Un cammino di umanizzazione e di santificazione

Il 15 novembre 2016 nella sede dell’UNESCO a Parigi si è ricordato il 20° anniversario del conferimento del premio «Educazione alla pace» a Chiara Lubich. In quell’occasione, l’autore, noto studioso musulmano, originario della Tunisia e docente alla Pont. Università Gregoriana e al Pont. Istituto di Studi Arabi e di Islamistica (Roma), ha offerto la riflessione che qui pubblichiamo e che può dischiudere prospettive diverse su questioni cruciali dell’attuale passaggio storico. 
Educare al dialogo

Il musulmano oggi vive un momento di grande dolore, che ha molteplici aspetti:

Vede la sua fonte di verità, di bontà, di bellezza, la luce che dà senso alla sua vita, la sua fede islamica, legata in modo sistematico e ripetitivo all’assurdità del male, alla criminalità e al terrorismo. Il terrorismo detto “islamico” è l’esempio di un neologismo scandaloso e doloroso per il musulmano, e ciò è una sofferenza e un’umiliazione giornaliera per milioni di persone nel mondo.

Soffre anche perché vede che regimi corrotti e dittatoriali usano l’Islam come copertura per giustificare l’ingiustificabile, per cercare legittimità dove non c’è e manipolare il popolo. La dittatura non è che terrorismo di Stato, spesso mascherato di pia ipocrisia.

Soffre perché vede una parte dell’opposizione usare ugualmente la religione per infiammare gli animi e radicalizzare la lotta contro il regime al potere. Così a loro volta rischiano di diventare terroristi che usano la fede per giustificare le proprie atrocità e operare un “lavaggio dei cervelli”. La religione è diventata un campo di battaglia per il potere.

Soffre perché vede l’ipocrisia di un sistema mondiale basato sulla forza e l’ingiustizia, che pretende di essere portatore della democrazia e dei diritti umani. Il terrorismo internazionale ci mostra allo stesso tempo l’unità nel nostro destino umano e la fragilità delle nostre democrazie. Questa fragilità non è un segno d’ignoranza, ma spesso la conseguenza dell’ingerenza e della complicità con i regimi dittatoriali.

Il fallimento della primavera araba, eccetto il caso esile della Tunisia, è sorgente di forte preoccupazione. Le rivoluzioni pacifiche dei popoli arabi rappresentavano una grande speranza, perché per la prima volta si parlava dei veri problemi: della dignità umana, dei diritti, del lavoro, della democrazia, della cittadinanza, cioè di sfide reali, espresse in un linguaggio universale e comprensibile. Il terrorismo in questo contesto non fa altro che confermare le dittature o distruggere ciò che resta dello Stato. Soprattutto, rappresenta una vera distrazione dai reali problemi e dall’eventuale soluzione.

Il mondo islamico sta perdendo sempre più il valore del pluralismo religioso, che pensavamo ben radicato nella storia e nella memoria. Tale perdita si è accelerata in questi ultimi anni. Una società monolitica è una società povera sul piano umano e culturale.

I terroristi inventano le divisioni, vogliono creare una spaccatura tra i musulmani stessi (tra sunniti e sciiti) e tra i musulmani e il resto del mondo. Questa frammentazione è utile per accrescere l’emarginazione e la frustrazione e così aprire la strada al proselitismo e alla manipolazione.

Il musulmano soffre anche perché i partiti e i dirigenti populisti in Occidente approfittano della situazione per investire nella paura e nell’odio. Pensano che questo tipo di discorsi sia utile per avere più voce nelle campagne elettorali e per distogliere lo sguardo della gente dai veri problemi.

I media irresponsabili preferiscono giocare il perverso gioco dei pregiudizi e delle generalizzazioni, per vendere la loro merce o per far piacere ai lori capi populisti, creando così un capro espiatorio di tutti i mali della società. Tale atteggiamento è segno di una crisi culturale profonda nei valori del vivere insieme. È un ritorno del razzismo e di mali che pensavamo ormai facessero parte del passato.

  Un’adeguata interpretazione dell’Islam si oppone
a ogni violenza

Quando meditiamo queste sofferenze e questi problemi, ci rendiamo conto che non sono esclusivamente islamici, ma sono comuni a tutta l’umanità. Per questo, la solidarietà interreligiosa è più che necessaria per far fronte a queste sfide. Questa crisi che getta un’ombra sull’immagine dell’Islam come religione, rischia di mettere in cattiva luce la religione in generale, accusata così di essere sorgente di discordia e di conflitti, causa di regressione e di nostalgia di un passato irrecuperabile. In quest’ambiente, dobbiamo porci la domanda di cosa sia veramente la religione. Qual è la sua vera definizione e missione?

Nell’attuale dibattito sulla definizione dell’Islam in confronto alla violenza, Papa Francesco, nella sua Esortazione apostolica Evangeli gaudium, ne propone una radicalmente pacifica:

Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l’affetto verso gli autentici credenti dell’Islam deve portarci ad evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza (n. 253).

Quelle di Papa Francesco non sono semplici parole di facciata o di abile diplomazia, ma nascono da una profonda convinzione. Esse implicano, infatti, una certa definizione della religione: se consideriamo l’Islam come una religione e non come un’ideologia di potere e di dominio, allora, secondo questo criterio e unicamente in questo caso, «un’adeguata interpretazione del Corano si oppone ad ogni violenza».

È di estrema importanza, nel nostro contesto storico, dare credibilità alla maggioranza assoluta dei musulmani che credono alla pace e alla misericordia, come partner della vita e del dialogo, e viceversa negare tutta la credibilità ai terroristi. Il Papa ha saputo scegliere i suoi interlocutori: se il suo esempio non trova seguito, prevarranno le rivalità mimetiche e le esclusioni reciproche sulla scena mondiale.

  Ciò che i mistici dell’Islam
chiamano
la «religione dell’amore»

Questa visione che attribuisce alla religione una missione di pace, potrebbe essere identificata in ciò che i mistici dell’Islam chiamano la “religione dell’amore”, menzionata da Ibn ‘Arabi (morto nel 1240) nelle sue poesie:

O meraviglia! Un giardino fra le fiamme…
Il mio cuore accoglie ogni forma:
è prato ove bruca la gazzella.
Monastero ove il monaco prega.
Per ogni idolo è tempio,
per il pellegrino è la Ka´ba,
è la tavola della Torah,
è il libro del Corano.
Io professo la religione dell’amore:
qualunque sia il luogo
verso cui volge la sua carovana
amore è la mia religione,
la mia unica fede1.

Questi versi vedono il rapporto stretto tra pluralismo e amore, e a rovescio tra esclusivismo e violenza.

Rumi (morto nel 1273) spiega questo principio più chiaramente:

La religione dell’amore è differente da tutte le religioni; per gli innamorati la religione è Dio. Se il rubino non ha un sigillo, non ha importanza; l’amore, in un mare di tristezza, non è triste2.

La “religione dell’amore”, non è una religione separata, ma è “l’essenza” dell’esperienza religiosa che troviamo in tutte le religioni.

C’è anche la “religione dell’odio”, la religione del potere e del dominio; la religione degli egoismi individuali e collettivi; il tribalismo religioso e la religione dell’identità. Alcune persone preferiscono non chiamare questo atteggiamento “religione”, perché è antireligioso per essenza stessa e definizione, anche quando si chiama religione.

Non c’è in realtà distinzione chiara e dualistica: questi due aspetti sono mescolati in gradi diversi nelle religioni e nelle culture, sono le luci e le ombre delle religioni e dell’essere umano stesso. La confusione tra questi due aspetti rende a volte difficile la distinzione; ecco perché la presa di coscienza della missione nonviolenta della religione non è presente con la stessa chiarezza nello spirito religioso: è addirittura totalmente assente dove la delinquenza e la criminalità sono vestite di abiti religiosi.

  Reagire al male con l’amore, con lo Spirito divino

In un’altra occasione, tornando dalla Polonia alcuni giorni dopo il martirio di padre Jacques Hamel (26 luglio 2016), Papa Francesco ha detto ai giornalisti: «Non mi piace parlare di violenza islamica». E ha  continuato: «Non si può dire – credo che non sia vero e non sia giusto – che l’islam sia terrorista»3. Il Papa ha sentito la sofferenza di milioni di musulmani, che vedono la loro sorgente di senso e di valori legata agli omicidi e al terrore praticati in modo sistematico e ripetitivo. Per tale motivo, questa dichiarazione è stata molto gradita dai musulmani in tutto il mondo. Le dichiarazioni del Papa sono un atto di misericordia, che ridanno ai musulmani la loro dignità sia come esseri umani sia come credenti.

Ho seguito da vicino le reazioni del Papa agli attacchi terroristici in Europa e altrove, e ogni volta ho trovato un grande senso di umanità e di spiritualità, senza nessun segno di rabbia o di amarezza. Questo attributo toccante del Papa ci ricorda che chi è liberato dal proprio io reagisce al male con lo Spirito divino, spirito che soffiato nell’animo umano è misericordia nella sua essenza.

Un altro segno concreto è l’opera del Movimento dei Focolari, che secondo me rappresenta un esempio unico di solidarietà interreligiosa e di servizio umano per l’altro e con l’altro. Lo scopo di questo servizio non è di convertire l’altro per renderlo a nostra immagine e somiglianza, ma piuttosto incoraggiare nell’altro, tramite la sua propria religione, tutti gli elementi di bontà e di santità. È una missione di umanizzazione e di santificazione.

Nell’ottobre del 2016, il Movimento ha commemorato i 50 anni della sua presenza in Algeria. Dal suo arrivo, non ha mai abbandonato questo Paese, neanche durante i periodi più difficili, offrendo ai musulmani un orizzonte spirituale, umano e universale, uno spazio di crescita e di speranza. La maggior parte dei membri dei Focolari in Algeria sono musulmani trasformati dal carisma dell’unità per diventare musulmani migliori, più radicati nell’amore, che è l’essenza stessa della religione.

Siamo davanti ad un fenomeno raro nella storia delle religioni, siamo forse in una nuova tappa di questa lunga storia che non ha ancora nomi, è una realtà che deve essere conosciuta e riconosciuta come espressione di solidarietà religiosa radicale e vissuta…. I nomi arriveranno dopo!

Adnane Mokrani

1) H. Corbin, L’immaginazione creatrice, le radici del sufismo, tr. L. Capezzone, Laterza, Roma-Bari 2005, p. 119.

2) Jalal al-Din Rumi, Mathnawi, il poema del misticismo universale, vol. II, tr. G. Mandel Khan, Bompiani, Milano 2006, p. 139.

3) http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2016/july/documents/papa-francesco_20160731_polonia-conferenza-stampa.html

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