Una Medea siciliana

La sola invenzione scenica – ma anche le musiche ed un magnifico Coro di attori-guitti in abiti femminili – vale l’intero spettacolo: sette porte con finestre di varie grandezze, spostate a vista su quinte con ruote, diventano case e confessionali, stanze e cortili: ambienti di una Corinto che rimanda a un sud geografico come Palermo. Un mondo arcaico denso di umori e segni mediterranei; di vicoli, di religiosità popolare, di vento e di grida. Di incubi e di visioni umoristiche. È l’atmosfera dove si consuma la tragedia della Medea di Emma Dante, la giovane regista siciliana che, dopo i successi di mPalermu e Carnezzeria, si cimenta con un testo classico. Maga, straniera, Medea è il corpo estraneo di una società chiusa, maschilista. Osservata da dietro le imposte, imboccata dai cucchiai delle comari e da esse sempre accompagnata, la sua lingua straniera – l’italiano – si contrappone al dialetto del Coro. Medea, abbandonata ancora incinta, punirà l’ambizioso Giasone negandogli i figli. Ne partorirà cinque per poi ucciderli lasciandolo re di una città sterile. In questo slittamento temporale che modifica l’inizio della trama della tragedia di Euripide, c’è un richiamo alle cronache di certe madri d’oggi, e fa di questa riscrittura della Dante una creazione personale e autoriale. Se Creonte – che apparirà da un teatrino di un pupi siciliani – respinge Medea perché riconosce in lei tutto ciò da cui crede di essersi allontanato, e cioè il calore della madre terra, nei due corifei c’è il racconto in musica del dolore di ciò che accade. Le struggenti cantilene composte dai fratelli Mancuso, vera e propria partitura drammaturgica, danno anima all’immaginario della Dante ricco di invenzioni visive. Tra tutte, nel finale, l’arrivo di Medea vestita a lutto – dopo il trionfo del bianco da sposa – con una carrozzella di innumerevoli vestitini inzuppati d’acqua. Verranno stesi come resti di una strage degli innocenti, mentre il rumore dell’acqua gocciolante dentro delle bacinelle stempererà la pazzia dell’irrazionale che aveva fino ad allora agitato gli animi. La vera forza dello spettacolo sono i cinque travolgenti interpreti del Coro. Meno rispondenti allo stile registico della Dante, nonostante l’impegno, sono due protagonisti principali: Iaia Forte e Tommaso Ragno. Ma il successo dello spettacolo è assicurato comunque: non si vedeva da tempo un tutto esaurito, con file e liste d’attesa al teatro India di Roma.

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