Un “cortile” di dialogo per i giornalisti

I direttori delle principali testate italiane dibattono sulla loro responsabilità di informatori, su vizi e virtù del giornalista, su oggettività e soggettività nel comunicare i fatti. Accennano alle proprie "crisi di coscienza" in relazione a certe notizie e toccano la questione della comunicazione della fede in un mondo secolarizzato
Cortile dei giornalisti

Siamo al “Cortile dei Gentili”,  idea di papa Benedetto XVI per promuovere il dialogo tra credenti e non credenti. Questa volta, ad abitare il “Cortile” nel millenario tempio di Adriano, sono i giornalisti. Anfitrione il presidente del Pontificio Consiglio della cultura, Gianfranco Ravasi che avvia un lungo e serrato dialogo con il fondatore del quotidiano La Repubblica, Eugenio Scalfari.

Sullo sfondo, inevitabile, le lettere di Papa Francesco e di BenedettoXVI, rispettivamente, al giornalista Scalfari e al matematico Piergiorgio Odifreddi, che portano in primo piano l’obiettivo dell’incontro: il dialogo tra credenti e non credenti.

«Non siamo qui per convertirci a vicenda, ma abbiamo in comune la convinzione che le nostre posizioni diverse debbano essere lievito per una terra che ha bisogno di essere fertilizzata», sono tra le parole conclusive di Scalfari. In apertura aveva riconosciuto di essersi «innamorato» di Gesù «forse ho esagerato il verbo, ma è anche vero» e, precisa, «seguo la sua predicazione da quando, ancora ragazzo, abbandonai la fede». Poi altri tocchi autobiografici. La verità è la grande domanda che attraversa il discorso.

Il cardinale Ravasi si riferisce al ruolo della Chiesa nella rivoluzione dell’era digitale anche per la comunicazione ed evoca il parlare di Gesù, originale ed efficace in formato tweet.  «Il regno di Dio è vicino, convertitevi», «Ama il prossimo tuo come te stesso»,  precisa Ravasi. Una predicazione folgorante che spinse l'ebreo Kafka a considerare Cristo «un abisso di luce dentro al quale bisogna chiudere gli occhi per non precipitare». E cita anche Adorno per spiegare che «la verità non la si ha, ma in essa vi si è» come in un mare in cui ci si immerge in una tenace e continua ricerca.

Scalfari arriva a identificare il culmine della religione cristiana con la crocifissione di Gesù perché «lì il figlio di Dio rinuncia all’amore per sé e si assume tutte le colpe delle creature per riscattarle». Seguendo il suo esempio, confida, «mi contenterei che, con ogni sforzo possibile, ripristinassimo la parità almeno tra l’amore per sé stessi e l’amore per gli altri», in un mondo in cui «da molti anni l’amore per il prossimo è diminuito in modo patologico».

Il cardinale Ravasi  loda l’intuizione e ritiene la morte di Gesù «elemento originale e capitale del cristianesimo». Nel grido «Dio mio. Dio mio perché mi hai abbandonato Gesù introduce un elemento che non può essere divino ma umano» e lo definisce «l’ateismo salvifico di Cristo». Tuttavia «in quel momento Egli non ha un Dio davanti eppure gli si china.  E proprio perché continua ad essere il Figlio, anche se non sente più il Padre e il Cielo appare vuoto, depone nella nostra mortalità il seme dell’infinito». Qui, conclude, sta per la teologia il significato della risurrezione.

Eugenio Scalfari, evoca in chiusura quello che è il  problema e il compito dell'oggi: il dovere di trasmettere alla nuova civiltà in formazione «il retaggio dei valori incancellabili del passato, il retaggio della religione e il sentimento di trascendere se stessi, ne è veicolo fondamentale. Questo è il motivo per cui colloquiamo».

Nei due dibattiti successivi, i direttori dei principali quotidiani nazionali laici: De Bortoli, Corriere della Sera, Mauro, La Repubblica, Napoletano, Il Sole24Ore, Calabresi, La Stampa, Cusenza, Il Messaggero, e di quelli cattolici Tarquinio, Avvenire, e Vian, L’Osservatore Romano, si confrontano su questioni centrali di etica della comunicazione come verità, libertà, obiettività e responsabilità.

Nel rispetto per i contesti sta la chiave per dare «il giusto peso a quanto accade, nonostante i rumori di fondo» Mario Calabresi individua una bussola per evitare un’informazione sensazionalista. Papa Francesco ha scardinato l’agenda comune che spesso la politica detta, e si è riappropriato dei temi e tempi propri della Chiesa. Ferruccio De Bortoli si sofferma sul binomio libertà e responsabilità, per evitare la colpa ricorrente nell’informazione di «dimenticarsi della centralità della persona». Ezio Mauro sottolinea «l’onestà e lealtà verso se stessi, verso i redattori e verso i lettori». E’ importante «non rendersi complici del potere e restare tra la gente nel cortile», per tentare «di dare l’intelligenza dei fenomeni e il loro significato».  Roberto Napoletano si chiede ad alta voce se «il Vangelo non sia un grande esempio di laicità« e sottolinea quanto «la ragione allarghi il suo orizzonte spinta dalla fede».

Il cardinal Ravasi ha voluto rilasciare a Città Nuova una sua impressione dell'appuntamento e ha voluto sintetizzarlo in una parola: «Credo che non esista parola migliore che quella che è stata al centro di questo incontro, e cioè la categoria del dialogo in quanto tale, che suppone di sua natura i due discorsi. Noi dovremo ritornare ad avere nei confronti dei laici o dei credenti i due discorsi seri, fondati, argomentati, motivati, i quali però non vivono nell’interno dei loro spazi, il tempio e il palazzo, ma entrano e si confrontano, aspramente se occorre, nell’interno del cortile».  E prosegue: «Questo è ciò che sta avvenendo sempre più, facilitato da papa Francesco che scende nel cortile anche lui e non solo con il portavoce. Questa è la grande novità, che ha poi grandi effetti nel clima generale. Se avessimo celebrato questo Cortile nel marzo scorso come era in programma, le tematiche sarebbero stato ben diverse. Ora si va più in profondità perché è un metodo diverso».

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