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Una storica sentenza sulla giustizia climatica in Italia

a cura di Carlo Cefaloni

- Fonte: Città Nuova

Carlo Cefaloni

Perché una decisione della Corte di cassazione del luglio 2025 è considerata  una  grande vittoria del movimento ambientalista in Italia. Intervista a Simona Abbate di Greenpeace Italia e all’avvocato Alessandro Gariglio

Greenpeace sin azione presso sede di Eni, a Roma, ANSA/UFFICIO STAMPA GREENPEACE

Il cambiamento, o meglio riscaldamento, climatico provocato dell’uso intensivo delle fonti fossili è una seria minaccia per il futuro stesso dell’umanità. Occorre intervenire urgentemente per evitare un disastro annunciato, ma i vertici internazionali sul clima si chiudono spesso con soluzioni di compromesso al ribasso, definendo impegni che, tra l’altro, gli stati faticano a far rispettare a partire dalle stesse aziende con capitale pubblico.

Greenpeace Italia e ReCommon, due associazioni ambientaliste, hanno così deciso di far valere la responsabilità civile dell’Eni, nonché di Cassa Depositi e Prestiti e  Ministero dell’Economia e delle Finanze come azionisti di controllo. L’intenzione di questa azione di risarcimento danni, intentata anche da 12 singoli cittadini, è quella di far cambiare le politiche industriali del colosso energetico italiano che, secondo le associazioni ecologiste, pur essendo al corrente fin dagli anni ‘70 delle conseguenze del cambiamento climatico, al pari di altre grandi compagnie fossili, avrebbe ignorato gli allarmi della comunità scientifica decidendo di continuare a puntare su fonti come petrolio e gas.

Come è noto il presidente Usa, Trump, esprime in maniera eclatante il suo negazionismo climatico incentivando il ricorso al fossile, ma gli stati dell’Ue si sono impegnati solennemente nel realizzare il green deal, ora in grande affanno con il prevalere delle spese militari e il peso politico maggiore assunto dalle destre in Europa.

Eni, assieme a Mef e Cdp, ha contestato la legittimità dell’azione legale intentata contro di loro ma una pronuncia della Cassazione a sezioni unite resa nota il 22 luglio 2025  ha affermato che giudici italiani sono tenuti a pronunciarsi, in base alla normativa nazionale e internazionale, sulle cause dei danni derivanti dal cambiamento climatico. Le climate litigation (cause intentate verso gli stati o le grandi società per far valere la responsabilità dei cambiamenti climatici) sono una realtà in atto in diversi Paesi e la decisione della Cassazione rappresenta una svolta nel nostro Paese, anche se occorre poi attendere la sentenza in merito dei giudici sull’effettiva responsabilità dell’Eni.

Le grandi corporation stanno tra l’altro adottando una strategia d’attacco contro giornalisti ed ecologisti, tramite la richiesta di risarcimento milionari per presunti danni di reputazione provocati dalle istanze e inchieste degli ambientalisti indotti così al silenzio. Un caso eclatante di Slapp (Strategic Lawsuits Against Public Participation) è quella intentata dalla società Energy transfer contro Greenpeace negli Usa e Greenpeace International, che ha visto un primo verdetto di condanna per l’org ambientalista di 660 milioni di dollari.

Sull’importanza della sentenza della Cassazione che rende possibile la climate litigation in Italia abbiamo parlato con Simona Abbate, responsabile della campagna clima ed energia di Greenpeace Italia e con il consulente giuridico dell’associazione, avvocato Alessandro Gariglio.

Perché è così importante questa decisione della Corte di Cassazione?

Perché costituisce un precedente di notevole rilevanza nel nostro Paese consentendo ai giudici di pronunciarsi sui danni derivanti dal cambiamento climatico allineandosi con gli altri Paesi che prevedono la climate litigation (contenziosi climatici), rendendo possibile che gli inquinatori vengano chiamati a rispondere davanti a un giudice.

Come ha reagito l’ENI di fronte alla vostra richiesta ?

Si è opposta in giudizio affermando che questo tipo di contenzioso non è fattibile in Italia a causa della mancanza di norme ad hoc o perché le norme internazionali (come l’Accordo di Parigi o le linee guida dell’OCSE) non troverebbero applicazione diretta nei confronti di un’azienda, ma solo dello Stato. Greenpeace Italia e ReCommon hanno scelto di presentare ricorso alla Corte di Cassazione, in pendenza di causa, proprio per ottenere una decisione definitiva e rapida dal più alto giudice italiano sulla fattibilità di tale tipo di contenzioso. La Corte di Cassazione ha accolto la tesi secondo cui le norme esistenti, in particolare l’articolo 2043 del codice civile (sebbene scritto nel 1942, ben prima del concetto di cambiamento climatico), potessero essere interpretate in modo da consentire questa azione legale.

Quali sono i due principali profili di responsabilità da voi contestati a ENI?

ENI è responsabile di emissioni atmosferiche annuali superiori a quelle di tutto lo stato italiano, comprese tutte le sue aziende e cittadini. Questo le conferisce un’incidenza particolarmente significativa sul cambiamento climatico e la rende pro quota responsabile delle sue conseguenze, sia in termini di effetti sul pianeta, che sulla salute e vita delle persone. Si pensi, per fare un caso concreto,  alla perdita di valore di proprietà in aree costiere a rischio inondazione.

In particolare contestiamo all’ENI di non aver adottato un piano industriale coerente con gli obiettivi posti dalla comunità internazionale a partire dagli Accordi di Parigi, volti alla riduzione delle emissioni per limitare l’aumento delle temperature globali.

Quali altri impatti sul benessere delle persone vengono evidenziati nel contenzioso contro ENI?

Esiste un impatto sulla salute mentale delle persone, in particolare delle nuove generazioni. L’ansia legata agli eventi climatici estremi e la difficoltà di immaginare un futuro vivibile a causa del cambiamento climatico sono aspetti che vengono portati alla luce nelle memorie che abbiamo presentato in giudizio. Questa preoccupazione riflette il legame tra l’estrazione di combustibili fossili, le emissioni e i diritti delle persone a una vita sana e a un futuro sereno.

ENI può contestare la temerarietà della vostra causa per difetto di dimostrazione scientifica. Come rispondete?

Purtroppo è l’ENI che utilizza il metodo intimidatorio facendo valere le  SLAPP contro di noi e in particolare contro Antonio Tricarico di ReCommon, accusandoci di diffamazione per aver pubblicato report che collegano le emissioni di ENI alle morti premature che avverranno nei prossimi anni. Ma ciò che pubblichiamo è semplicemente quanto affermano seri testi scientifici .

Come rispondete a chi contesta che tali azioni legali dovrebbero colpire anche i “giganti del sud globale” come Cina e India?

Innanzitutto occorre aver presente che il mondo occidentale ha una responsabilità storica maggiore e non può mettersi allo stesso livello dei Paesi in via di sviluppo. Le emissioni pro capite del “nord del mondo” sono molto più alte rispetto, ad esempio, a quelle di un cittadino cinese, considerando la maggiore popolazione della Cina. Certe polemiche rischiano di sviare dal  problema fondamentale che è il modello economico globale che non funziona e rischia il collasso, come ha dimostrato la pandemia di Covid-19.

Ma non rischiate con le vostre azioni di colpire l’ENI che è un vanto dell’Italia nel campo internazionale?

A nostro parere l’ENI non sta agendo nell’interesse degli italiani, poiché le politiche energetiche del Paese sono troppo legate alla persistenza della strategia su oil and gas, portando a prezzi elevati dell’energia e costi insostenibili per i cittadini. Il problema non è fare profitto per una società che è tenuta a perseguirlo per stare in piedi, ma quanto di esso viene reinvestito per migliorare l’azienda e quanto invece viene distribuito tra gli azionisti, senza un’adeguata considerazione per le responsabilità sociali e ambientali.

Cosa vi aspettate adesso come conseguenza della sentenza della Cassazione ?

Lo vediamo come un momento storico perché apre la strada alla giustizia climatica, consentendo di portare i responsabili dei danni climatici davanti a un giudice e metterli di fronte alle proprie responsabilità. Si conferma il fatto che il diritto e la giurisprudenza, apparentemente lenti, siano in realtà spesso più rapidi del legislatore nel comprendere e adeguarsi ai momenti storici, trovando applicazione nelle norme esistenti anche in assenza di leggi specifiche.

QUI il link per approfondire la materia

QUI la posizione di Eni

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