Un pontificato carismatico

Una riflessione su uno dei più grandi pontefici che la Chiesa di Roma ha avuto in 2000 anni
Articolo
Se possiamo azzardare, Giovanni Paolo II passerà alla storia come uno dei più grandi pontefici che la Chiesa di Roma ha donato al mondo in duemila anni. Il suo magistero è ricchissimo. Sono eccezionali la sua attività e i gesti profetici che ha posto in essere e straordinario è l’influsso che ha esercitato il suo ministero: a livello culturale, sociale, politico, oltre che spirituale ed ecclesiale. Quando viene eletto si vive un momento di passaggio.

 

La chiesa, con Giovanni XXIII, il Papa buono, ha voltato pagina. Paolo VI è stato il grande papa del dialogo e dell’unità, il regista illuminato e discreto del compimento del Vaticano II e insieme della sua prima attuazione, in un periodo non facile come quello post-conciliare. Il mondo è diviso in due blocchi, ma urgono le spinte del cambiamento. Il compito di Giovanni Paolo II sarà quello di traghettare la chiesa nel terzo millennio in un mondo che sta assumendo un volto nuovo. Dopo il Vaticano II, dopo i viaggi di Paolo VI in India, all’Onu,a Gerusalemme, per la prima volta nella sua storia la chiesa diventa mondiale, proprio nel momento in cui si profila l’era della globalizzazione.

 

Percorrendo la storia personale di Karol Wojtyla si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un uomo preparato da Dio per il compito che lo attende. Lo si può dire a posteriori, ma leggendo i suoi scritti, come vescovo e prima come professore, si resta sorpresi. Egli ha fatto l’esperienza dura della guerra ed è stato operaio.È uomo di fede limpida, forte, sincera, radicata nella grande tradizione del cattolicesimo polacco. Ha una cultura ampia e ricca, ha studiato a Roma presso i domenicani, ma si è anche confrontato con la filosofia moderna, avvicinandosi alla corrente della fenomenologia che vuol conoscere la realtà umana senza pregiudizi ideologici. In teologia ha scritto una tesi sulla fede in Giovanni della Croce, e questo dice il suo temperamento mistico.

 

E infine è un artista: ha composto opere teatrali e poesie. Da giovane vescovo ha partecipato attivamente al Vaticano II, in particolare alla redazione della costituzione Gaudium et Spes, per molti versi il documento più innovativo del concilio, perché colloca la chiesa nel mondo di oggi come fermento di novità e spazio vivo di dialogo. In tutto il suo pontificato, Giovanni Paolo II vedrà quest’insegnamento come la stella di orientamento del cammino della chiesa.

 

Anche per questo è aperto alle nuove esperienze che sembrano preannunciare un’inedita primavera della chiesa. Il ministero del papa è certo frutto di un carisma, e cioè di un dono dello Spirito Santo; ma lui è anche personalmente un carismatico e ha interpretato carismaticamente il ministero petrino. Il suo pontificato non è quello di un pontefice che ha pensato soprattutto alla chiesa-istituzione, alla sua struttura, alle sue dinamiche interne, ma che ha guardato a trecentosessanta gradi, con l’occhio del profeta, alla storia e al mondo. Su questo sfondo, vorrei metterne in rilievo quattro chiavi di lettura.

 

La prima tocca il cuore del magistero di Giovanni Paolo II: Gesù redentore dell’uomo. È questo il titolo della sua prima enciclica, indicativa dell’indirizzo ch’egli intende dare al suo ministero: L’uomo è la via di Cristo e perciò è la via della chiesa. È quest’idea-forza che risuona sin dal messaggio lanciato nella messa d’inizio del pontificato: Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo, alla sua salvatrice potestà! Aprite i confini degli stati, aprite i sistemi economici, i sistemi politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo, non abbiate paura! Cristo sa che cosa è dentro l’uomo, solo lui lo sa!. Solo Cristo sa che cos’è dentro l’uomo perché solo lui, vero Dio e vero uomo, rivelando il mistero del Padre e del suo amore, rivela anche l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione. Così recita il testo della Gaudium et spes che senz’altro è il più caro a Giovanni Paolo II.

 

L’amore, dunque, l’amore che è la vita di Dio, l’amore che dischiude il mistero di Dio Trinità, è anche il segreto della vita dell’uomo. È questo il centro del magistero di Giovanni Paolo II. Si capisce così il progetto delle sue tre encicliche trinitarie: Redemptor hominis, su Gesù Redentore dell’uomo; Dives in misericordia, sul Padre amore misericordioso; Dominum et vivificantem, sullo Spirito Santo principio vivo di ogni novità. È la prima volta che un papa scrive delle encicliche sulle persone della Trinità, per sviluppare, da qui, un’antropologia rinnovata alla luce di Cristo e della Trinità nella serie di encicliche e interventi i più vari in cui egli illumina via via le perenni e insieme le più attuali realtà umane. Prima fra tutte la reciprocità trinitaria tra l’uomo e la donna: ecco la Mulieris dignitatem. È la prima volta che un papa scrive sul genio femminile.

 

Poi il valore del lavoro con la Laborem exercens: quel lavoro con cui l’uomo diventa più sé stesso perché trasforma, secondo il disegno di Dio, la creazione posta nelle sue mani. E ancora, inaspettatamente, la comprensione trinitaria dei rapporti tra i popoli e le culture in un mondo piagato da tragici e apparentemente insanabili conflitti. Ecco le due encicliche sociali: la Sollicitudo rei socialis e la Centesimus annus.

 

La prima dice che nell’età della globalizzazione occorre una solidarietà tra tutti gli uomini e che essa, per i cristiani, ha un modello: il rapporto di comunione tra le persone della Santissima Trinità. La seconda, pubblicata dopo la caduta dei sistemi politici del comunismo reale, rilancia il valore della libertà di mercato ma insieme quello della comunità del lavoro e della solidarietà coi poveri. Su questa solida base dottrinale, si staglia la seconda direttrice del pontificato: la chiesa attraversa la soglia del terzo millennio con dei gesti profetici che rischiarano il paesaggio del mondo. Il gesto ha un grande significato per Giovanni Paolo II: che comunica non soltanto con le parole, ma anche con fatti che dischiudono ciascuno un orizzonte sino a qui non conosciuto. Il primo è l’invito a respirare con due polmoni.

 

Giovanni Paolo, il papa venuto a Roma da lontano, dall’Europa centro-orientale, ha voluto accostare a san Benedetto, come patroni d’Europa, i santi Cirillo e Metodio, evangelizzatori dei paesi slavi. Ma ciò non basta. Respirare con due polmoni vuol dire riscoprire anche la reciprocità del maschile e del femminile. Ed ecco allora le compatrone d’Europa: tre come tre ne sono i patroni – Caterina da Siena, Brigida di Svezia, Edith Stein. Anche i viaggi sono un gesto che parla a tutti. Non c’è angolo del mondo che Giovanni Paolo II non abbia visitato per rendere tangibile la presenza di Gesù a tutti i popoli, a tutte le culture, a tutti i sistemi politici – soprattutto ai più poveri.

 

E poi l’ecumenismo, perseguito, nonostante tutto, con estrema convinzione. Basti pensare all’enciclica Ut unum sint, dove il papa ha compiuto un gesto che non ha ancora dato i risultati sperati, ma che certamente li porterà col tempo. Il ruolo del papa, infatti, resta motivo di difficoltà tra le chiese e le comunità ecclesiali, e Giovanni Paolo II si è detto perciò disposto a rivederne la forma d’esercizio. È un gesto che trova eco quando, all’apertura della porta santa dell’anno giubilare, egli ha voluto accanto a sé – a destra e a sinistra – un metropolita dell’oriente e il primate della Chiesa d’Inghilterra.

 

E come dimenticare i giovani e le famiglie? Giovanni Paolo II ha instaurato un nuovo tipo di rapporto con loro attraverso le giornate mondiali della gioventù e i grandi incontri delle famiglie. Momenti forti del suo pontificato, in cui il vangelo è stato testimoniato nella sua freschezza, bellezza e incisività e in cui sono confluite le esperienze innovatrici nate nel seno della chiesa in questi ultimi decenni. A livello del magistero sociale, politico ed economico vi sono poi alcuni temi che suonano senz’altro decisivi. Primo tra tutti quello dei diritti umani e della libertà religiosa.

 

Giovanni Paolo II diventa papa nel momento in cui il mondo vive il dramma della divisione nei due blocchi e sono conculcati i princìpi della libertà religiosa in tante parti del pianeta. Il papa ne denuncia la violazione e ne sottolinea l’imprescindibilità per una società che rispetti e favorisca la dignità integrale della persona. E certamente questo non è l’ultimo tra i fattori che hanno dato la spallata definitiva ai regimi totalitari dell’Est. Lo stesso vale per l’opzione preferenziale dei poveri.

 

Gli ultimi anni del pontificato di Paolo VI e i primi di quello di Giovanni Paolo II hanno visto crescere nella chiesa questa sensibilità evangelica. Si sono allora profilate le piste seguite dalla teologia della liberazione in America Latina e anche in altre regioni del mondo, col pericolo di sbandamenti sul piano dottrinale e pratico. Giovanni Paolo II ha sempre visto in Gesù, e quindi non in ideologie semplicemente umane, la chiave di soluzione delle questioni sociali più drammatiche del nostro tempo. Sempre dal punto di vista sociopolitico, versante decisivo è quello della pace.

 

Giovanni Paolo II è stato l’unico leader che, a livello mondiale, ha avuto la forza e la tenacia di farsi interprete profetico della nuova coscienza di pace che, come un fiume inarrestabile, sempre più si fa strada nell’umanità. Un altro tema delicato è oggi quello della democrazia, della crisi ch’essa vive in occidente, dove il metodo democratico si scontra con la necessità della salvaguardia e della promozione dei princìpi universali della verità. Come infatti si conciliano, teoricamente e concretamente, la democrazia, e cioè il rispetto di tutte le opinioni, col rispetto della verità di Dio sull’uomo? Toccano il nervo scoperto di questo problema la Veritatis splendor, sulla verità nella morale personale e sociale, e la Fides et ratio sul rapporto tra la fede e la ragione. Due encicliche difficili, anche controcorrente, ma che richiamano alla questione della verità nel suo significato universale e ineludibile, che va riproposto in forma nuova alla coscienza dell’umanità di oggi.

 

E poi il rapporto con le religioni. Giovanni Paolo II è il primo papa che compie il viaggio più lungo: quello che attraversa il Tevere per giungere alla sinagoga di Roma. È il ritorno del successore di Pietro a incontrare il popolo d’Israele da cui Gesù è nato secondo la carne. Ma egli è stato anche il primo papa a entrare, a Damasco, in una moschea. E il primo che, nel 1986, ad Assisi, ha realizzato l’intuizione profetica di chiamare a pregare per la pace, ciascuno nel proprio modo, tutte le tradizioni religiose, affermando che questa è l’immagine di chiesa del Concilio Vaticano II: una chiesa che si fa casa di tutti, rispettando ciascuno, perché sa che Dio ha i suoi tempi e le sue misure, una chiesa consapevole che la Verità è Gesù e che quindi non vuole e non può fare compromessi, ma che sa anche che Gesù ha inaugurato definitivamente la via del dialogo e dell’amore universale.

 

La terza prospettiva: Duc in altum! , come Giovanni Paolo II scrive nella sua lettera apostolica forse più bella, la Novo millennio ineunte. Prendi il largo! vuol dire, per la chiesa: Non fidarti delle sicurezze umane, vai dove non tocchi più la terraferma, fiduciosa e serena perché è il soffio dello Spirito che ti porta. Sì, Giovanni Paolo II ha ascoltato il soffio dello Spirito! Innanzi tutto nella preghiera. È un papa che ci ha colpiti tutti per l’intensità della sua preghiera e della comunione vissuta con Gesù eucaristia. Di qui la sua straordinaria sensibilità per la santità. I santi – egli ha detto – sono coloro che hanno avvicinato Gesù alla loro epoca. Per questo ha celebrato così tante canonizzazioni – più di tutti i suoi predecessori!

 

Lo ha fatto per sottolineare la vocazione universale alla santità, mettendo in luce i miracoli della grazia di Dio e della libera e generosa risposta della persona umana non solo in preti, frati e suore, ma nei laici, nelle madri di famiglia, nella gente semplice. Sempre per questo motivo, Giovanni Paolo II è stato il papa che ha riconosciuto il dono inestimabile del grande rinnovamento spirituale che ha attraversato la chiesa del Novecento. I nuovi movimenti e le nuove comunità ecclesiali li ha capiti, incoraggiati, fatti uscire a vita pubblica. Ha seguito con essi una sapiente pedagogia, introducendoli sempre più nella pastorale ordinaria della chiesa.

 

A Pentecoste, nel ’98, in preparazione del Giubileo, ha voluto in piazza San Pietro i membri di queste nuove realtà ecclesiali, definendo l’avvenimento un nuovo cenacolo di Pentecoste. E ha anche dato, dal punto di vista dottrinale, un’indicazione importante: il principio istituzionale e il principio carismatico, nella chiesa, sono coessenziali. Di qui la proposta fatta nella Novo millennio ineunte per la chiesa del terzo millennio: vivere la spiritualità della comunione per riportare Gesù risorto nel cuore del mondo. Né si può dimenticare il suo rapporto con Maria. Totus tuus è stato il motto del suo pontificato, tratto da san Luigi Maria Grignion de Monfort.

 

La presenza di Maria è stata qualcosa di straordinariamente profondo nella vita e nel pontificato di Giovanni Paolo II. Non penso soltanto al misterioso rapporto di grazia tra lo scampato pericolo di morte nell’attentato dell’81 e le apparizioni di Maria a Fatima, ma anche al suo aver riscoperto il profilo mariano della chiesa. Accanto al profilo apostolico e petrino, importante come questo e forse ancora più importante – egli ha detto – vi è il profilo mariano: nella storia della chiesa ci sono stati certamente grandi papi che l’hanno guidata, ma altrettanto e forse ancora di più vi sono state anche grandi donne che, interpretando il genio femminile, hanno rivestito di luce il volto della sposa di Cristo.

 

Ma c’è un’ultima prospettiva che mette il sigillo sulle altre: il magistero della croce. La cattedra di Pietro, per Giovanni Paolo II, è stata sempre una cattedra di testimonianza, la cattedra di quella croce interiore che, negli ultimi anni e con intensità crescente, è diventata anche a tutti visibile. Dopo l’attentato, Giovanni Paolo II scrive una delle sue lettere apostoliche più intense, la Salvifici doloris: Ora so meglio di prima – confessa – che la sofferenza è una dimensione della vita, nella quale più che mai profondamente s’innesta nel cuore umano la grazia della redenzione. Il cammino che Gesù gli ha chiesto nella sequela della croce, negli ultimi anni, è stato la realizzazione di questo.

 

È come se i vari fili del suo magistero – parole e gesti – si fossero concentrati in una silenziosa cattedra di vita che ha toccato il cuore di tutti, al di là delle fedi religiose e delle convinzioni. Non era più il papa giovane e forte che faceva gesti entusiasmanti e pronunciava parole incisive: il suo stesso essere è diventato parola, parola trasparente del suo darsi, tutto e sino in fondo. Come Gesù. Per lui e in lui. La luce – quella celebrata nei misteri ch’egli ha voluto incastonati nella preghiera mariana a lui così cara – scaturisce nel mondo dal Crocifisso. Come un fiotto insperato e copioso di vita nuova. E indirizza lo sguardo verso il Padre.

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