Una scuola in movimento

Carlo è insegnante. Spesso i rapporti tra colleghi e con gli studenti non sono facili: prevalgono egoismi, invidie e personalismi. Mettere in moto l’attenzione all’altro nella quotidianità genera inattese novità.
A che serve la scuola?

Passo gran parte del tempo dedito al lavoro nella mia scuola, col pensiero di voler fare qualcosa di buono per rendere migliore il posto in cui sto. Penso ai ragazzi, ma non dimentico i miei colleghi. Trovo la scuola un ambiente tanto lontano da Dio. Prevalgono egoismi, personalismi, invidie, spesse volte, cattiverie. Io stesso ho inseguito per anni falsi idoli e falsi ideali, ho inseguito traguardi ora in un ambito, ora in un altro, ambizioni che col tempo o sono finite o sono crollate.

 

E’ stato  il funerale di Chiara Lubich a rispolverare e a farmi riscoprire l’amore di Dio, un amore che si traduce sempre in attenzione al fratello. La scuola diventa così la mia palestra: incontro sempre tante persone, alunni, genitori, colleghi, ciascuno con le proprie problematiche. Ascolto e cerco di adoperarmi per chi ho davanti. Alle volte devo superarmi per essere disponibile e comprensivo e scegliere di dedicare il mio tempo e prodigarmi per quanti in passato mi hanno fatto del male (e, assicuro, ce ne sono tanti).

 

Ma vorrei fare di più e far emergere quanto di positivo c’è nelle persone. E questo significa per me condividere. Ad una mia collega propongo di approfondire l’importanza dei carismi cristiani, nati nel ‘900, a dei miei alunni invece suggerisco di cominciare un’adozione a distanza. Mi piace l’idea di stimolare dei ragazzi che hanno tanto, a fare qualcosa per il prossimo, donando un po’ di amore a chi ne ha più bisogno.

 

L’idea è di favorire l’istruzione per un bambino o un coetaneo, accompagnandolo per il ciclo di studi di 5 anni in un paese in cui l’istruzione è solo privata e non accessibile a tutti. I pochi presenti sono entusiasti. Consegno ad uno di loro, copia del materiale che avevo già dato ad una collega. L’inizio della lezione di giovedì ha avuto quindi come tema, l’adozione di uno di questi ragazzo. La classe risponde all’unisono con un bellissimo ed entusiastico sì. Scriviamo immediatamente comunicando i recapiti dei rappresentanti di classe e il mio. Nello stesso pomeriggio riceviamo risposta e modulistica. I ragazzi si sono tassati di 12 euro a testa e il progetto assegnato riguarda un bellissimo bimbo di 5 anni, Tamer, dalla Giordania. Nella comunicazione di affidamento, viene riportata la storia della famiglia e ci sono anche i ringraziamenti da parte della mamma del bimbo. Abbiamo tappezzato l’aula con la foto di Tamer pensando di pubblicare così tutte le altre iniziative che seguiranno.

 

Chi si era avvicinato in maniera un po’ dubbiosa al progetto, (pensando a quanti messaggi negativi giungono dalla società e dai mass media), ha riscontato una storia concreta, basata su rapporti veri. Poiché non si possono inviare direttamente doni materiali al piccolo per via dello sdoganamento, una ragazza sta già pensando di fare un’altra raccolta per fare pervenire fondi, attraverso i referenti locali, in aiuto di Tamer. Un’alunna della classe, particolarmente felice per quanto realizzato, mi chiede come poter avviare nella scuola della sorella un progetto simile. L’iniziativa del sostegno a distanza cammina con le proprie gambe e io ho avuto modo di constatare che i giovani non sono insensibili, superficiali, vuoti; vanno solo aiutati a scoprire e a mettere in mostra quanto di più bello hanno nel loro profondo. Promuovere e mettere in luce il positivo: anche questo deve essere il compito della scuola.

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