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In profondità > Storie di vita

Una mamma… nulla

di Michele Genisio

- Fonte: Città Nuova

Essere nulla per lei non significa essere sminuita, ma dare tutta se stessa, svuotarsi per amare.

Foto Pexels-Pixabay

La storia di mia mamma, Antonietta, si intreccia con la nascita dell’Ideale dell’Unità nella mia città, Torino. Primo episodio. Nel ’53 Gigi e Domenico, giovani cuneesi, arrivano a Torino: hanno sentito parlare dell’Ideale e vogliono conoscere il focolare. A fine giornata vanno alla stazione per tornare a casa. Non hanno capito un granché. Salgono sul treno che parte lentamente. Si affacciano al finestrino per salutare i focolarini venuti ad accompagnarli. Vedono una di loro, una giovane donna, incinta, col volto luminoso, che corre dietro al treno per salutarli. Rimangono folgorati da quella corsa, da quel volto pieno di luce. Capiscono l’Ideale. Diventeranno poi focolarini.

Quella donna è Antonietta, e nella sua pancia che sobbalza correndo ci sono io. L’ho capito col tempo: quel volto luminoso non era una dote naturale, ma un lavorio continuo per trasformare il dolore in amore. Mia mamma aveva trasmesso Dio senza far nulla, senza dire una parola, solo correndo. E mi chiedo: quante persone, mentre cammino o corro, sono attratte da Dio perché lo vedono risplendere sul mio volto? La risposta, inutile dirlo, mi mette in imbarazzo.

Secondo episodio. Siamo nel ’54. Nasco col labbro leporino e il palato aperto. In un viaggio di mia mamma a Trento con me di tre mesi, Chiara Lubich mi vede e dice: «Questo bambino deve essere operato, perché deve essere bello, i popi devono essere belli». Lei chiama popi in dialetto trentino i bambini, ma anche gli adulti che vivono l’Ideale.

Come operarmi? L’intervento costa, la nascente chirurgia plastica non è coperta dalla mutua. In casa lavora solo il papà, operaio in una piccola fabbrica. Guadagna appena per tirare avanti. In focolare Antonietta racconta cosa le ha detto Chiara a Trento e quello che più la lacera in quel momento.

Prima di uscire di casa, suo marito in un momento di sconforto l’ha rimproverata: «Perdiamo tempo ad andare dietro a quelli del focolare, invece dovremmo lavorare di più per cercare i soldi per questo bambino». C’è una giovane cuneese nella stanza, Maddalena. È il suo primo incontro. È travolta dall’atmosfera, sembra che Gesù sia lì, presente. Torna a casa, prende il libretto di risparmi e lo porta in focolare. È tutto quello che ha, poca cosa in realtà. Ma per lei rappresenta il sogno di poter studiare medicina. Addio medicina, ha trovato qualcosa che vale molto di più. Diventerà poi focolarina. Con quei soldi, e altri messi in comune da chi partecipa all’incontro, io vengo operato.

Terzo episodio. Risale al ’75. Siamo nella stanza da letto, mia mamma ed io. Lei sta riordinando l’armadio. Prendo coraggio e le dico: «Mamma, ho deciso di dare la mia vita per Dio, come focolarino». Mi guarda: «Allora hai deciso di essere come me, nulla». Rimango colpito da quella frase. Ma non sorpreso. So bene che essere nulla per lei non significa essere sminuita, ma dare tutta se stessa, svuotarsi per amare. Per lei il nulla non è paura di essere umiliata, di perdere la propria dignità o essere sottomessa, è il modo in cui incontra Dio, l’Amore. Paradossalmente, solo così si può essere liberi, pienamente se stessi.

Jung, lo psichiatra, l’avrebbe abbracciata: è uno dei suoi insegnamenti. E Giuseppe Zanghì, filosofo, nel ’97 dice una frase che pare incomprensibile: «Per Chiara Lubich quello che esprime meglio Dio è dire “Dio è nulla”, più che dire “Dio è Amore”». Ci vuole coraggio per abbracciare il nulla, ma è l’unico modo per trovare la pienezza.

Quarto episodio. È il 2008, Antonietta è malata, sono i suoi ultimi giorni. Seduta in poltrona sta dormendo. Ad un certo punto ha un sussulto, quasi un grido. Si volta e mi dice: «Ma sono viva?». Le dico: «Sì, mamma». Poi mi chiede: «Michele, sto morendo?». In quel momento sento una fitta al cuore. So che mi sta chiedendo di dirle la verità. «Sì, mamma». Mi costa tantissimo. Lei dice: «Bene». Poi aggiunge: «Ho vissuto tutta la vita per Gesù». So che è vero.

E ancora: «Adesso voglio dire qualcosa a ciascuno». Dice qualcosa alle mie sorelle, poi a me: «Tu sei quello che ha sofferto di più e quello che gioirà di più». Chiama anche mio papà e gli dice: «Battistino, a te ci penso io». Poco dopo mamma chiude gli occhi ed entra in agonia. Muore due giorni dopo. Mio padre, che avrebbe faticato a vivere senza di lei, muore improvvisamente due mesi dopo. Ci aveva pensato lei…

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