Un laboratorio di comunione. La Scuola Intercongregazionale di Marino

La Scuola, che vede radunati una ventina di istituti maschili e femminili, presenti soprattutto nei Castelli Romani, ha raggiunto 20 anni di vita. Lo sguardo aperto su tutta la Chiesa, scoprendo la bellezza dell’altro e formandosi alla comunione dei carismi.
Scuola Intercongregazionale di Marino
Mi chiamo Aurora, sono una novizia di secondo anno delle Figlie di Maria Ausiliatrice. È il secondo anno in cui frequento la Scuola Intercongregazionale di Marino che sento come un grande dono del Signore per la mia formazione iniziale.

 

Un corpo solo

 

Nella scuola sono presenti novizi e novizie di varie congregazioni e ordini, che hanno carismi differenti oltre che provenienze diverse. L’esperienza di questi due anni è stata molto bella e mi ha fatto capire quella frase di san Paolo ai Corinzi: “… tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo… Non può l’occhio dire alla mano: ‘Non ho bisogno di te’…” (1 Cor 12, 12.21).

 

Penso che fare questa esperienza nel tempo di formazione sia importante perché l’incontro e il confronto con altri carismi, diversi dal mio e ugualmente frutto dello stesso Spirito, è un passo essenziale per poter vivere nel futuro una comunione sempre più profonda. Ho veramente messo a fuoco, nella testa e nel cuore, che la missione del mio istituto è la stessa di tutti gli altri ed è quella della Chiesa: annunciare il Regno, attraverso la testimonianza dell’amore di Dio al mondo. Ciò che cambia è lo stile, i destinatari, il modo, ma il fondamento è lo stesso.

 

Credo fortemente nella nostra chiamata a essere uomini e donne “esperti di comunione” e so che dobbiamo iniziare a esserlo innanzitutto nelle nostre comunità e poi insieme alle persone consacrate dei vari carismi. Vedo come punto di partenza del cammino di comunione la conoscenza del carisma dell’altro, incontrando persone concrete che lo vivono e lo incarnano. La nostra scuola, come un laboratorio, offre questa possibilità.

 

Superando i pregiudizi

 

Posso dire che l’apertura al confronto, il rispetto delle diversità, la disponibilità all’ascolto e anche la curiosità sono stati gli elementi essenziali che mi hanno permesso di fare un’esperienza ricca ed ecclesiale. Mi ha molto aiutato vincere il pensiero che il mio carisma fosse superiore o migliore degli altri, come pure cancellare i pregiudizi e scoprirmi bisognosa degli altri.

 

Se penso ai pregiudizi che avevo nei confronti dei monaci e delle monache di clausura, posso dire che conoscerli ha davvero fatto cadere i muri che mi ero costruita. Durante un incontro di gruppo ho dialogato con una novizia delle Monache Minime di Grottaferrata. È stato così bello scoprire che quanto pensavo su di loro era fondato soltanto su cose riportate e per sentito dire. Ho capito molto di più il valore del silenzio e del loro voto “di vita quaresimale” di cui mi avevano solo accennato l’esistenza e che al primo impatto mi aveva fatto quasi sorridere.

 

La scuola, inoltre, in due incontri ci dà la possibilità di condividere anche la storia dei nostri fondatori e fondatrici e dei nostri istituti. È stato bello scoprire come tanti di loro avevano già battuto la strada della comunione.

Per esempio, ho scoperto l’assonanza tra don Bosco e don Orione e anche l’originalità di quest’ultimo. Pensavo che gli orionini in fondo fossero la “copia” dei salesiani e che fossero nati in seguito a una separazione dall’istituto di don Bosco chissà per quale motivo.

 

È stato bello, invece, scoprire attraverso il dialogo con un novizio orionino che proprio il mio fondatore, don Bosco, prima di morire aveva predetto a don Orione che, pur essendo vissuto sempre al suo fianco e pur essendo stato uno di quelli che aveva offerto a Dio la vita per la sua guarigione, non sarebbe stato salesiano, ma diocesano.

Don Bosco forse prevedeva per lui un più ampio campo di apostolato, mirato soprattutto a riportare i più poveri alla Chiesa e al Papa. Così ho capito il motivo per il quale abbiamo tante cose in comune che riguardano lo stile educativo e soprattutto che gli orionini non sono un surrogato dei salesiani, come ingenuamente pensavo, ma una risposta originale suscitata dallo Spirito.

 

Grazie a questa Scuola Intercongregazionale mi sono convinta che il Vangelo non lo annuncio da sola, ma insieme a tutti coloro che ogni giorno, grazie al dono dello Spirito, lo testimoniano con la loro vita. Anche le sfide stesse della missione non possono essere affrontate nella nostra società se non attraverso un’efficace collaborazione.

Parlando con un novizio dei Missionari Oblati di Maria Immacolata ho capito di più la loro idea di “missione popolare” inserita nella comunità locale, ne ho colto la bellezza e ho trovato qualche idea che potrebbe essere utile anche a noi salesiane: la visita alle famiglie e la conoscenza capillare del territorio e delle realtà che vi operano.

 

La conferma della chiamata

 

Nei due anni della Scuola abbiamo condiviso anche momenti di preghiera, di festa e di fraternità, che mi hanno aiutato a non fermarmi al “mi piace o non mi piace”. Durante un momento di preghiera, che facciamo solitamente all’inizio della mattinata prima delle lezioni, ho scoperto il modo di pregare dei Monaci Brasiliani che all’inizio mi ha lasciata un po’ perplessa.

 

Poi, cercando di non giudicare subito ma di conoscere, ho parlato con loro e ho conosciuto qualcosa di più sulle loro antiche tradizioni di rito greco-bizantino.

I modi di pregare o di stare insieme cambiano; a volte mi trovo più in sintonia, a volte meno, ma la bellezza dell’incontro mi porta ogni volta alla conferma che il carisma in cui il Signore ha scelto di inserirmi è proprio il mio, quello pensato e sognato da sempre per me e non un’altro.

 

La scuola organizza di tanto in tanto anche dei convegni su varie tematiche. In uno di essi, dedicato al tema della sofferenza, ho avuto la possibilità di dialogare profondamente con una novizia dei “Silenziosi Operai della Croce”, un’associazione internazionale di fedeli che prevede al suo interno anche la presenza di persone diversamente abili.

Avevo un po’ di timore a parlare con lei per paura di ferire la sua sensibilità. Mettendo, però, da parte ogni timore mi sono avvicinata e lei mi ha fatto entrare nel cuore della loro spiritualità e del loro servizio che consiste nel dare speranza e far sperimentare la salvezza, attraverso la sofferenza vissuta in comunione con Cristo.

 

In sintesi, la partecipazione alla scuola mi ha fatto scoprire Cristo come centro unificatore di tutti i carismi; mi ha resa disponibile al dialogo e al confronto, mettendo in me stessa le basi di un futuro in cui la spiritualità di comunione potrà rendere la vita consacrata ancor più incisiva nella società di oggi.

Questa esperienza ha acceso un grande entusiasmo nel mio cuore, un grande desiderio di unità e di comunione che spero non si spenga e che mi porti a impegnarmi in prima persona per realizzare la preghiera che Gesù ha rivolto al Padre prima di donare tutto se stesso: “che tutti siano una cosa sola” (cf. Gv 17, 21).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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