Un referendum per decidere l’indipendenza della Scozia

Cresce l'attesa per il voto previsto il prossimo 18 settembre. Il confronto in atto può essere l’occasione per un vero dialogo tra fronti opposti. Le questioni in gioco, dal nostro corrispondente
Referendum in Scozia

Il 18 settembre 2014 sarà una data storica. Il Regno Unito è un'unione politica di diverse nazioni, e dopo più di trecento anni, alla gente che vive in Scozia verrà chiesto se desidera che questa unione sia mantenuta o meno: è stata definita un'occasione che capita «una volta in una generazione». C'è molto da apprezzare nel processo del tutto pacifico e democratico che ha portato sin qui: questo si pone infatti in netto contrasto con tutte quelle nazioni in cui i popoli hanno fatto ricorso alla violenza per ottenere l'indipendenza. Tuttavia, pur essendo stato pacifico, tale processo non è sempre stato sereno, e c'è il rischio che diventi più teso nelle settimane e nei mesi a venire.

Un momento cruciale
Il referendum è un momento cruciale per il futuro della Scozia e della sua gente: non sorprende quindi che i toni della campagna elettorale siano piuttosto accesi. Il voto conta, e poiché questa è una decisione sul futuro della Scozia è giusto che siano i cittadini che ci vivono a prenderla. Su questo tutte le parti politiche sono d'accordo, ma ciò avrà indubbiamente delle implicazioni più ampie. Alcuni ritengono che l'indipendenza avrebbe un impatto negativo, e renderebbe il Regno Unito più debole di conseguenza; altri invece che la libertà guadagnata grazie ad essa sarebbe di gran beneficio alla Scozia, porterebbe ad una vera parità nelle relazioni tra le nazioni e quindi ad una maggiore – non minore – fraternità nel Regno Unito ed oltre. Quali che siano le opinioni di ciascuno, il referendum offre al popolo scozzese un'occasione unica per riflettere su che genere di futuro vuole costruire. È un momento unico e una notevole responsabilità. E poiché il responso delle urne è quantomai incerto, una cosa invece è certa: il 19 settembre ci saranno molti elettori delusi, e indipendentemente dal risultato del referendum ci sarà bisogno di ognuno per costruire insieme il futuro, qualunque esso sia. Ed è esattamente questo che ha sottolineato il rev. John Calmers (il neo nominato moderatore per la Chiesa di Scozia) quando, nel ricevere l'incarico, ha affermato che la Chiesa deve essere «uno strumento di risanamento e riconciliazione nella Scozia del dopo referendum».

Combattere l'apatia politica
Dibattiti e discussioni su come votare sono diffusi e prolifici in Scozia e, in misura minore, altrove. Anche questo è apprezzabile. Come il resto del Regno Unito, la Scozia è stata generalmente apatica sotto il profilo politico, con un'affluenza alle urne drammaticamente bassa per decenni. Il referendum ha riacceso l'impegno sociale di molti sotto diverse forme: se da un lato c'è stata la prevedibile (e, alcuni sostengono, non sempre imparziale) copertura mediatica dei maggiori esponenti politici di tutti i partiti, il contributo più significativo è arrivato dall'ondata di mobilitazione sociale portata avanti da organizzazioni locali e nazionali, università, Chiese locali e personalità di spicco che si sono impegnate nell'informare la gente in maniera esaustiva sulla questione discutendone il più ampiamente possibile. Poiché viviamo nell'era della comunicazione, inoltre, internet e in particolare i social media come Facebook e Twitter sono diventati uno spazio centrale, e a volte controverso, per il dibattito: lo Speaker's Corner (luogo di Hyde Park a Londra in cui oratori anche improvvisati tenevano i propri, ndt) dei nostri giorni.

L'importanza del vero dialogo
La sfida per me e per tutti noi è quella di tenere questi dibattiti e dialoghi in maniera costruttiva, pur rimanendo fedeli alle nostre convinzioni su che cosa sia meglio e giusto fare. Credo fermamente che la Scozia possa e debba essere indipendente, e finché rimango convinto che votare sì sia la maniera migliore di andare avanti sento che ho il dovere di promuovere questa visione. Lo stesso vale per chi desidera che la Scozia rimanga nel Regno Unito. Spesso è più semplice evitare le conversazioni insidiose e i disaccordi, e a volte può anche essere la cosa giusta da fare; ma questo modo di agire deprime invece che promuovere l'impegno politico, e non crea occasioni per approfondire la conoscenza reciproca.

Carità in azione
Di fronte a un referendum, c'è poco spazio per i compromessi: si può essere solo pro o contro. Quindi come fare per creare un dialogo politico costruttivo, che promuova la relazione e la fraternità, in un contesto così difficile? Con l'avvicinarsi del referendum, mi ha aiutato ricordare la figura Igino Giordani, uno dei cofondatori del Movimento dei Focolari, un politico italiano di spicco, per me un modello e una guida nella vita. Un giorno definì la politica come «carità in azione, servo, non padrone»: queste sei parole descrivono in maniera succinta e brillante sia il potenziale della politica che la maniera in cui deve essere vissuta.

Ho cercato di mettere in pratica queste parole in tutti i dibattiti sul referendum a cui ho partecipato, e a volte è stata una dura prova; ma ci sono state anche molte opportunità. Non molto tempo fa ci sono stati alcuni appelli da parte di alcuni uomini e donne di spettacolo a votare no, ampiamente avversati e ridicolizzati – a volte in maniera eccessiva – dal fronte opposto. Ho sentito che dovevo prendere posizione, quando potevo, e far notare che la strategia di usare i vip era utilizzata da entrambe le parti e che entrambe avrebbero continuato a farlo quando potevano. Ho cercato di sostenere l'idea che le campagne e i loro promotori non dovrebbero essere disprezzate per aver ottenuto il sostegno di una celebrità, semplicemente perché altri non ne condividono il messaggio.

In altri momenti ho avuto l'opportunità di dimostrare il mio sostegno ad attivisti di spicco del no, che hanno invitato i colleghi ad un dibattito più costruttivo. Possono sembrare passi molto piccoli, ma spero creino un clima favorevole al confronto e al dialogo invece di lasciare che questo si riduca a semplici chiacchiere. Inoltre mi ha aiutato a rinnovare il mio impegno di essere aperto agli altri, anche quando sono in forte disaccordo con ciò che dicono o con la loro opinione di voto.

Scolpito nella pietra appena fuori dal Parlamento scozzese c'è il noto passo della Prima lettera di San Paolo ai Corinzi: «Anche se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che risuona o cembalo che tintinna». Certamente questa è una prospettiva che tutti coloro che dibattono sul referendum dovrebbero impegnarsi ad adottare. Se ci riusciamo, saremo nella posizione migliore per continuare a costruire la Scozia, e il mondo, che vogliamo.

Traduzione di Chiara Andreola

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