Un ponte verso il tuo mondo

Ci sono persone che magari incontri solo di rado, ma con le quali esiste un legame privilegiato: più ancora, a volte, di chi si frequenta normalmente. Domenico è una di queste persone rare. Il motivo per cui non può più allontanarsi da casa è spiegato nel racconto che segue, tratto dalle sue confidenze. Eppure, mentre si dedica ad una sola persona, la moglie Franca, la cui malattia assorbe ormai ogni sua energia, Domenico sa che, misteriosamente, per la legge dei vasi comunicanti, contribuisce al bene di tanti altri, e allo stesso tempo da loro riceve. Sei anni, Franca. Sono passati sei anni da quel periodo tremendo che, aprendomi gli occhi sul tuo stato di salute, ha segnato l’inizio del nostro calvario. Ad accorgersi per prima che qualcosa non funzionava in te è stata nostra figlia Rosanna quella volta in cui non ti ha trovata in casa. Dove potevi essere andata? Mai era successo che ti fossi allontanata dimenticando la porta aperta. Un’altra volta è toccata a me. Passeggiavamo. Ero entrato in un bar per giocare la schedina del Totocalcio, mentre tu attendevi fuori, accanto alla fermata dell’autobus. Un attimo e non ti ho più vista. Sparita. Credendo che fossi salita sull’autobus, ho fatto di corsa il suo percorso, prendendo una scorciatoia per raggiungerlo ad una delle successive fermate. Che azzardo, alla mia età! Infatti sono arrivato col cuore che mi batteva all’impazzata e al limite del collasso, nel momento in cui l’autobus giungeva. Ma tu non c’eri. Stravolto e angosciato non mi è rimasto che tornarmene a casa. Lì ho tentato di telefonare all’altra nostra figlia, Nadia. Niente, il suo studio medico suonava sempre occupato. Poco dopo invece era il mio telefono a squillare. Una nostra cara amica chiamava per tranquillizzarmi che stavi a casa sua. Ti aveva incontrata per strada mentre vagavi quasi assente; non ricordavi chi eri, dov’eri, e balbettavi frasi confuse. E non è stata l’ultima volta in cui ti ho persa eFino a quel momento le croci non erano mancate nella nostra esistenza: i problemi economici, l’impegno per offrire ai figli un futuro” e poi le loro scelte di adulti, non sempre da noi condivise. Ma tutto questo era passato. Ci preparavamo ad una serena vecchiaia, senza scosse. Ora invece sembrava che tutto venisse messo in discussione. Con la dolorosa certezza che cominciava la prova più cruda della nostra vita in comune, dall’anima mi è uscita questa silenziosa invocazione: “Dio mio, sì. Sia quello che tu vuoi. Solo, dammi la forza”. La forza” Devo dire che non mi è mai mancata da allora, anche nei momenti più duri – e sono stati tanti! Diversamente chissà quante volte mi sarei disperato. Ma non è stato così. Momento dopo momento, e soprattutto confidando in Dio. Non c’è nulla di troppo superiore alle forze umane se si vive così: in un pezzetto di tempo si possono sopportare tante cose. Così pure mi sono sentito sostenuto in tutta la serie di visite ed esami neurologici (quanti!), di notti insonni per consolare te, che cominciavi a renderti conto della tua situazione, o passate a chiedere un miracolo. Tra momenti in cui sembravi tornata la Franca di sempre ed altri, invece, in cui ci sentivamo inghiottiti tutti e due in un tunnel oscuro e senza sbocco. Anche quando la diagnosi è stata senza speranza e le stesse medicine per l’Alzheimer non hanno più fatto effetto, sono riuscito a non cedere alla disperazione grazie ad una forza che non veniva certo da me. Ormai dovevi essere sorvegliata di continuo. Per dedicarmi soltanto a te, ho chiuso quella bottega che non era solo fonte di entrate, ma occasione per poter essere utile ancora a tanti, si trattasse di ascoltare semplicemente qualcuno, di offrire un consiglio o una parola di conforto… Di te mi commuoveva una cosa: quando ti trovavi in compagnia, la tua abitudine a vivere proiettata fuori di te, per gli altri, sembrava rimasta intatta: sfoggiavi ancora il tuo bel sorriso, e diventavi ancora più affettuosa, materna, come a voler compensare ciò che perdevi in lucidità. In quei momenti mi sembravi quella di sempre, la Franca di cui mi ero innamorato nel paesino della nostra giovinezza da cui eravamo poi emigrati, tanti e tanti anni fa, per trasferirci, sposati, nella grande città, a iniziare una vita di sacrifici ma sempre gioiosa per il dono della fede e dei figli. E mentre ti guardavo ammirato, mi chiedevo se fossi pienamente consapevole di quale male ti stesse distruggendo. Avevamo condiviso tutto, ma forse per la nostra origine contadina, dove più che con grandi discorsi ci si impara a capire con gli sguardi e i silenzi, del tuo problema non parlavamo mai. Sembrava che insieme recitassimo una commedia, dove ognuno faceva la sua parte per nascondere all’altro ciò che poteva pesargli. Ma altre volte, a causa della malattia, diventavi aggressiva, ti comportavi quasi come se io fossi tuo nemico. Non eri più tu, la dolce mia compagna, eri un’altra persona, quasi un'”estranea” che mi costringeva a chiedere perché, a cercare nel fondo dell’anima un senso a quelle reazioni di dolore e di rivolta. Allora credo di averti amata ancora di più. Ormai dovevo sostituirti nelle faccende di casa, io che non avevo mai voluto intromettermici in quanto “maschio” rude e concreto. Alla mia età, mi sembrava di essere diventato un scolaretto che deve imparare tutto: dal far la spesa a cucinare a mettere in funzione una lavatrice… E questo – almeno fin quando hai conservato una certa lucidità – dandoti l’impressione di farlo come aiuto a te: perché non ti sentissi inutile. Quanti sbagli umilianti, ma anche quante cose ho imparato, di cui non m’ero mai reso conto in cinquant’anni di matrimonio. Mettermi nei tuoi panni nel condurre una casa mi faceva scoprire, malgrado tutto, nuove possibilità di servirti, delicatezze d’amore in me Resi più responsabili dalla tua malattia, i nostri figli cercavano di contribuire per quanto possibile alla gestione della casa, talvolta dandomi il cambio accanto a te per consentirmi qualche tempo di necessario relax. Ma più di tanto non potevano fare: avevano anche loro una famiglia, un lavoro, impegni a cui badare. E poi io stesso non volevo cedere ad altri il privilegio di essere, in pratica, il tuo vero sostegno. Quante volte mi sono tornate in mente quelle parole del patto matrimoniale: “nella salute e nella malattia “! Ci sono cose a cui non si pensa mai, ma che la vita si occupa poi di ripresentarti al momento giusto. E siamo arrivati ad oggi. Un oggi che, sotto un aspetto, non si potrebbe pensare più preoccupante. Tu ormai non ti rendi conto più di niente, né di dove vivi, né del tempo, né delle persone. A volte credo che non riconosci più neanche me. Sembri appartenere ad un altro mondo verso il quale, testardamente, ogni momento cerco di gettare un ponte. Devo anche confessarti questo: ci sono momenti in cui discuto con Dio, “lotto” con lui. Vorrei capire il perché di quanto ci è capitato, dopo una vita che abbiamo cercato di essergli fedeli. Sì, un giorno capirò, e sarà convincente perché lui stesso vorrà illuminarmi, attraverso qualcuno o una circostanza” Tu non puoi saperlo, Franca, ma grazie a te m’è parso di comprendere meglio anche Maria. Fin da piccolo ho avuto con la Madonna un rapporto filiale, affettuoso, ma con l’esperienza di questi ultimi anni è diventato tutt’altra cosa. È come se lei avesse preso stanza a casa nostra. Proprio quando mi sentivo più impotente ad aiutarti, l’immagine della Madre desolata che sostiene il cadavere del suo Gesù si è come incisa nell’anima. L’ho sentita vicina come non mai, oserei dire che mi sono sentito immedesimato in lei, nei suoi sentimenti, nel suo essere anch’io, in certo modo, madre che tutto crede, sopporta e spera.

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