L’Europa come soggetto politico non si è vista nello show organizzato lunedì 13 ottobre 2025 a Sharm el-Sheikh per celebrare il presidente Usa Donald Trump come artefice della “pace” imposta con la forza a Gaza.
Una tregua, come la definiscono gli osservatori più attenti, che ha interrotto al momento i bombardamenti su ciò che resta della Striscia di Gaza e permesso la liberazione di 20 ostaggi israeliani oltre a circa 2 mila prigionieri palestinesi, anche se continua a crescere il numero dei morti a Gaza e non si è fermata l’azione violenta dei coloni suprematisti nei territori occupati della Cisgiordania.
Ugo Tramballi, profondo conoscitore del Medio Oriente, parla di uno scenario distopico, in particolare con riguardo agli interventi ascoltati alla Knesset in occasione dell’ intervento effettuato dal presidente Usa nella sede del parlamento israeliano prima di recarsi in Egitto.
Che fine hai fatto Europa?
Dove sta l’Europa in un ‘area così vicina e decisiva del Mediterraneo, dove sembra tutto deciso dalla mediazione dei detentori dei capitali finanziari e quindi delle armi? È ciò che domandava papa Francesco rivolgendosi al Consiglio d’Europa il 25 novembre 2014: «Dov’è il tuo vigore? Dov’è quella tensione ideale che ha animato e reso grande la tua storia? Dov’è il tuo spirito di intraprendenza curiosa? Dov’è la tua sete di verità, che hai finora comunicato al mondo con passione?».
Domande esortative pronunciate nell’anno 2014 in cui si erano conclusi gli accordi di Minsk nella prospettiva, poi non realizzata, di poter fermare l’involuzione della crisi tra Kiev e Mosca sfociata nell’invasione russa dell’Ucraina consumatasi il 24 febbraio 2022.
Data che segna il cambiamento d’epoca del ritorno della guerra nel Vecchio continente che alcuni storici, come ad esempio Marco Mondini intervistato su cittanuova.it, considerano non più reversibile e che obbliga, seguendo tale ragionamento, a poter contare solo sulla capacità di deterrenza offerta dalle armi.
«L’Ucraina deve diventare un porcospino d’acciaio», afferma la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen per indicare la necessità di armare quel Paese baluardo dell’Occidente in maniera che risulti indigesto a chiunque, a partire dalla Russia, volesse inglobarlo. Armi che, secondo Trump, dovranno essere acquisite da imprese a stelle e strisce.
Lo stesso termine, “porcospino d’acciaio”, è usato per giustificare l’ininterrotta e massiccia fornitura di armi a Israele da parte degli Usa: come ha confermato senza pudore Trump lodando Netanyahu che ha fatto “buon uso” delle armi, così avanzate e micidiali che neanche l’inquilino della Casa Bianca le conosce bene.
Le strette di mano e l’affinità manifestate da Trump e Putin nel vertice del 15 agosto 2025 in Alaska non hanno portato al cessate il fuoco in Ucraina in una guerra che Putin ha chiamato “operazione militare speciale”, ma che ha già superato il periodo di coinvolgimento russo nel primo conflitto mondiale, conclusosi anticipatamente per Mosca con la rivoluzione che portò alla rimozione dello Zar dal trono.
Il potere nucleare come salvezza
Una volta avviata, la guerra sviluppa dinamiche imprevedibili che è difficilissimo contenere. Una prospettiva inquietante se si considera la presenza sul terreno dell’arma nucleare a disposizione di soggetti che non mostrano segni di equilibrio e ponderazione. Ormai da tempo scomparso dal dibattito pubblico, lo spettro dell’incubo nucleare è oggetto di analisi nei vertici militari.
Sono in pochi a sapere che proprio dal 13 ottobre 2025, e fino al 27 dello stesso mese, è in corso nei Paesi Bassi l’esercitazione militare nucleare “Steadfast Noon 2025”, organizzata dalla NATO con la partecipazione di 14 nazioni tra cui l’Italia, con l’impiego di 71 aerei in operazioni di simulazione di conflitti ad “alta intensità”: una formula tecnica che indica il coinvolgimento delle armi nucleari tattiche.
Resta senza risposta, ad esempio, la richiesta di trasparenza avanzata dall’associazione Peacelink ai presidenti delle commissioni Difesa di Camera e Senato di «promuovere un’audizione pubblica con esperti indipendenti di medicina delle catastrofi, per illustrare al Parlamento e all’opinione pubblica gli effetti di una guerra nucleare, anche limitata, sul territorio europeo».
D’altra parte se si accetta la logica che la pace può essere assicurata solo dalla deterrenza delle armi, quale migliore garanzia del possesso per un possibile uso della bomba nucleare?
In tale prospettiva il Re Arm Eu appare come una necessità triste ma inevitabile, senza perdere tempo sulle prospettive di una difesa e sicurezza comune che non sia dettata dagli interessi delle imprese delle armi.
Sempre secondo questa logica suonano come esortazioni moralistiche e non un richiamo al realismo autentico le parole che papa Leone XIV ha detto nella giornata di preghiera per la pace dell’11 ottobre 2025: «La pace è disarmata e disarmante. Non è deterrenza, ma fratellanza, non è ultimatum, ma dialogo. Non verrà come frutto di vittorie sul nemico, ma come risultato di semine di giustizia e di coraggioso perdono».
Per chi pensa, come fa con grande trasparenza Mondini, che non è più il tempo di farsi illusioni perché siamo ormai in una fase prebellica, l’imponente marcia per la pace che si è svolta in una splendida domenica il 12 ottobre 2025 da Perugia ad Assisi non è altro che una liturgia di un mondo che scompare, l’ultimo sfogo di una coscienza collettiva che ripudia la guerra ma si rassegna ad esserne coinvolta. È significativo, in tal senso, che proprio il Movimento nonviolento, quello autentico fondato da Aldo Capitini, il promotore della prima Marcia della pace nel 1961, si sia dissociato dalla Marcia del 2025 perché giudicata troppo generica, priva di «qualsiasi obiettivo di immediata azione comune» come la proposta di un’obiezione alla guerra, con l’impegno a prepararsi ad una vasta campagna di disobbedienza civile.
La domanda di una politica autentica di pace
Il vivace dibattito all’interno del variegato movimento per la pace fa comprendere quanto sia riduttiva la visione di chi ha considerato quelle 200 mila persone che si sono messe in cammino verso Assisi come espressione di una fuga dalla realtà, mentre ciò che emerge in una mobilitazione permanente emersa con l’indignazione per lo scempio consumato a Gaza è la richiesta di una concreta politica di pace.
Risponde a tale profonda esigenza l’impegno per una nuova Helsinki in continuità con la Conferenza del 1975 sulla sicurezza e la cooperazione in Europa. Una pace, cioè, non fondata sul terrore ma sulla collaborazione reciproca.
È il cammino intrapreso in Italia da un nutrito numero di realtà associative e centri studi nella convinzione che «l’Europa per dimensione e peso economico, per cultura politica, per tradizione storica deve farsi carico di promuovere il rilancio della multilateralità e la collaborazione globale per un futuro comune». Un Europa capace di «agire come una vera comunità politica, democratica ed economica dentro un sistema multilaterale e non di blocchi politico-militari che competono e si reggono sulla deterrenza militare».
A tale obiettivo è stato dedicato l’incontro intitolato “A 50 anni dalla Conferenza di Helsinki: perseguire la pace attraverso la politica”, che si è svolto presso l’Istituto Luigi Sturzo a Roma il 30 settembre 2025
A questa prospettiva, radicalmente alternativa allo spettacolo della pace assicurata dalle armi che abbiamo visto a Sharm el-Sheikh, vuole offrire un contributo il Focus in allegato promosso da Dialop, progetto di dialogo trasversale tra marxisti e cristiani nella prospettiva comune di «trasformare il mondo in un posto migliore in cui vivere».
È parte integrativa di questa prospettiva il patrimonio consegnato da papa Francesco nei suoi incontri con i movimenti popolari. Si può intravedere in questo senso una coincidenza non casuale il fatto che l’incontro “Speranza nei momenti difficili” promosso da Dialop a Loppiano dal 17 al 18 ottobre 2025 in collegamento con diversi luoghi sparsi nel mondo, avvenga a pochi giorni dal Giubileo dei movimenti popolari in programma a Roma dal 21 al 24 ottobre 2025.
Papa Leone cita esplicitamente i movimenti popolari nei paragrafi 80 e 81 dell’esortazione apostolica Dilexit te sull’amore per i poveri, per ripetere con Francesco che solidarietà vuol dire «lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’impero del denaro». In questo senso «La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia, ed è questo che fanno i movimenti popolari».
«La forma più tragica di perdita – secondo il filosofo tedesco Ernest Bloch citato nell’invito di Dialop – non è la perdita della sicurezza; è la perdita della capacità di immaginare che le cose potrebbero essere diverse».