Un giorno in pretura

È una cosa nota e risaputa. Raccontare Un giorno in pretura nel 2006 è come spiegare ad un trentenne che Babbo Natale in realtà non esiste. Da almeno due decenni qualcuno gli ha già svelato che l’uomo dei pacchi dono non viene dalla Lapponia, bensì trattasi del padre con barba e baffi. Lo stesso si può dire dello storico programma di Raitre. Cosa proponga non è una novità, tutti sanno che da vent’anni manda in onda i grandi processi. Documenti che, ben prima del fintovero dei reality show, hanno portato nelle case degli italiani pezzi di vita vissuta, brandelli di storia nazionale facendo avvicinare anche il grande pubblico ai complessi meccanismi della procedura penale. Occorre riparlarne oggi, perché quello che è andato in onda nelle ultime puntate della serie avrebbe meritato senz’altro di essere proposto in un orario più adeguato, e non, come avvenuto, ben oltre la mezzanotte del sabato. In due parti il programma curato da Roberta Petrelluzzi ha proposto infatti il processo per l’omicidio di Annalisa Durante, la quattordicenne napoletana uccisa per caso a Forcella durante un agguato di camorra la sera del 27 marzo del 2004. Volti, voci, sguardi, suoni, silenzi. Quello che per due sabato di fila è andato in onda, aveva più forza di un reportage giornalistico, era più esaustivo di una accurata analisi sociologica, raccontava Napoli e la camorra meglio di un documentato saggio di successo. Le testimonianze ritrattate, i primi piani sui protagonisti, le adolescenti che non mostrano alcuna soggezione e prendono in giro gli uomini dello Stato, il terrore negli occhi di chi accusa gli assassini, l’aria di sfida del giovane killer.Ma anche il dolore dei parenti e lo spunto quasi comico di chi racconta le minacce ricevute a base di suoni gutturali. Ogni passaggio messo in onda era un contributo alla comprensione di un pezzo d’Italia, spiegava meglio di tante parole come si vive o si sopravvive, ma soprattutto come si muore, a Forcella. Anche questo è servizio pubblico.

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