Un palloncino dal cielo

Un medico chirurgo siciliano continua a raccontarci brani di vita in ospedale.
Articolo
Una telefonata mi lascia senza parole. C’è una bimba ricoverata per essere sottoposta ad un trapianto di cuore. La situazione familiare è assai difficile perché l’unico fratellino è autistico ed ha bisogno di tante attenzioni. Come posso essere di aiuto? I genitori non sono della mia città e cercano un alloggio. Mi offro di aiutarli a trovare una sistemazione, poi mi metto a disposizione per far fare al bambino delle lunghe passeggiate in macchina: sono gli unici momenti nei quali sta tranquillo.

Vengo a sapere che la bimba compirà dieci anni proprio in questi giorni. Decido di organizzarle una festicciola e coinvolgo alcune ragazzine della sua età. Mia madre prepara una torta al cioccolato ed io la decoro con dei pupazzetti di zucchero. Prepariamo con le altre bambine un biglietto d’auguri con tanti disegnini, poi compro un regalo e procuro caramelle, una tovaglietta colorata, candeline, bibite…

È la vigilia quando, dopo aver preparato tutto per la festa, mi viene in mente che sarebbe stato bello comprare dei palloncini colorati per decorare la stanza dov’è ricoverata la piccola. Nemmeno a farlo apposta mia madre, rientrando dal balcone, mi dice di avervi trovato un palloncino. Chiede al portiere di accertarsi a chi possa appartenere; lui citofona a casa dei bambini che abitano vicino, ma nessuno di loro lo ha smarrito. È un palloncino rosa con su scritto: «Buon compleanno». Lo porto in regalo alla bambina e lo leghiamo vicino al suo lettino. Lei lo accoglie con gioia: tutti, leggendo la scritta, sapranno così che è la sua festa! Io racconto come è arrivato. Quel dono arrivato dal cielo commuove tutti e dà la certezza dell’amore di Dio.

 

Come Cenerentola

 

Una amica mi offre un paio di stivali nuovissimi numero 35. «È stato un acquisto sbagliato – mi dice –. In realtà mi stanno stretti e sono riuscita a metterli solo una volta. Vanno bene a te o conosci qualcuno che può averne bisogno?». Anche a me però stanno stretti. Comincio a chiedere a delle conoscenti, ma nessuna ha una misura così rara.

Una mattina, mentre sono di turno in ambulatorio, una delle infermiere sosta nella mia stanza in un momento di pausa. Le racconto, non so perché, di quegli stivali e le dico, scherzando: «Sono certa che qualcuno li ha chiesti al Padre Eterno e che lui vuole farli arrivare attraverso me, ma non mi ha fatto sapere chi è che glieli ha chiesti». L’altra si fa seria e accenna ad un’infermiera che conosco bene. È proprio quella più antipatica e che ha avuto nei miei confronti un comportamento scorretto.

Accetto di provare se quegli stivali possano andarle bene. Lei arriva, li prova e sembra la scena delle scarpine di Cenerentola: sono praticamente perfetti! Commossa dal regalo, esclama tutta contenta: «Ma allora Gesù mi vuole bene!». E ci confida che deve andare a Milano per dei gravi problemi di salute, che lì dove va fa freddo e avrebbe avuto bisogno di stivali, senonché con tante altre spese da affrontare non poteva permetterseli; così aveva proprio chiesto a Gesù di procurarglieli.

Mi commuovo anch’io e dimentico tutto: come se potessi vedere al di là di un muro ch’è crollato, mi accorgo di aver imparato una grande lezione.

 

Fra le braccia di Dio

 

Capisco bene cosa può provare una madre quando apprende la notizia che la sua bimba appena nata ha la sindrome di Down. Sembra che tutto crolli. Un’attesa di nove mesi, tanti sogni, tanti progetti ed ora questa diagnosi spietata. Chi aiuta queste famiglie? Chi dà loro il coraggio?

Occorrerebbe veramente promuovere una cultura della vita. Bei discorsi, penso, quando apprendo che nel nostro reparto si ricovera una bimba non riconosciuta dalla madre perché affetta proprio da questa malattia; deve subire un intervento a causa di una malformazione associata.

Che posso fare per lei, mi chiedo, oltre che prendermene cura particolare, sincerarmi che abbia dei vestitini e quanto le serve?

Prima dell’intervento, sapendo che corre dei rischi, la battezzo di nascosto (gli altri colleghi non avrebbero condiviso la mia scelta). Sento così di metterla nelle mani di Dio.

L’intervento va bene, ma io vorrei trattenerla in reparto ancora qualche giorno per trovare una famiglia affidataria che possa prendersi cura di lei. Il primario però la vuole dimettere subito, non vuole seccature, né avere a che fare con il Tribunale dei minori. Il suo è un netto atteggiamento di contrasto verso il mio interessamento, veramente inspiegabile. Sono costretta ad arrendermi e non riesco a fare altro per quella bambina.

Mi dicono che sarà trasferita in una casa famiglia. Dopo pochi giorni trapela la notizia che la bimba è morta. Rimango come pietrificata: forse se fossi riuscita a trovarle una famiglia questo non sarebbe accaduto… ma nel cuore mi torna la pace ripensando al momento del battesimo. Ora è davvero fra le braccia di Dio.

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