Un nuovo vescovo a Shanghai

Dopo circa dieci anni di sede vacante (cioè senza un vescovo titolare o comunque in grado di esercitare il suo ministero pastorale), la diocesi di Shanghai ha un nuovo vescovo. Si tratta di mons. Giuseppe Shen Bin, consacrato già nel 2010 e fino ad ora titolare della diocesi di Haimen, una sede non distante dalla metropoli cinese di Shanghai
Chiesa cinese
Accoliti cinesi in preghiera pregano nella cattedrale dell'Immacolata Concezione, una chiesa cattolica autorizzata dal governo a Pechino. (Foto AP/Mark Schiefelbein, File)

La nomina e il conseguente insediamento di mons. Shen Bin come vescovo di Shanghai rappresentano un momento importante per la Chiesa cattolica in Cina, ma non hanno mancato di suscitare riserve e fraintendimenti per la modalità con cui sono avvenuti.

Infatti, nel 2018, la Santa Sede ha firmato un accordo provvisorio (parola chiave della sua definizione) con il governo di Pechino. Pur accompagnato da polemiche e dalle riserve di molti, sia all’interno della Cina che a livello internazionale e nella stessa Chiesa cattolica, la firma dell’intesa ha segnato un passo importante nel processo di regolarizzazione di tutti i vescovi cinesi e ha segnato, senza dubbio una distensione nei rapporti.

Con quell’atto, infatti, il Vaticano aveva riconosciuto tutti gli ultimi vescovi consacrati senza il permesso esplicito di Roma, compiendo un passo significativo nel processo di unificazione delle due comunità in cui, di fatto, si divideva la Chiesa cattolica in Cina: quella cosiddetta ‘sotterranea’, perché non riconosciuta dalle autorità governative e, quindi, ufficialmente non esistente, e quella ‘ufficiale’, i cui membri e clero sono regolarmente registrati presso le autorità governative.

Le fratture esistenti nell’ambito cattolico cinese, che risalgono al tempo della Rivoluzione di Mao, sono, comunque, rimaste, in quanto molti dei cattolici ‘sotterranei’ si sono sentiti traditi dopo decenni di eroica resistenza alle persecuzioni del governo e di fedeltà a Roma. Molte diocesi, comunque, si sono riunite sotto lo stesso vescovo, ormai in comunione con il papa. Un processo, quindi, tutt’altro che facile e che, in ogni modo, richiederà molto tempo prima di arrivare a una soluzione piena e alla guarigione di ferite profonde.

D’altro canto, l’accordo fra il Vaticano e il governo cinese continua ad essere ‘provvisorio’, sebbene sia stato rinnovato regolarmente dal 2018 con cadenza biennale. Questo dimostra quanto si tratti di una prima apertura importante, ma anche prudente, come richiede la complessità di una situazione che porta con sé anche il lungo retaggio del colonialismo e della percezione da parte di una grande parte del mondo cinese del cristianesimo come di una religione occidentale.

È in questo contesto che deve essere considerata anche la nomina di mons. Shen Bin, volto conosciuto non solo all’interno della Cina, ma anche nel mondo occidentale per essersi recato a Roma e in altre parti del mondo in diverse occasioni, attuale presidente della Conferenza Episcopale Cinese, organo non riconosciuto dalla Santa Sede. La diocesi di Shanghai era senza guida dal 27 aprile 2013, quando morì il vescovo Aloysius Jin Luxian, che era stato riconosciuto dalla Santa Sede nel 2005, sebbene fosse alla guida della diocesi fin dal 1988.

Il ritratto del defunto vescovo Aloysius Jin Luxian, vescovo ufficiale di Shanghai, riconosciuto dal Partito Comunista, esposto durante il funerale ufficiale a Shanghai, in Cina, giovedì 2 maggio 2013. (Foto AP/Eugene Hoshiko)

Il vescovo Jin Luxian aveva avuto un ruolo importante nella vita della comunità cattolica della metropoli. Parallelamente allo sviluppo economico e urbano, che ne ha fatto una delle immagini della crescita esponenziale dell’economia cinese, Shanghai ha visto crescere la comunità cattolica con un incremento importante del numero di parrocchie con attività religiose, impegno sociale e culturale importanti. Inoltre, è una diocesi aperta a contatti internazionali e con un seminario centro di formazione anche per sacerdoti di altre diocesi dell’immenso Paese.

Intanto, nel 2014 era morto anche il vescovo “clandestino” Fan Zhongliang, che, tuttavia, aveva accettato di lasciare il governo della diocesi a Jin Luxian. Altro momento importante, anche se molto discusso, era stata l’ordinazione episcopale, nel 2012, del vescovo ausiliare Taddeo Ma Daqin. Quest’ultimo, durante la cerimonia di consacrazione, aveva pubblicamente preso le distanze dall’Associazione patriottica dei cattolici cinesi. Il gesto, considerato antigovernativo, creò immediatamente reazioni forti e, da subito, il nuovo vescovo è stato costretto ad una vita ritirata all’interno del famoso santuario di Sheshan, non lontano dalla metropoli, senza poter esercitare il ministero.

Ora è arrivata la nomina del nuovo ordinario, che, accanto a segni incoraggianti ha anche suscitato polemiche e confusione, in quanto arrivata senza l’assenso di Roma, che, come affermato ufficialmente dagli organi della Santa Sede, era stata informata solo qualche giorno prima del trasferimento ed è venuta a conoscenza dell’insediamento attraverso i media.

È bene notare, comunque, che non si è trattato di una consacrazione, in quanto mons. Shen Bin – l’attuale ordinario di Shangai – era stato già consacrato nel 2010 con regolare consenso della Santa Sede. Si è trattato semplicemente di un trasferimento, passo che non inficia assolutamente la successione apostolica, aspetto fondamentale per la Santa Sede. Si tratta di un atto amministrativo, di cui, comunque, il Vaticano poteva essere informato se non interpellato. Il gesto dimostra chiaramente che il governo cinese tiene ad assicurarsi alcune competenze, all’interno di quel processo di ‘sinizzazione’ di cui sempre più spesso parla il presidente Xi Jinping.

Lo storico e sinologo Agostino Giovagnoli ha fatto notare come, nel discorso di insediamento, mons. Shen Bin abbia invitato a rimanere «nella fede che si basa sulla Bibbia e sulla Santa Tradizione» e a seguire «la tradizione della Chiesa Una Santa Cattolica e Apostolica e lo Spirito del Concilio Vaticano II». Ha, inoltre, manifestato il suo amore per la Chiesa di Shanghai e invocato la protezione dello Spirito Santo sull’opera di evangelizzazione. Nel suo discorso non sono mancate espressioni di patriottismo e di adesione alla prospettiva della “sinizzazione” del cattolicesimo in Cina.

Inoltre, durante la cerimonia è stata citata la Conferenza episcopale cinese, ma non sono stati fatti riferimenti al papa e alla Santa Sede. Oltre a questo, fa notare Gianni Criveller, altro profondo conoscitore della situazione, da più parti si teme che Shen Bin, come presidente della Conferenza dei vescovi cinesi, possa essere facilmente manipolabile dalle autorità preposte alla politica religiosa in Cina. In effetti, il vescovo appena insediato a Shanghai ha un ruolo politico, essendo membro (insieme ad altri 10 cattolici) dell’Assemblea Consultiva Politica del Popolo Cinese.

Se da un lato queste qualifiche politiche, piuttosto che ecclesiali, lo rendono abile a rapportarsi con le autorità governative, dall’altro, molti temono che potrebbero aprire la porta a un controllo sempre più invasivo e pervasivo della vita religiosa dei cattolici a scapito della loro legittima libertà e dell’autonomia degli organismi ecclesiali. Altri, invece, ritengono che, sebbene questa nomina susciti perplessità, sia necessario un ottimismo di fondo ed una prudenza sapiente nel delicato processo di ricucitura dei rapporti fra Vaticano e governo cinese. È senz’altro necessaria pazienza e fiducia sulla linea aperta da papa Francesco.

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