Un freno alla speculazione?

La tassazione delle transazioni finanziarie a un passo dalla prima applicazione. Almeno in parte dell’Europa.
borsa di New York

Sembra poca cosa. Una percentuale bassissima di tassazione sui movimenti finanziari, ma in grado di ostacolare la macchina della speculazione che mette in ginocchio l’economia e la vita d’intere nazioni. Da ipotesi accademica a cavallo di battaglia di alcuni movimenti sociali, ormai è entrata nell’agenda politica internazionale di alcuni governi europei. Un parere positivo è arrivato anche dal governo italiano presieduto da Monti. Ma la strada sembra ancora in salita.

 

Presentiamo il contributo sul tema di alcune redazioni di Città Nuova nel mondo, con una premessa significativa che ci è giunta dalla redazione di Living City: al di fuori del movimento di Occupy Wall Steet, il dibattito sembra assente negli Usa, benché una prima proposta provenga proprio da James Tobin, economista statunitense, premio Nobel nel 1981, e riceva consensi da una serie di altri studiosi insigniti anch’essi del Nobel come Stiglitz e Krugman.

Approfondimenti ulteriori sulla cosiddetta “Tobin tax” e la campagna internazionale per la sua applicazione si trovano sul sito www.cittanuova.it.

 

Alla scoperta del potere reale

 

L’applicazione di una Tobin tax, più che una misura isolata, dovrebbe rispondere a una serie di criteri di razionalità dell’economia globale, che sembra inesorabilmente destinata a passare di crisi in crisi. Un solo dato permette di comprendere la situazione in cui ci dibattiamo da anni: oltre il 99 per cento dei movimenti giornalieri di capitale in tutto il mondo riguarda le attività finanziarie, in gran parte speculative, mentre meno dell’1 per cento è collegabile all’economia reale (ossia la produzione di beni e servizi). E ciò è particolarmente grave. Stiamo favorendo una sorta di gioco d’azzardo che non crea ricchezza. Chi non ricorda la furia di Barack Obama dopo il pasticciaccio brutto – come lo definirebbe Carlo Emilio Gadda –, dei titoli tossici, quando vennero in evidenza i profitti miliardari degli inventori di quella “finanza creativa”, rivelatasi una montagna di cartacce che ha mandato in rovina milioni di statunitensi della classe media? Eppure, quali misure furono prese per agire drasticamente nei confronti dei responsabili del misfatto? E cosa è successo alla Goldman Sachs dopo lo scherzetto di camuffare i conti della Grecia in cambio di un lauto guadagno in milioni di euro? Il mondo economico e politico sta come perdendo la sensibilità per indignarsi, e non solo a parole, di fronte a episodi di scandalosa avidità.

 

Perché tanta impotenza? Probabilmente perché un gran potere economico suppone sempre un potere politico. I grandi capitali, gestiti da persone che nessuno ha votato, spesso hanno in mano le redini anche della politica e questo rapporto va assolutamente cambiato. Anche per questo i governi della regione, in modo particolare Brasile, Argentina, Ecuador, Uruguay, ecc., si sono dichiarati a favore della tassazione dell’attività finanziaria. Una Tobin tax rientra perciò tra quelle misure in grado di riportare l’economia globale al buon senso. Una tassa destinata a scoraggiare la speculazione e beneficiare lo sviluppo dei Paesi poveri, tenendo conto che dalla sua applicazione possono ricavarsi miliardi di euro ogni anno per debellare la fame e la miseria nel pianeta.

Alberto Barlocci – Buenos Aires

 

Va cambiato il sistema internazionale

 

L’istituzione di una tassa sulle transazioni finanziarie potrebbe contribuire a stabilizzare il sistema finanziario e rendere gli Stati meno vulnerabili agli attacchi speculativi. Non c’è consenso, tuttavia, sull’utilità di tale tassa né sotto il profilo teorico né sotto quello empirico.

 

All’indomani dell’annuncio del presidente della Commissione europea Barroso sulla messa in atto di una tassa sulle transazioni “alla Tobin” per il 2014, l’associazione Attac, che sostiene da più di dieci anni questo progetto, pur plaudendo all’iniziativa, ha espresso alcune riserve. La prima critica è di ordine tecnico: il peso troppo debole della tassazione sui derivati (0,01 per cento) e il non aver tenuto conto delle transazioni sul mercato dei cambi (che ha un volume di quattromila miliardi di dollari al giorno) limita fortemente l’efficacia di questa misura. La seconda è di ordine politico, e si inscrive nel contesto della messa in questione del sistema finanziario internazionale. Dopo la crisi del 2007, c’è stata una volontà politica di riforma del sistema finanziario verso una regolamentazione e un maggiore controllo degli scambi che, alla prova dei fatti, fatica a concretizzarsi. Per ora si sono viste soltanto delle revisioni marginali senza grande portata.

 

In sé e per sé, una tassa “alla Tobin” non è necessariamente una buona notizia se i proventi sono destinati a sostenere artificialmente un sistema finanziario in piena crisi strutturale. Questa tassa dovrebbe invece essere compresa in un intervento più ampio: la soppressione dei paradisi fiscali, il controllo dei flussi di capitale e dei sistemi bancari, la limitazione dei derivati, la cancellazione del debito dei Paesi in via di sviluppo, la riforma delle istituzioni finanziarie internazionali.

            Bruno Garoche – Parigi

 

I dubbi e gli interessi di Londra

 

Non molto tempo fa, la City, il centro finanziario della capitale londinese, avrebbe avuto il governo dalla sua parte contro i manifestanti accampati fuori dalla cattedrale di St. Paul, accanto alla borsa di Londra. Ma i manifestanti non sono, come si potrebbe pensare, un branco di attaccabrighe: rappresentano un sentire diffuso nell’intera Gran Bretagna dove si avverte un bisogno urgente di riforma delle istituzioni finanziarie. Ora i politici preferiscono non essere più associati a un sistema che molti vedono come la causa dei nostri problemi. Tuttavia, di fronte alla proposta arrivata dall’Unione europea di tassare le transazioni finanziarie, il governo britannico si è messo subito sulla difensiva. D’altra parte è nota la tendenza della Gran Bretagna nel sollevare obiezioni verso qualsiasi proposta in arrivo da Bruxelles.

 

La tesi si basa sul fatto che ogni governo ha il dovere di proteggere i propri cittadini e una tassa sulle transazioni, a meno che non sia applicata globalmente, farebbe fuggire gli investitori da Londra. L’importanza della City nell’economia britannica non può essere ignorata: costituisce il 40 per cento del fatturato globale negli scambi con l’estero, più di New York e Tokyo messe assieme. E il Regno Unito è secondo solo agli Usa come patria degli hedge fund e dei fondi private equity.

L’idea di una tassa sulle transazioni non è nuova. Il britannico Keynes, tra i più grandi economisti del XX secolo e speculatore in prima persona, aveva previsto il problema già nel 1936. Aveva visto, cioè, il pericolo nel permettere una speculazione incontrollata, e proposto un sistema di tassazione sulle transazioni per frenarne gli eccessi.

 

Dopo più di 75 anni, stiamo ancora combattendo contro gli stessi problemi. La crisi dell’eurozona è un esempio di come le nostre economie siano indissolubilmente legate. Perciò quello che è chiaro è che nessun sistema, nessuna Tobin tax o simili, potrà funzionare a meno che non ci sia un accordo globale. Questa è la vera sfida per i governi di tutto il mondo.

Frank Johnson – Londra

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