Un ministero per il Mezzogiorno e la coesione territoriale?

Istituito nel 2005, nel terzo governo Berlusconi, questo dicastero è presente anche nel governo guidato da Gentiloni. Di cosa si tratta? Quali materie affronterà? Una riflessione

Si sono mosse critiche e apprezzamenti per il nuovo governo varato qualche sera fa da Paolo Gentiloni. È il gioco preferito da tutti, grazie anche ai social, con una spirale che genera asprezza e non pochi conflitti politici, dei quali potremmo volentieri fare a meno. Ma c’è un dato rilevante nel governo che ha giurato davanti al presidente Mattarella. Va registrato. E cioè il ritorno del ministero per la Coesione territoriale e il Mezzogiorno. È probabilmente una delle migliori novità della serata che ha formalmente chiuso la crisi-lampo aperta con il referendum e le dimissioni di Renzi.

Coesione, territorio, Mezzogiorno. Trinomio da far tremare i polsi anche a un economista esperto come Claudio De Vincenti, scelto da Gentiloni per guidare il dicastero. Un fidato uomo di Renzi (prima ancora di Monti e Letta), voluto dall’ex premier come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. E ora “trasferito” in una posizione del tutto rilevante, anche sul piano politico e non solo istituzionale. Perché su quelle tre parole chiave si gioca molto del futuro economico, sociale, antropologico del Paese. Si gioca molto di questo governo e dei prossimi governi. De Vincenti ha già sulla sua scrivania una serie di caldi dossier che erano già sul suo tavolo a Palazzo Chigi.

Piccolo salto indietro. Il ministero della Coesione compare quasi per caso nel terzo governo Berlusconi, anno 2005, e a occuparsene, con lo Sviluppo economico, è Gianfranco Miccichè.

Passano cinque anni ed è nel governo Monti che il dicastero assume più contenuti e funzioni. Merito di un economista di peso come Fabrizio Barca, che lancia dal ministero una strategia del tutto innovativa, votata alla coesione appunto: la Strategia nazionale per le aree interne. Una vera “rivoluzione culturale e politica” nel modo di approcciare alle zone montane e collinari, rurali e agricole del Paese, quasi il 70 per cento del territorio. Non più, secondo Barca e la Strategia, luoghi destinatari di “assistenza” e di qualche soldo a pioggia per progetti indefiniti e non tracciati, bensì luogo di sperimentazione di politiche per migliorare i servizi pubblici (istruzione, trasporti, sanità) e dare nuovo slancio allo sviluppo socio-economico. Ai primi 90 milioni di euro stanziati nel 2012 con Barca, se ne aggiungono altrettanti nelle ultime leggi di bilancio.

Poi, come avviene spesso in Italia, le politiche di coesione sono state in parte accantonate. Ci lavorano Carlo Trigilia nel governo Letta e poi Graziano Delrio come sottosegretario del governo Renzi. Nel frattempo, dal dipartimento per lo Sviluppo economico e la coesione territoriale al ministero del Tesoro, nascono l’Agenzia per la coesione territoriale (2013) e il dipartimento per la Coesione territoriale a Palazzo Chigi (2014). Il ministero di De Vincenti dovrà rafforzare il ruolo di questi ultimi istituti. Come e con quali regole dovrà essere definito in tempi stretti.

Coesione, territorio e Mezzogiorno, si è detto. Non a caso De Vincenti, nelle primissime dichiarazioni ai giornalisti, entrando al Quirinale per il giuramento, ha rimarcato il grande lavoro da fare per concretizzare i “Patti per il Sud“, con 25 miliardi di euro già disponibili (diventeranno 100 totali fino al 2020). Un ambizioso programma per spendere (bene) le (molte) risorse europee per il Meridione, attuare innovativi progetti all’interno dei Programmi operativi comunitari, spingere le Regioni più lente, varare i piani nazionali per accorciare il divario Nord-Sud e anche tra centro e periferie. In sostanza, un piano per dare lavoro e opportunità di crescita al sud, area del Paese nella quale De Vincenti dovrà riaffermare ruolo e forza del Governo e pure dell’area politica alla quale appartiene.

Accelerare l’uso delle risorse, coordinare i programmi regionali e nazionali di investimenti, intercettare nuovi fondi da programmi europei, stringere un patto istituzionale tra diversi livelli di governo, responsabilizzare Regioni e Comuni, definire una concreta politica industriale, sostenere le start up e la crescita digitale, saranno alcuni dei compiti al centro delle attività di De Vincenti con l’Agenzia e il nuovo ministero, traslando competenze e persone da largo Chigi dove erano impegnate nel Dipartimento.

Nelle politiche per il Mezzogiorno, De Vincenti dovrà smentire chi afferma che sono fuori tempo massimo i dicasteri territorialmente settoriali. Niente Casse o Banche di prima-Repubblica-memoria. De Vincenti, “uomo-macchina” del Governo Renzi, sa che non può fallire. Si riparte subito dalla necessità di dare lavoro a Regioni come Calabria, Campania e Basilicata dove la disoccupazione giovanile supera il 50 per certo. Dall’altra, quelle stesse Regioni sono oggi emblema di nuove opportunità di crescita, veicolate da fondi europei, infrastrutture, cura e manutenzione dei territori, come più volte Barca aveva ripetuto anche in quelle aree interne di Alpi e Appennini che rappresentano l’ossatura del Paese. Senza più polpa, però, deviata da troppi decenni (e politiche errate, centraliste) verso le aree metropolitane.

Il successo di De Vincenti, in un Governo più o meno temporalmente lungo, si misurerà sulla capacità di ridare equilibrio e perequazione, solidarietà e sussidiarietà tra territori. Valori del Paese che non può più solo guardare alle sature zone urbane, ma sempre di più deve cercare crescita e sviluppo per le aree interne. Non solo nel Mezzogiorno.

I più letti della settimana

Osare di essere uno

Chiara D’Urbano nella APP di CN

Focolari: resoconto abusi 2023

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons