Un mondo sempre più caldo

Il 2022 è stato l’anno più caldo mai registrato in Europa occidentale e non solo. Il trend proseguirà.

La recente ondata di calore, come oramai evidente, non è uno dei soliti episodi anomali: infatti, questa anomalia sta diventando la costanza. È quanto risulta anche dall’ultima relazione “Lo stato europeo del clima”, il sesto di una serie di bollettini annuali dell’Unione europea (Ue) sul clima, riferita ai dati del 2022, condotta anche grazie alle analisi dei dati forniti dal sistema satellitare europeo Copernicus.

Ebbene, gli ultimi otto anni sono stati i più caldi mai registrati per il globo nel suo complesso, il 2022 è stato il quinto o il sesto anno più caldo, secondo una serie di dati utilizzati, mentre il 2022 è stato l’anno più caldo mai registrato per gran parte dell’Europa occidentale, per parti dell’Africa nordoccidentale, Corno d’Africa, Iran, Asia centrale, Cina e Kamchatka, per la Melanesia e la Polinesia dalla Papua Nuova Guinea alla Nuova Zelanda, e su alcune altre parti dell’Oceano Pacifico e intorno alla penisola antartica.

Nello specifico, la temperatura globale media annuale per il 2022 è stata tra 0,25° e 0,30° superiore a quella del periodo di riferimento 1991-2020, il che significa tra 1,1° e 1,2° al di sopra del periodo di riferimento 1850-1900, spesso considerato rappresentativo del livello preindustriale. Le temperature nel 2022 sono state in media superiori di oltre 2° rispetto al livello 1991-2020 su parti della Siberia centro-settentrionale e lungo la penisola antartica.

In Europa, la temperatura d’estate ha registrato 1,4° sopra la media e 0,3–0,4° sopra il precedente massimo raggiunto nell’estate del 2021. La maggior parte dell’Europa occidentale ha vissuto tali ondate di caldo, laddove la temperatura ha raggiunto oltre 40° nel Regno Unito per la prima volta. Nelle regioni nel sud-ovest e nell’ovest, sono stati registrati fino al 30% in più di giorni caldi rispetto a media, con temperature estreme. Anche la temperatura media della superficie dei mari europei è stata la più calda mai registrata. Inoltre, 73% dei laghi sul continente europeo ha registrato temperature superiori alla media, le più calde in Spagna e le più fresche in Ucraina.

Per quanto riguarda le piogge, il 2022 è stato fino al 10% più secco della media. Maggio è stato il mese più secco, con il 21-28% in meno di precipitazioni rispetto alla media, mentre settembre è stato il mese più piovoso, con il 13-21% in più di precipitazioni; i giorni di pioggia sono stati di meno rispetto alla media, in particolare in Francia, Italia e Polonia.

Tutto ciò ha avuto un impatto sull’umidità del suolo, che ha toccato il secondo livello più basso negli ultimi 50 anni. La maggior parte dei mesi, infatti, ha sperimentato un’umidità del suolo inferiore alla media, con il minimo di luglio a -8%, e il massimo in settembre a +2%. I paesi dell’Europa centrale hanno sperimentato una siccità prolungata che non ha colpito solo il suolo superficiale umidità, ma anche strati di terreno più profondi.

Ancora, per 10 mesi nell’anno, la portata dei fiumi è stata sotto la media, in particolare la seconda più bassa mai registrata in Europa, segnando il sesto anno consecutivo sotto la media, con il 63% dei fiumi che vede flussi al di sotto della media: anche in questo caso, il 2022 è stato l’anno più secco mai registrato.

Le temperature superiori alla media e una persistente mancanza di precipitazioni ha innescato una significativa siccità che ha colpito la maggior parte dell’Europa. A marzo, da maggio ad agosto, ottobre e dicembre (iniziato con un’ondata di freddo), le temperature raggiunte sono state tra i 7 e i 10°C più elevate rispetto alla media. Le alte temperature e la siccità hanno facilitato la diffusione e l’intensificazione di grandi incendi, risultanti nel complesso nella seconda più estesa superficie mai bruciata in tutti gli Stati membri dell’Ue, ben 900.000 ettari. L’Europa centrale e la regione del Mediterraneo sono state le aree più colpite, con episodi di incendi che hanno interessato superfici superiori a 10.000 ettari (in Cechia, Francia, Portogallo, Slovenia e Spagna).

Inoltre, in gran parte dell’Europa centrale e meridionale, ci sono stati fino a 20 giorni di neve invernale in meno, quelli dove la neve raggiunge almeno 1 cm di altezza, rispetto alla media, e fino a 50 in meno in alcuni luoghi. Le Alpi italiane sono state tra le zone più colpite, con nevicate primaverili fino al 60% sotto la media.

La carenza di neve influenza anche lo scioglimento dei ghiacciai. Del resto, è stata riscontrata una perdita record di ghiaccio dai ghiacciai delle Alpi, equivalente a 5 km³ di ghiaccio o una perdita media di profondità dei ghiacciai di oltre 3,5 m di ghiaccio. Ancora, entrambe le regioni polari hanno sperimentato condizioni insolitamente calde nel 2022. Il ghiaccio marino antartico ha raggiunto il livello più basso registrato a febbraio. Nel corso dell’anno, la calotta glaciale della Groenlandia ha raggiunto il massimo finora registrato del suo scioglimento, 8° al di sopra della media stagionale, con almeno il 23% della sua area colpita durante una delle tre ondate di caldo a settembre. Questa perdita di ghiaccio si è intensificata sempre più, a partire dagli anni ‘90, contribuendo all’innalzamento globale del livello del mare di oltre 3 cm. Nel complesso, dagli anni 70 la Groenlandia e l’Antartico hanno perso più di 11.000 km³ di ghiacciai. Tra il 1993 e il 2022, l’innalzamento del livello medio globale del mare è stato di circa 9,7 cm.

A parte gli eventi da record in Europa, il Pakistan e l’India settentrionale hanno sperimentato diverse ondate di caldo pre-monsoniche prolungate nei mesi di marzo, aprile e maggio, con temperature massime e minime da record. Delle ondate di caldo di lunga durata si sono verificate anche durante l’estate, sulla Cina centrale e orientale.

L’aumento delle temperature e le anomalie atmosferiche sono dovuti ai gas a effetto serra rilasciati nell’atmosfera, che trattengono il calore vicino alla superficie terrestre. Le attività umane portano all’emissione di gas a effetto serra in vari modi, tra cui la combustione di combustibili fossili per l’energia, la deforestazione, l’uso di fertilizzanti in agricoltura, l’allevamento del bestiame, l’agricoltura e la decomposizione di materiale organico in discarica. Dunque, se le concentrazioni di gas a effetto serra aumentano, anche la temperatura vicino alla superficie terrestre aumenta, con le conseguenze appena descritte.

Un’altra anomalia sta nel fatto che le temperature sono state ben al di sotto della media nel Pacifico tropicale centrale e orientale, associate al persistere del fenomeno di La Niña, che avviene perché i venti alisei si rafforzano e spingono l’acqua calda verso l’Asia, permettendo la risalita delle acque profonde più fredde nell’area del Pacifico. Infatti, i valori sul Pacifico tropicale sud-orientale sono stati tra i più bassi registrati, in netto contrasto con i valori insolitamente alti registrati sull’oceano a sud. Analogamente, le temperature sotto la media sull’Australia sud-orientale sono state in contrasto con le temperature sopra la media su Melanesia e Polinesia.

L’Organizzazione meteorologica mondiale prevede nel 2023 il ritorno di El Niño, quel fenomeno che si ripresenta a intervalli di due-sette anni e dura fra i nove e i dodici mesi, per cui la superficie dell’oceano Pacifico centro meridionale e orientale si riscalda. La variazione è di almeno mezzo grado ma può arrivare anche a 3° o 4°, coinvolgendo principalmente la costa occidentale dell’America latina. Dunque, è possibile un nuovo aumento delle temperature; non a caso, nel 2016, l’anno più torrido mai registrato, c’era proprio El Niño. L’arrivo di El Niño potrebbe sì fare alzare le temperature, ma potrebbe portare delle piogge e alleviare la devastante siccità che perdura da mesi nel Corno d’Africa, ma anche comportare inverni glaciali sulle due coste dell’America del Nord.

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