Una cena armena

Ecco un testo (di Paola Ponti) e uno spettacolo (di Danilo Nigrelli) che affonda tra le pieghe dolorose del genocidio.
Un momento dello spettacolo

Quella del popolo armeno, negli anni precedenti lo scoppio della Prima guerra mondiale, è la storia di un genocidio in parte dimenticato e non ancora completamente ammesso dai turchi. Più di un milione di armeni sterminati dal governo dei Giovani turchi, che provocò la grande diaspora di un popolo. Parlarne serve a mantenere aperta una pagina di storia che non può ancora chiudersi. Ecco un testo (di Paola Ponti) e uno spettacolo (di Danilo Nigrelli) che affonda tra quelle pieghe dolorose con i toni di una sospensione umana che lascia spazio a riflessioni e domande. Le pone l’ingenua ragazza ad un signore armeno, costretti forzatamente nella casa di lui a causa di una tormenta di neve. Prende vita un dialogo faticoso, ostico, inibito da un pudore che a sprazzi lascia posto alla testimonianza dell’uomo la cui vita è trascorsa a cercare inutilmente indizi, testimonianze, persone. Gli rimane la preghiera, il dolore e la caparbia volontà di mantenere viva la tradizione del cibo. Abiti a terra, corde che pendono dall’alto, quattro valigie sospese: la scena sembra un luogo di fantasmi, una gabbia dell’anima dove i due, tra silenzi ostinati e parole a raffica, si muovono, si evitano, si rincorrono, fino a incontrarsi. Bravi Danilo Nigrelli e Rosa Diletta Rossi, ma la messinscena, a causa del racconto troppo frammentato, fatica a restituirci tutto il dolore della storia.
 
Al Teatro India di Roma.

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