Un piano di risanamento per la Terra dei fuochi

Intervista a Paolo Pedone, preside del dipartimento di Scienze ambientali di Caserta sul rapporto tra Università, territorio ed emergenza ambientale. «Bisogna programmare la salvaguardia dell'ambiente a lungo termine. Servono buone politiche, monitoraggio costante e sensibilizzazione della gente»
Paolo Pedone

Paolo Pedone, biochimico, è preside del dipartimento di scienze ambientali dell’università di Caserta. Lo incontriamo nel suo studio, dopo un giorno di intenso lavoro e mentre non scema l’allarme sulla Terra dei fuochi, un territorio che lo riguarda da studioso e da cittadino come ci tiene a precisare sin dalle prime battute.

Terra dei fuochi, terra di emergenze e di incurie?

C’è una valenza positiva in questo dramma del nostro territorio che è quello della consapevolezza da parte di tutti del fatto che non c’è stata sufficiente attenzione alla salvaguardia del nostro ambiente. Abbiamo una problematica ambientale diffusa e molto seria, sulla quale però si è data enfasi eccessiva e univoca. Sotto Terra dei fuochi i media hanno racchiuso mille tipologie di emergenze ambientali che vanno dalla criminalità organizzata che gestisce rifiuti illeciti, alla piccola discarica abusiva, all’abitudine di buttare la risulta di un’abitazione abbattuta nel terreno di un vicino, o ancora agli scarichi di una conceria. Sono tutte modalità che hanno impatti ambientali molto diversi, ma per il cittadino hanno la stessa valenza quando di fatto non è così. E’ un urlo di dolore troppo forte tanto da assordare tutto quello che c’è intorno, ma non possiamo pensare di risolvere murando un’intera regione. Noi campani viviamo quest’emergenza con rabbia con una certa frustrazione ma anche con la sottile speranza che qualcosa cambi.

Le sembrano sufficienti le misure finora prese per rispondere a quest’emergenza?

Abbiamo avuto una bella esperienza con il protocollo per la salvaguardia ambientale proposto della procura di Santa Maria Capua a Vetere che ha voluto mettere in rete tutte le istituzioni, sia quelle che si occupano di ricerca che le forze dell’ordine e questo ha prodotto risultati interessanti. Sognerei però che un’idea simile non nascesse dalla procura ma dalle istituzioni, dalla volontà di far chiarezza in un campo complicatissimo come quello ecologico. Manca, a mio parere una rete inter-istituzionale di monitoraggio: esistono una serie di competenze diffuse che non dialogano tra loro.  e questo non ci consente di avere certezze su tanti fronti. Ci sono troppe istituzioni con sovrapposizioni di competenze mentre dovrebbe essere chiaro chi si occupa di monitoraggio, chi di lettura e interpretazione dei dati, chi di autorizzazioni: manca di fatto una banca dati dove siano inseriti i permessi per l’attività produttiva, le sintesi delle rilevazioni delle Asl, quei fatti di notevole rilevanza penali; le analisi del territorio e così via. C’è frazionamento e quando non ci sono dati univoci e certi non si possono tirare conclusioni scientifiche.

Qual'è il ruolo dell’università?

Noi non abbiamo la forza di produrre dati significativi che possano dire se un territorio sia inquinato o meno, ma possiamo leggerli. Non è la nostra missione fare un campionamento del territorio, ci sono già gli organi di polizia che lo fanno con grande professionalità  ma può offrirsi per contribuire alla raccolta e soprattutto alla sua interpretazione, può collaborare affinché il campionamento sia fatto con criteri scientifici. Spesso i cittadini ci interpellano chiedendoci se un prodotto è inquinato o no, ma non è possibile farlo senza adeguati dati e senza monitoraggi seri, anche se tanti nostri colleghi studiano queste tecniche e hanno sviluppato sensori di rilevazione dei rifiuti. Il nostro vero contributo sono gli studenti, la formazione delle persone: sono questi cittadini a fare la differenza di un territorio.

Quanto un centro di produzione scientifica come quello che lei dirige può incidere

Poco. La comunità scientifica può aiutare a far sì che si esca da un’ottica emergenziale e si comici a discutere in maniera più tecnica la questione del problema dei rifiuti. Dovremmo contribuire a fare maggior chiarezza sulle buone pratiche perché siamo interlocutori di studenti, imprenditori, docenti e tecnici. Noi vogliamo metterci a disposizione delle istituzioni, dell’innovazione per dare valore autorevole a scelte e leggi e dare contributi anche alle piccole e medie imprese che vogliono rinnovarsi. La provincia di Caserta era la provincia con il più basso numero di universitari della Campania, oggi ne contiamo 23mila: siamo diventati un catalizzatore di conoscenza.  

In questo territorio si muore troppo di tumore. Avete dati che confermano questa tendenza?

L’istituzione di un registro dei tumori nella nostra provincia non è sufficiente, perché ci vuole tempo prima che diventi operativo ed offra dati significativi e conclusioni efficaciIl tumore è la tipica patologia dovuta a mutazioni genetiche ma qui abbiamo anche altre patologie come quelle respiratorie. Le variabili che intercorrono tra aria, acqua e catena alimentare sono molto complesse da gestire e analizzare. Se non conosciamo cosa mangia una persona e da dove viene quello che mangia, non possiamo capire l’impatto degli alimenti, soprattutto oggi quando il 90 per cento di quello che mangiano non proviene dal territorio in cui viviamo. Ci sono tanti indizi che dimostrano l’incremento della mortalità per tumore, ma non è lo stesso ovunque e vanno individuate le zone realmente critiche.

Quali sono le sue proposte per intervenire concretamente?

Non c’è un piano ambientale nel nostro Paese e questo si riverbera nella gestione del territorio e nell’assenza di una programmazione a lungo e medio termine della sua salvaguardia. Rincorriamo eventi ed emergenze e quando si rincorre, l’errore è sempre in agguato. Ben vengano le iniziative ma serve programmare per intervenire sui posti che necessitano intervento. Un sistema che funzioni dovrebbe lavorare su buone politiche, monitoraggio costante del territorio e sensibilizzazione della popolazione. La sensibilizzazione per me significa consentire alle persone di operare in maniera semplice, ad esempio dove la raccolta differenziata si è capita, si sono raggiunti in breve tempo risultati notevoli. Attenzione poi a non trasformare tutto in emergenza perché questo scoraggia le persone che sentono inutile il loro contributo e quindi invece che sfruttare positivamente l’emotività di questo momento, l’effetto diventa l’impotenza. Da dieci anni viviamo in emergenza rifiuti e questo per me è un paradosso, perché dà l’idea che la classe dirigente non diriga nulla.

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