Un modello sostenibile per l’America latina

Negli ultimi dieci anni si sono affermate nella regione, con poche eccezioni, governi di centro sinistra o di centro. La chiave del loro successo è l’applicazione di politiche che combinano crescita economica con ascesa sociale e  riduzione della povertá. Dopo anni di vento in poppa in economía, davanti ai primi segni di logoramento, sará possibile continuare ad ottenere gli stessi risultati?
Uruguay

In Bolivia Evo Morales si riconferma alla presidenza raccogliendo il 60 per cento dei voti ed ottenendo i due terzi dei seggi in parlamento. In Brasile Dilma Rouseff pure ottiene un nuovo mandato, il quarto consecutivo del Partido dos Trabalhadores dal 2003. Il Frente Amplio in Uruguay vince al primo turno, con un largo margine di vantaggio sull’avversario piú diretto e con ottime chances di confermare a novembre, nel ballottaggio, questa vittoria, la terza dal 2005. Lo scorso anno il centro sinistra ha vinto in Cile con Michelle Bachelet, al suo secondo mandato non consecutivo, ed anche in Ecuador dove Rafael Correa ha ottenuto il 57 per cento dei voti.

L’indicazione dell’elettorato latinoamericano é chiara: negli ultimi dieci anni, con poche eccezioni, formazioni di centro o di centro sinistra hanno governato nella regione.

I risultati, anche se non sempre omogenei, sono abbastanza visibili, l’América latina é tra le poche zone del mondo dove si registra una diminuzione sensibile della povertá e la ripresa della classe media, mentre gli indicatori sociali in materia di alimentazione, indigenza, mortalitá infantile, istruzione e sanitá migliorano a vista d’occhio.

Esiste dunque una spiegazione abbastanza plausibile di questo processo, che nella maggior parte dei casi é coinciso con l’applicazione di politiche sociali alle quali sono state destinate importanti risorse e con una presenza dello Stato in qualità di arbitro delle distorsioni del mercato.

Alcuni fattori si sono combinati positivamente negli ultimi anni: da un lato il vento di poppa dei prezzi internazionali insieme all’effetto locomotrice del commercio con i Paesi asiatici, che hanno consentito elevati tassi di crescita, dall'altro il cambiamento della matrice neoliberista di queste economie rispetto alla gestione che ha obbedito al “Washington consensus”.

Il risultato generale é stato quello di migliorare le entrate dello Stato e una migliore distribuzione del reddito dall’altro. In vari casi sono state rinegoziate le condizioni per lo sfuttamento delle risorse naturali, nel passato a tutto vantaggio delle grandi corporazioni. L’esempio della Bolivia, che é passata dai 600 milioni di dollari che otteneva dalle concessioni per lo sfruttamento delle risorse energetiche nel 2006 agli attuali 6 miliardi, é abbastanza emblematico.

In modo abbastanza frettoloso si suole criticare la continuitá di questi leaders nel potere, come se lo spagnolo Felipe González non avesse governato durante 13 anni o come se George Bush e Barack Obama non avessero ottenuto ciascuno un secondo mandato. Un altra critica spesso formulata é quella del populismo. Una lettura attenta di questo fenomeno, riscontrerá segni di populismo, magari piú raffinati, in molti Paesi centrali. Il che non significa che non esistano conati del genere in America latina, anche se appare abbastanza sommario caratterizzare come tali questi governi.

Anche perché tale classificazione impedisce di osservare ció che é evidente: l’appoggio di cui godono queste gestioni si deve allo sviluppo di politiche di inclusione sociale di settori spesso emarginati dal mercato o dalla societá. I settori piú conservatori, seguaci del neoliberismo economico, sono stati efficaci sul piano macroeconomico, ma con un grande costo sociale ed a vantaggio di un ridotto settore della societá. Basta rivedere gli indicatori sociali durante i decenni passati.

Si tratta di ricette perfette? In molti casi siamo di fronte piú che a una ricetta economica a elementare senso di giustizia e di eguaglianza. Era necessario un cambiamento di rotta nella regione manifestamente piú disuguale del mondo. La protesta dei settori di classe media in Brasile ed anche in Argentina dice che non basta l’indirizzo ideologico per una buona gestione, oggi occorre anche migliorare la qualitá e non solo la quantitá dell’uso delle risorse pubbliche.

Esiste poi una domanda di maggiore qualitá della democrazia che fa parte di una nuova coscienza civica e di un dinamismo della societá civile oggi sempre piú capace di intervenire con creativitá di fronte alle problematiche sociali.

La domanda da porsi é se tale schema economico, nel quale cresce la spesa sociale é sostenibile nel tempo. Se cioé sia possibile conciliare mercato con inclusione sociale. Il rallentamento della crescita nella regione, oggi abbastanza evidente in Argentina, Brasile, Venezuela ed anche in Cile, suggerisce che siamo lontani dalla ricetta ottima. Un periodo di vacche magre potrebbe metterebbe la continuitá delle politiche sociali in presenza, tra l’altro, del nemico numero uno: il nucleo piú duro della povertá, quella endemica. Un settore che si é ridotto, ma che ancora abbraccia in media tra il 5 ed il 15 per cento della popolazione.

L’ex guerrigliero salvadoregno Joaquín Villalobos, oggi esperto in tema di conflitti, osserva che “in questo scenario appaiono le sinistre senza politica economica e le destre senza offerta sociale. Gli uni ditribuiscono, ma non producono e gli altri producono, ma non distribuiscono”.  Per Villalobos, la strada da percorrere richiede intelligenza, tolleranza, pazienza, pragmatismo e, sopratutto, molto dialogo.

Sul piano politico, puó darsi che l’idea di Villalobos permetta di avanzare con meno polarizzazione e ampliando il consenso. Un esempio, forse, in tal senso é quello del Cile, dove la coalizione di centro sinistra, pur avendo i voti a disposizione per approvare la riforma tributaria che permetterá di ottenere 8 miliardi da investire in politiche sociali, ha preferito accogliere i contributi dell’opposizione per ampliare il consenso attorno al nuovo sistema.

Resta peró da risolvere il nodo centrale di un modello sostenibile sia sul piano economico che sociale. Ma se in Uruguay e nell’El Salvador ex guerriglieri diventano presidenti rivedendo le loro certezze del passato, se lo fa anche la ex militante Dilma Rousseff, se in Colombia le FARC negoziano la pace ed il loro inserimento nel quadro istituzionale della politica, sará pure giunta l’ora che gli economisti rivedano le loro “veritá assolute” alla ricerca di nuovi paradigmi.

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