Una moschea a Firenze

La città toscana è transito tra nord e sud, luogo dove le diverse componenti della società s’intersecano in un contesto bello, un museo a cielo aperto e una città aperta, anche agli stranieri, al migrante. Un luogo dove il culto islamico ancora non ha un luogo di riunione e preghiera
(da Pixabay)

Lunedi prossimo, a Palazzo Vecchio, nel cuore della città e della convivenza cittadina, nella sede del Comune, si incontreranno una delegazione di musulmani (in massima parte ormai con passaporto italiano o comunque residenza fiorentina) presieduta dall’imam Izzeddin Elzir e l’assessore Alessandro Martini, in rappresentanza del sindaco Dario Nardella. Tema: l’annosa questione della moschea, un tema che, qui come altrove, accende gli animi da troppi anni ormai.

Al centro di Firenze svolge la sua attività il Centro La Pira – collaborazione tra diocesi e Focolari, con il contributo di altre associazione e gruppi, dedicato alla figura politica che, più d’ogni altra, ha favorito la crescita di Firenze come “città dell’apertura”, “città dell’accoglienza”, “città del dialogo”. Il suo direttore, Maurizio Certini, aveva spedito al sindaco Nardella, ancora nel 22 maggio 2017, in occasione di un altro incontro per avviare la costruzione di una moschea a Firenze, una accorata lettera che fu pubblicata su Toscana Oggi. Ci piace riprenderne alcuni tratti, perché esprime il senso di una città che vuole raggiungere la sua piena vocazione di civitas, di luogo dei cittadini. Di “città nuova”.

Scrive Certini: «Carissimo sindaco Dario, i tanti volti, le diverse lingue, le differenti religioni, rendono tutti più ricchi e più capaci di dialogo. I ragazzi e ancor più i bambini sono facilitati, perché più liberi rispetto alle cristallizzazioni culturali e agli stereotipi. Questi nostri ragazzi sono il futuro di una Firenze sempre più capace di essere città Ponte, “città dell’universale”, come il presidente Senghor l’aveva definita nel 1962, nel suo famoso discorso in Palazzo Vecchio. In tale senso, pensando alle esigenze di tanti nuovi cittadini di religione musulmana, riprendo ancora le tue importanti parole, dette nel tuo intervento in un gremito Salone dei Cinquecento, in occasione del XXV anniversario del primo Centro Culturale islamico di Firenze (27 settembre 2015). La nuova associazione ebbe accoglienza e sede ufficiale nei locali del Centro Internazionale Studenti Giorgio La Pira, in Via de’ Pescioni, la cui Sala Teatina rappresentò per alcuni anni l’unico luogo riconosciuto per la preghiera e per lo scambio cultuale della prima aggregazione dei giovani musulmani in Firenze».

Continuava la lettera aperta di Certini: «Tu auspichi la nascita a Firenze di una scuola per il dialogo interreligioso. È una scuola importante, che si innesta nella tradizione fiorentina dell’umanesimo e della permanente ricerca culturale; e si fonda inoltre su di una buona pratica, cioè su una prassi di amicizia diffusa in città da tanti anni, che ci riporta alla concretezza del dialogo. Hai affermato: “Firenze è capace di cogliere la pluralità delle visioni per la sua storia, ma anche per il suo presente; ci sono due valori che accomunano cristiani, musulmani, ebrei e tutti coloro che hanno un credo nella religione: il rispetto per la vita umana e la devozione a Dio, in particolare [nel contesto di oggi] tra noi cristiani e musulmani questi due valori ci vincolano: chi li tradisce, tradisce l’uomo e tradisce Dio. Per questo io ho difeso e difenderò per tutti il diritto ad avere un luogo degno dove poter pregare il proprio Dio, un diritto fondamentale, non solo tutelato dalla nostra Costituzione, ma derivante dal principio della dignità umana. Contro i banali, biechi calcoli di convenienza politica, io difenderò fino in fondo questo diritto”.

Toscana, Firenze (da Wikipedia)

E ancora: «È vero. Nella città plurale l’unica via percorribile è la via del dialogo, cioè un incontro tra diversi, ma uguali in dignità. Con queste premesse, voglio esprimere di fronte a te la mia voce, che è parte di un vasto coro, molto vivo in città, che auspica la costruzione di una moschea dignitosa e sufficientemente ampia, per i fedeli di una comunità varia, fatta di molte sensibilità e numericamente significativa. Firenze ha spesso dimostrato di saper trasformare le criticità locali e le crisi internazionali, in occasioni d’incontro culturale e civile. Per la questione moschea ritengo, esprimendo il pensiero di tanti, che i tempi siano maturi per una sua realizzazione. Comprendiamo come sia questione delicata (timore di scontri sociali causati da chi è vittima di pregiudizi, paura di perdita di consensi politici, svalutazione immobiliare dei terreni limitrofi ecc.). Sono i “banali e biechi calcoli” che hai condannato nel tuo discorso. Ma ormai i tempi sono maturi. Firenze necessita della sua moschea; tanti cittadini ne hanno bisogno. La stessa nostra laicità ne è garanzia. Sappiamo che la comunità autoctona non è sempre preparata ad includere gruppi nuovi. Dal canto suo chi arriva, spesso teme di perdersi in un mondo sconosciuto, seppure desiderato. Questo lo sanno anche gli amici musulmani, che hanno dato prova di saper pazientare e pertinacemente comprendere, non liquidando semplicisticamente chi è contrario alla moschea e allo stesso tempo aiutando i membri della Comunità a non chiudersi».

E la conclusione, che valorizza l’esperienza secolare di accoglienza della città di Firenze: «Carissimo sindaco, mi rivolgo al primo cittadino alla luce dell’esperienza maturata in tanti anni di attività presso il Centro La Pira, nella immediatezza della relazione quotidiana con migliaia di giovani provenienti da Paesi diversi. Gli attuali responsabili della Comunità Islamica fiorentina hanno quasi tutti partecipato in vario modo alle attività del nostro centro, come studenti di lingua italiana o come volontari, rendendosi disponibili per vari servizi. Procedendo nel percorso di vita insieme, abbiamo tutti imparato ad essere cittadini migliori di questa nostra Firenze, più rispettosi dell’ordinamento giuridico e delle regole della convivenza. Siamo sicuri che una moschea a Firenze sarà un edificio bello. E tra qualche tempo, quando dalla collina di San Miniato o affacciati al balcone del piazzale Michelangelo guarderemo Firenze ammirando insieme a Palazzo Vecchio, la cupola del Duomo, i campanili delle tante chiese, le guglie della Chiesa russa, la splendida sinagoga, se vedremo spuntare in lontananza un minareto potremmo gioire pensando che la famiglia di Abramo è più unita, e che la città è culturalmente più ricca ed ha fatto un piccolo passo storico sulla via della pacifica convivenza, nel rispetto delle diversità culturali e religiose».

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