Un’estate accanto a te

Le ferie possono essere un miraggio per le persone fragili, ma c’è una fitta rete di relazioni che accoglie e sostiene

L’estate di chi non va in vacanza ha gli occhi tristi di Mario, che risiede da sfollato lontano dai luoghi dove ha vissuto tutta la vita. Ha il fisico provato di Francesco, che nel napoletano dovrà aspettare mesi per una colonscopia. Ha le mani forti di Sandro, che passerà le ferie cucinando per gli immigrati di Ventimiglia, e le braccia accoglienti di Mariuccia, che a Comiso aiuta le donne vittime di violenza. Sono storie di incontri e di mani che si stringono, creando relazioni che vanno a tessere le reti di sostegno per chi è povero (vedi paragrafo “Un aiuto per uscire dal disagio”), ammalato, emarginato (vedi paragrafi “Amicizia oltre le sbarre” e “Le ferie le passo cucinando per i migranti”).

«I vantaggi delle risorse relazionali – spiega l’Istat nel Rapporto annuale sulla situazione del Paese 2018 – si estendono oltre i confini dell’individuo e della sua famiglia». Stimolando il senso di appartenenza, «promuovono il senso civico e favoriscono la fiducia interpersonale e verso le istituzioni», con effetti importanti sull’intera società.

«I rapporti familiari sono in crescita – afferma Daniela Del Boca, docente di Economia politica all’Università di Torino – e diventano più forti nel momento in cui il sistema sociale privato è troppo costoso e quello pubblico non è disponibile». Fortunatamente l’Italia può contare su una rete diffusa di volontariato, ma bisognerebbe ridisegnare le città per renderle più vivibili, innanzi tutto per gli anziani. «La nostra – afferma Del Boca – è una società che invecchia e deve diventare più preparata demograficamente, perché già sappiamo tra 20 anni quanti anziani ci saranno». A ridurre l’età media della popolazione contribuiscono gli immigrati, che, pur comportando un costo legato all’accoglienza, apportano anche dei vantaggi sociali. «Gli stranieri sono giovani e – sottolinea Del Boca – hanno una natalità più alta della nostra, che è bassissima, quindi aiutano a compensare il declino e lo squilibrio demografico» nel nostro Paese.

 

La solitudine è… un amico in affitto

L’Italia, secondo i dati Istat, conta 168,7 anziani, con una o più patologie croniche, ogni 100 giovani ed è seconda solo al Giappone per l’invecchiamento della popolazione. Quelli che non vivono insieme ai familiari restano soli per circa il 70% del tempo in cui sono svegli e la penuria di relazioni li porta spesso alla solitudine e alla depressione. Una condizione che colpisce anche altre fasce di età: lo sanno bene in Giappone, dove è ormai prassi “l’affitto” di amici e familiari. I più richiesti sono uomini e donne, chiamati a fare da padri o madri, e coetanei ingaggiati per le feste o per scattare una foto da postare sui social network. In Italia quasi una famiglia su 3 è costituita da una sola persona, mentre sono circa 3 milioni le persone che dichiarano di non avere una rete esterna su cui contare. Una condizione che accomuna tanti Paesi occidentali. In Gran Bretagna, ad esempio, la solitudine affligge circa 9 milioni di persone, soprattutto anziani, disabili, madri single, rifugiati. Una situazione che ha portato la premier Theresa May a creare un apposito ministero perché la solitudine ha un “impatto devastante” sulla salute  mentale  e aumenta il rischio di morte prematura. Una condizione che si può contrastare con l’impegno sociale e il volontariato, uscendo fuori dai propri spazi per aprirsi agli altri. Nell’oratorio di Santa Maria Ausiliatrice a Roma, ad esempio, chi ha un talento lo mette in comune, per insegnare musica, cucina, bricolage. Mentre la Caritas, con l’iniziativa “Quartieri solidali”, assicura in sempre più parrocchie l’assistenza, anche d’estate, alle persone anziane sole. Sull’Appia, del resto, ancora si ricorda la cena preparata da alcuni agenti intervenuti d’urgenza nell’appartamento di Jole e Michele, due sposi di 89 e 94 anni. Piangevano così forte che i vicini avevano chiamato il 112. Ma la loro era sofferenza per la solitudine e un po’ di tempo passato con i poliziotti era bastato a rincuorarli.

Una passerella per il mare

«Non sai quanto è brutto, per una persona disabile, essere costretti a stare in casa». Soprattutto d’estate, quando si soffoca e si vorrebbe andare al mare, ma non è possibile se non c’è un accompagnatore. «Io – racconta Maria, 50 anni – sono fortunata: guido, posso spostarmi, ma sono poche le spiagge attrezzate per le persone con disabilità. Spesso non ci sono le passerelle, altre volte si fermano a decine di metri dalla riva». Maria trascorre le ferie a Marina di Camerota, in provincia di Salerno, dove la spiaggia è accessibile.  Per  chi resta a casa, invece, «l’assistenza diminuisce molto, perché si riducono le prestazioni. È tutto il sistema che in Italia – spiega – non funziona bene e si va avanti con l’aiuto di familiari, amici. Anche i “nemici” danno una mano!». Secondo l’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni, in Italia ci sono circa 4.360.000 persone con disabilità, la maggior parte delle quali ha più di 65 anni e si trova nel Sud. Lo stesso Meridione dove, con le cure prestate dalla sanità pubblica, la speranza di vita è di circa 4 anni in meno rispetto al Nord. Oltre un terzo delle persone con disabilità vive solo, un quarto con un coniuge e senza figli. «Si tratta – si legge nel rapporto – di dati molto preoccupanti poiché palesano una diffusa condizione di vulnerabilità». Alle persone con disabilità, aggiunge Maria, «voglio dire: non vi fermate. Se ci fermiamo, abbiamo perso in partenza. Dobbiamo lottare per i nostri diritti».

Società e gratuità

«La società – afferma Bernhard Callebaut, docente di Fondamenti di scienze sociali presso l’Istituto universitario Sophia di Loppiano – funziona più col dono che col contratto». Una ricerca condotta in ambito sanitario, ad esempio, ha dimostrato l’importanza del  lavoro  gratuito donato dal personale sanitario. Senza quelle ore in più,  l’ospedale si bloccherebbe subito. «Generalmente – aggiunge il sociologo –, c’è la tendenza ad aspettarsi tutto dalla politica. Invece è più interessante vedere cosa nasce dal basso», dalla generosità quotidiana della gente, dai gruppi sociali che si aiutano a vicenda, dalla cura rivolta agli anziani, al proprio quartiere, alla propria città: iniziative che mostrano il vero stato di salute di una società e che lo Stato dovrebbe difendere, promuovere e valorizzare.

 

Amicizia oltre le sbarre

di AURORA NICOSIA

È dello scorso aprile un rapporto sulle carceri in Italia reso noto dall’associazione Antigone, che traccia ancora una volta un quadro desolante e preoccupante. Sovraffollamento al 115%, un detenuto su 3 in attesa di sentenza, il 40% di recidiva. È allarme per quel che riguarda i suicidi: già 11 nei primi 3 mesi del 2018, le condizioni igieniche sono spesso precarie, le attività di recupero scarse o inesistenti.

Se ci sono dei luoghi nel nostro Paese dove l’estate sarà dura, sicuramente fra questi ci sono le carceri. E ciò riguarda non solo i detenuti, ma anche chi si occupa di loro, nel tentativo, impegnativo, di rendere meno opprimente il periodo di detenzione. Elisabetta Santolamazza, responsabile Area del trattamento della casa circondariale di Castrogno, vicino Teramo, guarda con preoccupazione ai mesi estivi. Una donna che, come tanti altri operatori che ho conosciuto, non lesina fatiche, impegno, creatività nel coordinare le tante iniziative di animazione, di lavoro, di insegnamento che trovano spazio dentro e fuori la casa circondariale. La incontro in occasione di un appuntamento molto particolare, richiesto da alcuni detenuti che da diversi mesi svolgono settimanalmente un incontro a partire dalla lettura di Città Nuova (vedi n° 2/2018 pag. 95). «Vorremmo incontrare dei giovani per raccontare le nostre storie e metterli in guardia dal ripetere i nostri stessi errori», aveva detto Italo ad Amedeo, uno del gruppo che ogni venerdì varca le porte del carcere per vivere questi momenti di lettura del nostro mensile, con successivo scambio di riflessioni ed esperienze. Detto, fatto. 40 studenti hanno risposto all’appello e per due ore sono rimasti incollati alle sedie del teatro del carcere dove a parlare erano una dozzina di persone che stanno pagando il prezzo dei loro errori, tutti molto emozionati ed eleganti. Daremo spazio a queste storie, alle poesie che i nostri amici hanno scritto per dar voce ai loro pensieri più intimi. Viene da pensare che il senso di umanità nei rapporti può essere la chiave che fa la differenza. Tutto l’anno e anche d’estate.

 

«Le ferie le passo cucinando per i migranti»

di SILVANO GIANTI

C’è chi è sbarcato sulle nostre coste con l’ennesimo barcone e chi è stato destinato in un centro di accoglienza e lasciato lì senza speranza. Ci sono quelli che le nostre spiagge non le hanno nemmeno viste, perché sono morti durante la traversata, e quelli che magari crolleranno lungo i sentieri delle nostre montagne, cercando di arrivare oltralpe. Non ci sono ferie per gli immigrati e i rifugiati, ma c’è anche chi sceglie di dedicare le vacanze agli altri restando “al proprio posto”. È un “esercito” di volontari, silenzioso e laborioso, come Sandro, che dall’estate del 2016, quando sono arrivati gli immigrati a Ventimiglia, non ha smesso nemmeno un giorno di cucinare alla mensa della Caritas. Così ha fatto anche Delia, che dallo stesso periodo non ha più chiuso il Bar Hobbit, dove accoglie e ristora gli stranieri gratuitamente. E ci sono anche loro: 6 richiedenti asilo della rete di accoglienza diffusa della diocesi di Milano, che quest’estate faranno parte della squadra dei personal shopper dell’associazione volontari della Caritas Ambrosiana, che consegneranno pasti agli anziani soli, li accompagneranno dal medico o a fare una passeggiata. Diventeranno un aiuto prezioso per le persone più fragili che, quando la città si svuota, rischiano di essere abbandonate a loro stesse. I rifugiati «hanno aderito entusiasti alla proposta, perché l’hanno interpretata come un’occasione per rendersi utili e dimostrare di sapere dare e non solo ricevere. Questa esperienza può essere un segno di speranza, utile per ricordarci i valori della nostra convivenza senza cedere alla paura», spiega Luciano Gualzetti, direttore della Caritas ambrosiana. Perché l’estate è un periodo di riposo, sì, ma può diventare anche un momento di “servizio” da rendere in modi diversi a chi ne ha bisogno.

 

Un’altra estate da sfollati

di MARIAGRAZIA BARONI

Quella del 2018 sarà ancora l’estate degli sfollati dei 140 comuni di Lazio, Abruzzo, Umbria e Marche (e Ischia!) con casa inagibile o in zona rossa che resteranno alloggiati negli alberghi, nei campeggi, nelle case con affitto agevolato e nelle Sae (soluzioni abitative d’emergenza). Sono tanti i paesi lacerati nel tessuto sociale dopo il terremoto che si animano soprattutto nei periodi estivi. Lo sanno bene gli abitanti di 48 Sae di Torricella Sicura, che accolgono altrettanti nuclei familiari provenienti da tutto il territorio che si inerpica da Teramo alla zona montuosa del Ceppo. In via della Rinascita – com’è stata ribattezzata la zona delle Sae –, Mario, un anziano signore proveniente da una vicina frazione, cotto dal sole per il lavoro nei campi, dice: «Qui non mi sento libero. Non ho la mia vigna e mi manca l’attività nel mio orto». Quest’anno non ci saranno nemmeno le feste patronali che richiamavano gli abitanti dei paesi vicini né i “forestieri” che abitano questi luoghi solo nel periodo estivo. Seduto affianco a Mario sulla stessa striscia di muricciolo di cemento che delimita l’area delle Sae, adibito a luogo improvvisato di ritrovo, c’è Sergio, più entusiasta e fiducioso su come proseguirà l’estate: è arrivato da un mese ed è ospite di suo fratello. In via della Rinascita incontro anche Pina, terremotata dal 2009. È uscita per far giocare la sua bimba. Sfollata e alloggiata in 24 metri quadri di una vecchia foresteria, conferma: «Alla fine ci si si abitua e si conoscono tante altre persone. Il tempo passa velocemente, ma forse trascorreremo qui ancora altri anni…».

 

Un aiuto per uscire dal disagio

di FRANCESCA CABIBBO

Se lo stipendio è magro o incerto e saltuario, e devi pagare l’affitto, la vita è veramente difficile. Non si può ottenere un mutuo e, quando si va in pensione, il gramo assegno mensile non basterà a vivere. Ecco perché a Palermo è nata l’iniziativa “Servizio Prima casa”, per l’acquisto di un’abitazione grazie a donazioni e piccoli prestiti, al contributo del 5×1000 e ad eventuali aiuti pubblici. Le famiglie pagheranno il mutuo per tutto il periodo lavorativo e, quando andranno in pensione, avranno la casa di proprietà. Sempre nel comune palermitano, medici ed operatori sanitari cristiani di varie Chiese offrono assistenza medica pluri-specialistica, psicologica e infermieristica ai più bisognosi. A Comiso, la casa “Io sono con te”, promossa dalla Caritas diocesana, accoglie donne sole, in difficoltà o vittime di violenza e ragazze madri. Mariuccia Fazzina, la responsabile, dedica il suo tempo a chi spesso “tocca il fondo” e fatica ad uscirne. Anche in estate le volontarie, spiega, «si avvicendano nella casa con costanza.

Diamo vita a dei laboratori di alfabetizzazione, cucina o artigianali (gioielli, découpage, pittura). Una piccola piscina e alcune attività riempiono la vita dei piccoli. Poi le passeggiate al mare o per un gelato. Qualcuno le invita nella casa di villeggiatura». Piccoli sprazzi di vacanza, anche per chi vive un momento difficile.

L’estate è dura anche per i figli degli immigrati che vivono nelle campagne, in condizioni di degrado. Spesso sfruttati. Molti bambini non vanno a scuola. Di loro si occupa la Caritas di Ragusa, con progetti sostenuti dalla Fondazione Migrantes. Quest’estate hanno allestito la commedia Pinocchio e il paese dei farlocchi. Gli attori sono stati proprio loro, i “bambini invisibili”. Protagonisti, sul palco, come attori veri, a raccogliere gli applausi.

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