Una forza da invidiare

Il marito Gaetano è una guardia giurata uccisa da un clan della camorra. La moglie Lucia incontra Antonio, un uomo del commando omicida, e comincia un percorso di riconciliazione

Un ticchettio di luce penetra dal cielo plumbeo. Un raggio inclinato passa davanti al volto di Lucia. Occhi mesti, fermi, sereni. Neri. Ti guardano da un capo leggermente obliquo sulla spalla destra, colmo di lunghi capelli ondulati, castani, terra di Siena. Un volto ovale adombrato di pensieri. Sono fatti trascorsi che decantano nell’aria, come se si materializzassero delle immagini sbiadite nel pulviscolo della polvere attraversata dalla luce nella stanza. Mille particelle che vagano apparentemente senza un orizzonte di senso ma che compongono un mosaico di frammenti, ricordi, pensieri, assenze, memoria. La dignità di Lucia, la sua gentilezza, educazione, rispetto, innanzitutto di fronte a sé stessa trasmettono un’emozione anche senza bisogno di parlare. Conosco la sua storia, ma l’ho voluta incontrare a Napoli, in via Torino, vicino la stazione centrale del treno, non molto distante da dove tutto ebbe inizio. Sono le due di notte a piazza Mercato. Gaetano, il marito di Lucia, è una guardia giurata. Lavora di notte, per scelta, gli piace vagare per la città deserta, controllare, osservare, respirare l’aria fresca di quella ultima notte, il 4 agosto 2009. Non è un ripiego il suo lavoro. Ama il suo mestiere, gli piace indossare una divisa. Odia il posto fisso in banca che avrebbe ereditato dal padre una volta scomparso. Gli sembrerebbe, al solo pensiero, di affogare, di non respirare, chiuso tra le pareti di un ufficio, uno schermo del computer e l’odore dei soldi. Ama la libertà.

Accosta con il suo collega Fabio in un angolo della piazza per verificare il civico di un nuovo negozio. La loro è un’utilitaria non riconoscibile, senza scritte, né colori identificativi. Eppure sono attesi, seguiti, controllati. Il piede che spinge il tamburo del freno per fermarsi, coincide con l’attimo in cui l’indice di una mano preme il grilletto di una rivoltella. Da due moto, dietro di loro, parte una nuvola di proiettili sulle loro spalle. Sono un commando con due minorenni al volante e due persone armate con caschi integrali. Bocche di fuoco che illuminano la notte. Tutto è istantaneo. Il suo collega Fabio è colpito da 6 colpi di pistola, si accascia come esanime, ma si salverà. Gaetano, veloce, estrae la pistola e colpisce uno dei suoi assassini, ferendolo. Una scarica rabbiosa di 8 proiettili risponde al fuoco di Gaetano impattando in più punti vitali. Muore così a 45 anni. La verità che si è potuta appurare nel processo stabilisce che il motivo è una rapina per rubare le armi a due guardie giurate ad opera del clan camorristico Mazzarella. Più probabile è una lotta tra boss per il controllo del quartiere.

Poche ore prima Lucia e Gaetano avevano litigato, una delle infinite incomprensioni caratteriali di una unione non facile. Gaetano è legatissimo a Lucia, la ama in modo quasi morboso, per lui è tutto quello che di più bello ha avuto dalla vita e non vorrebbe mai perdere. Ma questa volta è una scusa, un gioco, un ragionamento femminile che un uomo mai comprenderebbe. Lucia finge il litigio perché aspetta il marito al suo rientro, alle 6 del mattino per festeggiare con lui l’onomastico nel modo che a lui piace, con tutti i suoi dolci preferiti che ha preparato nella notte e così dilatare la sorpresa. Alla porta, invece, bussa un collega di Gaetano. La conduce in questura dove apprende in piedi, da un funzionario, in modo secco che suo marito è morto in un conflitto a fuoco. Comincia una notte artica lunga 6 mesi senza aurora boreale. Lucia resta immobile a letto, impietrita dal dolore, non si alza più, non vive, si arrende. Si desta a fine anno.

Accetta un invito dalla sorella che la segue amorevolmente per una breve vacanza in Egitto. Rialzarsi non è facile, ha smarrito anche il senso dell’equilibrio e fa molta fatica a camminare. Ma la vita ricomincia. A piccoli passi su un vuoto incolmabile lastricato di processi, pratiche da seguire, avvocati e carte bollate.Antonio faceva parte del commando, ma non ha sparato, guidava la moto. Minorenne, deve scontare 20 anni per concorso in omicidio. Non si sfugge alla morsadella propria coscienza e più volte chiede perdono a Lucia, sempre negato perché teme sia uno dei soliti trucchi per avere riduzioni di pena ed evitare Poggioreale, il carcere degli adulti, una volta entrato nella maggiore età.

Ma qualcosa comincia a cambiare. Sul lungomare di Napoli, il 21 marzo 2016, a piazza Vittoria, si celebra il giorno della memoria delle vittime innocenti di mafia in una bella giornata di sole. Un lungo rosario di nomi e litanie dolorose. Lucia non sa che Antonio è presente. Lui sì, l’ha già vista in altre occasione perché Lucia è stata più volte a Nisida, presso il carcere minorile. Proprio a Nisida è presa alla sprovvista. Gli dicono che Antonio è lì. Non avrebbe mai voluto incontrarlo, ma non si sottrae ai suoi occhi impauriti. «Incrocio il suo sguardo – racconta Lucia – e lo riconosco». Si abbracciano forte, fortissimo. Antonio trema, piange, collassa per l’emozione, quasi sviene. Lucia lo sorregge e in lei prevale l’istinto materno, la cura, l’amore che genera. «Gli carezzo il volto, gli sorreggo la testa. Gli dico che ormai quello che è fatto è fatto, però possiamo ancora fare tante cose insieme. Tu devi cambiare e aiutare i ragazzi che come te prendono questa brutta strada. In quel momento, per me, non era l’assassino di mio marito, ma un ragazzo che stava male. E io ero una donna, una mamma, un’assistente sociale che voleva solo sostenerlo».

Di colpo gli sembra di comprendere il suo dramma, l’ansia di chi vuole svuotarsi dei suoi errori. Antonio comincia un percorso di riconciliazione che gli permette di vivere sotto lo stato giuridico della “messa in prova”, fuori dal carcere. Sconta tutta la sua pena ma può vivere a casa sua. Lucia conosce la moglie Gabriella, i loro due figli e lo sta aiutando a cercare lavoro. «Solo così – commenta Lucia – sento che la morte di Gaetano avrà un senso».

«Quella maledetta sera – dice in un sms Antonio – avrei voluto essere io al posto di suo marito. Anche per lui dico che non sbaglierò più. Ho tanta voglia di riscattarmi e lei mi sta facendo conoscere il lato buono delle persone». «Non smetterò mai di ringraziare Dio – scrive Gabriella, la moglie di Antonio, a Lucia – per aver messo sul nostro cammino una persona speciale come lei, un’anima buona, una persona umile, dolce, con una forza da invidiare».

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