Un ponte sul mare

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Senza volerlo, capito nel capoluogo barese il 19 dicembre, una data importante per l’ortodossia slava: è la festa di San Nicola, il santo più venerato nell’oriente cristiano. La cripta della basilica di San Nicola, il vescovo di Myra, dove dall’XI secolo sono conservate le ossa del santo, è invasa da una folla compatta ma raccolta, proveniente da Russia, Ucraina, Bielorussia, Moldavia… Uomini, donne e bambini, uniti dalla stessa fede granitica, fanno la fila per potersi chinare sotto l’altare, a venerare le ossa del santo. Stupisce la fede di gente che si è imbarcata in un viaggio in pullman di una settimana, senza soste in alberghi, per poter risparmiare… Stupisce ancor di più il fatto che nella cripta di un luogo di culto cattolico vi sia una cappella ortodossa, affidata alla cura e all’amministrazione del patriarcato di Costantinopoli, voluta nel 1968 da Paolo VI e Athenagoras I. Un segno di unità, piccolo ma importante. La cripta è simbolo della vocazione ecumenica di Bari, città aperta verso l’oriente cristiano, non solo per gli addetti ai lavori, ma anche per il popolo. Sì, proprio del popolo. Tutti ricordano come fosse ieri lo sbarco impressionante di albanesi dell’agosto del 1993: le autorità furono prese alla sprovvista, ma la popolazione no. Non si perse d’animo, e tirò fuori dalle proprie case quanto pensava potesse essere utile ai naufraghi. Tra di loro molti erano cristiani di varie chiese. E non è stata ancora cancellata dal benessere la tradizione della Bari vecchia, la più popolare, di accogliere nelle proprie case i pellegrini in visita alle spoglie di san Nicola. Zia-zii, si dice, cioè che i pellegrini erano gli zii degli zii… Abituati alle dominazioni straniere, i baresi hanno per secoli scelto la strada della conciliazione pratica, evitando ribellioni, ma cercando vie di integrazione e dialogo dal basso. Il gruppo ecumenico L’ecumenismo del nostro laboratorio di comunione è innanzitutto un incontro di vita, un cercare insieme di pregare, ascoltarci e conoscerci. Non abbiamo pretese teologiche, ma solo quella di vivere tra di noi il reciproco amore cristiano . Così Francesco Megli, professore universitario, sintetizza lo scopo del Gruppo ecumenico di Bari di cui da una decina d’anni è presidente. Continua: È il rapporto tra di noi, l’amore reciproco che testimoniamo, che convince i nostri interlocutori della bontà dello sforzo ecumenico. Più di ogni parola. È un legame leggerissimo, quello dell’amicizia, ma cresce nelle case in cui ci riuniamo, nelle parrocchie nelle quali testimoniamo, nella corale composta da membri di diverse chiese che interpretano brani delle varie tradizioni . Attività del gruppo? Accompagnare lo sforzo ecumenico con tavole rotonde, incontri, preghiere, catechesi, servizio ai poveri… In una parola, testimoniare Cristo che lega. Simona Paula Dobrescu è ortodossa rumena, sposata ad un italiano. Dottore in teologia, è uno dei pilastri del Gruppo ecumenico. Non c’è nessuna volontà di assorbimento nel nostro gruppo, ma solo il desiderio di conoscersi, di apprezzarsi. Abbiamo un unico criterio di unità: il Cristo. Il gruppo ha iniziato le sue attività nel 1984, ma con prodromi già nel 1972. Non è un gruppo ufficiale, ma un convenire libero di fedeli sensibili alla tensione ecumenica, sull’esempio del card. Bea che entrava al Consiglio ecumenico delle chiese: diceva di esser lì come fratello… Non esiste per noi un ecumenismo occasionale – prosegue Simona Paula Dobrescu -, ma un cercare di essere sempre ecumenici. Noi cerchiamo di tenere vive le speranze che la gente di questa terra coltiva da secoli. La passione Don Angelo Romita è un appassionato. Come definire altrimenti un prete che ha consacrato il suo ministero in toto all’unità dei cristiani, compiendo ancora negli anni Sessanta atti che potevano allora sembrare rivoluzionari? S’infervora, don Angelo, delegato della diocesi per l’ecumenismo, ogni volta che si parla di unità delle chiese. L’ecumenismo si addice a Bari perché, in certo modo, è come un porto, un porto di mare, che accoglie a braccia aperte il viaggiatore, chi viene dal mare e da oltre il mare. Il Mediterraneo è il mare della fede perché unisce le tre religioni monoteiste, ma anche perché collega le Chiese d’oriente e d’occidente . Una buona entrata in materia. Prosegue: Il mare è considerato dalla Bibbia il luogo dei mostri, ma anche quello della pace. Ecco, la Puglia in campo ecumenico non ha mai prodotto mostri, ma solo fatti di pace. Perché Bari e le Puglie? Per la sua posizione strategica, per il concilio del 1098, un serio tentativo di riconciliazione tra chiese; per la presenza sin dall’XI secolo delle reliquie di san Nicola; per il fatto che l’arcivescovo di Bari, mons. Nicodemo, fu scelto da Paolo VI per recarsi a Costantinopoli dopo il Concilio, il 7 dicembre del 1965, per l’abolizione delle reciproche scomuniche; perché nel 1986 e nel 1987 si tennero a Cassano Murge le finora ultime sessioni della commissione mista per il dialogo teologico tra Chiesa cattolica e Chiese ortodosse… E potrei continuare a lungo. La geografia dell’ecumenismo barese? Don Angelo Romita guarda il cielo, poi mi risponde: Non lo so, a dire il vero. L’immigrazione ha portato qui tanti ortodossi di diversi patriarcati e chiese, ma è difficile quantificare il fenomeno e riuscire ad agganciarlo. Dalla Grecia, ad esempio, vengono migliaia di studenti, e dalla Russia i pellegrini sulle tracce di san Nicola sono decine di migliaia, forse addirittura centinaia. Più stabili sono invece le comunità evangeliche e protestanti, valdesi e avventisti. Con loro il rapporto è regolare. C’è un ecumenismo stanziale e uno di transito. In processione con frère Roger Ma don Angelo mi riserva per la fine del nostro colloquio un episodio che ha il sapore della provvidenza, e che ben sintetizza la naturale predisposizione barese al dialogo. È un episodio che ha come protagonista frère Roger di Taizé, ucciso nell’agosto scorso da una squilibrata. Per una serie di circostanze fortuite, o provvidenziali piuttosto, egli si trovò a soggiornare per qualche settimana a Bari, proprio nella chiesa affidata all’epoca a don Angelo, Santa Scolastica, a ridosso del porto, nella zona più povera della città. Anni prima don Angelo aveva cercato di incontrare il priore di Taizé, ma invano. E il vescovo di allora, il benedettino mons. Magrassi, aveva ricevuto proprio a Taizé da frère Roger, la spinta decisiva a trasferirsi nelle Puglie. Fatto sta che, per la Settimana dell’unità dei cristiani del 1978, il vescovo invitò proprio frère Roger. Per una serie di circostanze fortuite, si ritrovò a vivere in una casa diroccata, dinanzi a Santa Scolastica. Lì i 18 novizi che lo avevano accompagnato e che avrebbero desiderato lavorare come spazzini e scaricatori, furono invece accolti dalla gente come fratelli, ospiti, zii. L’apoteosi ebbe luogo l’ultima sera, allorché frère Roger propose a mons. Magrassi di recarsi nottetempo in processione da Santa Scolastica alla cattedrale – un chilometro di percorso nei vicoli della Bari vecchia -, pregando e cantando. La gente si unì alla processione, attratta dalla semplicità dell’iniziativa, che non terminò in cattedrale – non si trovava la chiave – ma nell’episcopio: i poveri della città entrarono negli uffici, nella cappella, nelle sale, come ospiti d’onore, felici di sentirsi accolti in quel luogo. DUE PAPI SU BARI ECUMENICA La compresenza del mondo bizantino e di quello latino hanno profondamente segnato la storia di questa città e di questa regione; ed il passato, con le sue istanze e le sue speranze, più che nei monumenti della storia – così splendidi in terra di Puglia! – continua a vivere nelle tracce da esso lasciate in modo indelebile nell’anima pugliese (Giovanni Paolo II, a Bari, il 26 febbraio 1984). Proprio qui, a Bari, città che custodisce le ossa di san Nicola, terra di incontro e di dialogo con i fratelli cristiani dell’oriente, vorrei ribadire la mia volontà di assumere come impegno fondamentale quello di lavorare con tutte le energie alla ricostruzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo (Benedetto XVI, a Bari, il 29 maggio 2005).

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