Un difficile equilibrio tra Thailandia e Stati Uniti

La delicata situazione politica. Un paese spaccato, con la parte maggioritaria della popolazione che non ha la possibilità di far sentire la sua voce. L’intervento statunitense e le reazioni del governo. Apprensione per la sorte di Yingluck Shinawatra, deposta dall’ennesimo colpo di stato militare ed ora incriminata
Yingluck Shinawatra

Sono passati molti mesi dal colpo di stato del 22 maggio 2014 e parecchi analisiti politici nella regione si chiedono quando si potrà ritornare all’esercizio delle basilari funzioni democratiche, come la libertà di stampa, espressione, riunione e, soprattutto, critica politica. Il Primo ministro in carica, Generale Prayut Chan –ocha ritiene che il momento non sia ancora favorevole per cui la legge marziale rimane in vigore. Non è possibile per i media dare «notizie non esatte che creino confusione nel paese».

La comunità internazionale non è favorevole a questa condizione politica di uno dei paesi più famosi del sud est asiatico, come, del resto, non è mai stata favorevole al colpo di stato per deporre Yingluck Shinawatra, eletta con elezioni valide e stravinte dal suo partito, il Phue Thai. In altri articoli di questa testata ho cercato di spiegare la situazione in cui si trovava il paese tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 e le ragioni che hanno spinto i militari, secondo la tradizione politica thailandese, a sospendere le libertà costituzionali e guidare il paese, nel maggio 2014.

Devo ricordare che dal 24 giugno 1932 fino al 22 maggio 2014 si sono susseguiti 12 colpi di stato. Purtroppo una lunga lista che denota una povera tradizione democratica: quando la situazione si fa difficile, è consueto che i militari intervengano; non tutti sono contenti nel bel paese asiatico di un atteggiamento del genere, ma al momento non se ne può parlare.

In questi giorni, gli Stati Uniti d’America hanno fatto sentire di nuovo la loro voce, attraverso l’intervento dell’assistente del Segretario di Stato Americano per gli affari dell’Asia Orientale e del Pacifico, Daniel Russel, primo diplomatico di alto livello a far visita alla Thailandia (che gode di una relazione con gli Stati Uniti d’America lunga 182 anni). Un preciso intervento nel quale gli Stati Uniti hanno espresso la loro preoccupazione relativamente al fatto che gli organi giudiziari thailandesi siano guidati da interessi politici di parte.

Questo indubbiamente compromette, secondo il giudizio internazionale il processo politico di riconciliazione nazionale, che dev’essere, invece, la priorità per il paese; questo è quanto esposto da Daniel Russel, che dà voce a tutta la comunità internazionale. Una situazione che sempre di più compromette la posizione della Thailandia agli occhi ed al giudizio dei paesi democratici e la dipinge, come uno stato autoritario, dove le libertà democratiche sono giornalmente violate.

Daniel Russel ha continuato, di fronte ai media thailandesi: «Quando un leader è stato eletto democraticamente e viene deposto dal suo incarico, poi condannato dalle stesse autorità che hanno effettuato il colpo di stato, ed in aggiunta questi entra nel mirino dell’autorità giudiziaria con accuse ‘criminali’, questo desta preoccupazione; e tutto questo nel momento in cui il processo democratico nel paese, con le sue funzioni è interrotto. A questo punto, la comunità internazionale è lasciata con l’impressione che questi passi siano politicamente motivati».

Questo pesante commento, naturalmente, senza far riferimento diretto a Yingluck Shinawatra, deposta dal colpo di stato nel maggio 2014, ed ora incriminata dall’ Assemblea Legislativa Nazionale (istituita dal governo militare) a causa dello scandalo dei sussidi del riso ai contadini thailandesi. La richiesta degli Stati Uniti e della comunità internazionale è che si vada urgentemente, invece, verso un processo di vera riconciliazione nazionale, dove anche l’opposizoine abbia la possibilità di parlare e difendersi pubblicamente, cosa che al momento è palesemente negata; in pratica, che venga abolita la legge marziale ancora in vigore da otto mesi.

È interessante notare che Daniel Russel ha usato il termine ‘umilta’, nel suo discorso: «Capisco che questo è un argomento molto sensibile, ed io lo porto all’attenzione con umiltà e rispetto per il popolo thailandese». Un modo di esprimersi che ha impressionato anche gli analisti di solito scettici del modo di fare americano nella regione. Russel ha continuato il suo discorso dicendo che gli «Stati Uniti non prendono le difese di nessuna delle parti politiche in Thailandia, in quanto sta al popolo Thai di determinare la legittimità del proprio processo politico e sistema legale. Ma siamo preoccupati sul significato delle restrizioni sulle libertà dal colpo di stato ad oggi, incluse le restrizioni sulla libera espressione e riunione».

Le reazioni che sono seguite sono state pesanti, si è parlato addirittura di «una ferita nel cuore dei thailandesi» a seguito di queste dichiarazioni, ed una protesta formale è stata presentata alle autorità statunitensi per questa che è stata giudicata «un’interferenza nella politica interna thailandese». Nei giorni seguenti i diplomatici statunitensi sono stati anche controllati nei loro spostamenti nel paese.

Molti thailandesi, coloro che da maggio non sono in grado di esprimere più il loro pensiero e nemmeno di riunirsi, hanno invece applaudito Russel, dicendo che quanto espresso è quanto il popolo thai, nella stragrande maggioranza pensa e sente. La situazione politica nazionale è sicuramente di nuovo in una situazione molto delicata ed il paese continua a rimanere profondamente spaccato: solo che una parte, la più grande, non ha la possibilità di far sentire la sua voce.

Verrà processata Yingluck Shinawatra? Oppure preferirà l’esilio? Sembra che la prima donna ad ascendere all’ufficio di primo ministro della storia thalandese, non intenda seguire il fratello in un’esilio volontario. Ha sempre dimostrato una forza non comune, fin dal periodo delle disastrose inondazioni (all’inizio del suo mandato) e chi le sta vicino giura che è pronta ad andare anche in carcere se condannata dalla giunta. Ma condannarla al carcere potrebbe trasformare Yingluck Shinawatra in eroina per milioni di thailandesi. E questo non è certo cosa desidera chi governa, al momento, il paese dalle belle e famose spiagge, famose in tutto il mondo.

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons