Un poeta al castello

La rocca di Duino, oasi di bellezza e rifugio sereno per Rainer Maria Rilke
Castello di Duino

Nello stesso incantevole golfo di Trieste dove biancheggia un altro castello di sogno, quello di Miramare, ma di esso più antica di secoli, si erge la rocca di Duino sull’aspro promontorio dove – ai tempi di Diocleziano – sorse una torre romana di avvistamento, oggi incorporata nel mastio. A signoreggiare il castello e l’annesso piccolo borgo marinaro si avvicendarono sul posto diversi casati, ciascuno dei quali lasciò una traccia sia nella costruzione che nell’arredo.
 
Può stupire, dato il luogo così appartato e tranquillo, ma qui la storia non è stata avara di eventi anche drammatici. Per limitarsi ai più recenti, a motivo della sua posizione strategica il castello fu gravemente danneggiato dall’artiglieria pesante italiana nel corso della Prima guerra mondiale e lungamente occupato durante e dopo la Seconda: prima dai tedeschi di Kesserling, poi dai partigiani di Tito, successivamente dai neozelandesi del generale Freyberg e per ultimo dal comando alleato del territorio libero di Trieste, che vi rimase fino al 1954, anno in cui il proprietario, il principe Raimondo della Torre e Tasso, vi fece ritorno issandovi per primo la bandiera dell’Europa unita.
 
Aperto oggi in parte al pubblico, il castello col suo parco è un’oasi di bellezza che incanta. Anche se non mancano le leggende truci, com’è tradizione in questi siti: la più nota riguarda un’antica castellana precipitata in mare dal marito geloso e tramutata in bianchissima roccia dalla pietà divina.
 
Tradizione dei signori di Duino era di ospitare personaggi illustri: nobili, regnanti, filosofi, letterati, musicisti. E poeti. A partire da Dante Alighieri, venuto qui quale ambasciatore di Cangrande della Scala. Si dice anzi che questa terzina della Divina Commedia gli sia stata ispirata in quella occasione: «Io venni in luogo d’ogni luce muto/ che mugghia come fa mar per tempesta/ se da contrari venti è combattuto».
 
Ma è di un altro poeta, Rainer Maria Rilke, che voglio parlare. Egli soggiornò nel castello nell’inverno del 1912, ospite della principessa Marie von Thurn und Taxis (questo il cognome, prima che venisse italianizzato),  alla quale fu legato da amicizia e reciproca stima. Ispirato dalla particolare atmosfera del luogo, durante una passeggiata su un sentiero lungo la scogliera, mentre imperversava la bora, questo poeta austriaco di origine boema scrisse le prime due Elegie duinesi, le celebri composizioni completate solo dieci anni dopo in un altro castello, quello di Muzot in Svizzera, dedicandole alla principessa Marie.
 
Rilke morì prematuramente di leucemia. Dotato di una sensibilità esasperata, per tutta la vita sentì l’angoscia di essere un “senza patria”. Probabilmente fu a Duino che trascorse i suoi giorni più sereni. Nel Diario che la nobildonna dedica a questa amicizia, si legge a proposito di lui: «Ho visto mai un volto più luminoso e ascoltato parole più serene? Sembrava che egli avesse risolto l’enigma della vita; accettava gioia e dolore, felicità e infelicità, accettava tutto e tutto capiva con indicibile giubilo. Estasiata lo ascoltavo, profondamente commossa di vedere improvvisamente illuminato quel volto che di solito era colmo di una sconfinata malinconia. Avrei dovuto intuirlo: aveva raggiunto la meta e scalato la cima più alta e visto il volto di Dio: non gli restava che la morte».
 

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