base così larga – commenta Bonitta -, anche se poi dalla quantità bisogna passare alla qualità, fondamentale per puntare in alto”. Chi ha creduto per primo nelle potenzialità del volley rosa in Italia? “Penso che la spinta più grossa sia stata data da Julio Velasco”, ammette Bonitta. Il tecnico argentino, che tutti ricorderanno per aver guidato i maschi ad una serie impareggiabile di successi, era passato al settore femminile, a dire il vero senza grandi risultati, ma aprendo una strada: “Sì, ha convinto moltiallenatori che esiste una sola pallavolo, dimostrando che tra quella maschile e quella femminile le differenze sono minime”. A rendere spettacolare anche il volley femminile ha contribuito non poco il fatto che nei nostri club giocano oggi molte atlete straniere di altissimo livello: sembra che la loro presenza, al contrario di quanto è avvenuto, ad esempio, nel calcio, abbia aiutato la crescita delle nostre atlete, anziché soffocarne le potenzialità… “Sicuramente dal punto di vista della qualità – spiega Bonitta – la presenza di straniere, soprattutto di straniere di primissimo livello, ha dato la possibilità alle nostre di confrontarsi con una qualità superiore, uno stimolo ad imitarle e sfidarle. Rispetto al calcio va detto che le pallavoliste italiane non erano così forti: aprire le frontiere ha rappresentato un affare. È chiaro che questo processo non è infinito: quando le italiane potranno garantire un livello di qualità molto alto si dovrà chiudere”. Molti sostengono che conoscere il loro gioco vi abbia aiutato… “In uno sport di squadra ed in particolare nella pallavolo si deve costruire il gioco sulle attitudini delle proprie atlete, prima che sulle caratteristiche delle avversarie. Conoscere molte giocatrici straniere è un’arma a doppio taglio: noi conosciamo bene loro, ma anche loro conoscono noi”. Resta il fatto che ha invitato le sue atlete a stare molto attente nel chiamare gli schemi, perché le avversarie conoscevano i vostri segni. “Si, nella finale – ammette Bonitta -, quando la Pibbs, un’atleta degli Usa che non giocava, da dietro al campo si accorgeva degli schemi (indicati solitamente con le dita dietro la schiena n.d.r.) della nostra alzatrice. A quel punto le ho detto di chiamare a voce tutto quello che poteva e niente coi gesti”. Gli addetti ai lavori hanno letto una sua forte impronta su questa squadra. Quali sono stati gli obiettivi che lei si è posto nel suo lavoro? “Ho fatto particolarmente attenzione all’aspetto mentale di queste ragazze, aiutandole a non nascondersi dietro un dito, a non cercare alibi, a conoscere soprattutto sé stesse per poter conoscere il gruppo. E poi a dialogare, magari litigando qualche volta, ma soprattutto a chiudere insieme, in pochissimo tempo, qualsiasi problema. Ho cercato di aiutarle ad essere umili, ad avere rispetto di ogni avversario. Ho insegnato loro forse anche ad essere un po’ più equilibrate: prima erano molto euforiche in alcuni momenti e depresse in altri. Io credo che nello sport debba esserci equilibrio in tutte le cose, e conservarlo fino ad obiettivo raggiunto. Ma anche quando il risultato non è stato raggiunto, perché nello sport c’è anche il perdere”. L’età media bassa di questo gruppo sembra aprire delle prospettive interessanti. “Certo, questo è un gruppo che può aprire un ciclo. Un ciclo ben inteso non di vittorie, perché nessuno può garantire la vittoria e tutte vorranno batterci, ma sicuramente un ciclo ad alto livello: questa squadra può competere per vincere qualsiasi manifestazione da oggi in poi. Poi se lo vincerà o meno sarà il campo a dirlo perché il bello dello sport è proprio questo”. Molti ragazzi, e soprattutto ragazze, il lunedì successivo, a scuola, hanno chiesto di poter fare pallavolo… Che significato pensa potrà avere questo successo sulla pallavolo femminile in Italia? “È un fatto positivo – conferma il tecnico azzurro -, però penso che il messaggio forte che vogliamo dare non sia solo quello di una pallavolo di base, ma anzitutto quello di una cultura sportiva femminile che in Italia deve ancora crescere. Moltissime ragazze tra i 16 e 20 anni smettono non solo la pallavolo, ma di fare sport, in generale. Questo successo potrà forse aiutare a capire che anche le donne possono considerare lo sport come una professione, e impostare proprio la vita su una carriera sportiva”.

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