Un arcobaleno a Belfast

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The Tuck Inn è il pub dove si danno ritrovo i cattolici di Armoy, un centro agricolo di 600 abitanti. The Rooks Nest è invece il locale dei protestanti. Distano 300 metri l’uno dall’altro. Davanti ad ognuno si ritrovano i più facinorosi dei rispettivi gruppi per poi avviare lo scontro. Dagli anni Settanta sino ai primi anni Novanta era questo il rituale che precedeva gli episodi di violenza. Ora è solo un doloroso ricordo. Siamo a 80 chilometri sopra Belfast, ai piedi delle montagne dell’estremo Nord-Est dell’isola. Anche qui, nel 1600, arrivarono i coloni scozzesi, protestanti, che presero le terre migliori agli abitanti locali, cattolici. Da allora, odi, soprusi, risentimenti e violenze. Se ad Armoy il conflitto non era sempre aperto, netta restava la separazione tra le due comunità. Per evitare indebiti sconfinamenti, anche qui i marciapiedi del quartiere protestante sono stati dipinti di rosso, blu e bianco, i colori della bandiera del Regno Unito. La gente custodiva fino a poco fa una granitica certezza: tra i due gruppi non ci sarebbero mai stati incontri, tanto meno collaborazioni. Ad analoghe conclusioni erano giunti pure il parroco cattolico e i ministri della chiesa anglicana e presbiteriana. Il 5 ottobre 1994, giorno che ben ricordiamo – racconta Gerry Burns, impiegato del dipartimento dell’agricoltura -, ci fu un incontro tra cattolici e protestanti per discutere dei problemi del paese. Si capì insieme, dopo secoli di diffidenza, che era importante incontrarsi e che serviva un ambiente dove vedersi. L’accordo fu immediato. Nacque un comitato, con Gerry tra i fondatori. Ma poi sono sopraggiunte inevitabili, scontate difficoltà. La crisi della politica nazionale si riflette anche nel paese. Il periodo peggiore, l’anno 2000: la scuola elementare cattolica viene bruciata (come in altre località) e l’ufficio della comunità, il luogo di ritrovo, distrutto da alcuni protestanti. Tuttavia chi ha in cuore il dialogo e l’unità non difetta di coraggio. E così Gerry e gli altri inaugurarono dopo un anno un nuovo edificio. Oggi è il cuore pulsante del centro abitato: asilo per bambini, corsi per ragazzi, assistenza alle giovani madri, in locali moderni e attrezzati. Mary, moglie di Gerry, è la segretaria dell’associazione, mentre il responsabile è un protestante. Le nuove generazioni scoprono che una diversa convivenza è possibile. Da varie parti giungono qui per conoscere il centro e cercare di ripetere l’esperimento. Armoy Armoy è situata in una delle zone meno ricche del paese e la difficile situazione dell’agricoltura pesa sull’economica locale. Eppure, il Natale e l’inizio del nuovo anno sono stati vissuti all’insegna di una maggiore serenità rispetto al recente passato. Le prospettive di pace che si sono aperte nell’estate 2005 tengono desta la speranza. Il 28 luglio scorso fu comunicata da parte dell’Irish Republican Army – la famigerata Ira, il gruppo paramilitare che dal 1920 combatte contro la presenza britannica – la decisione di aver formalmente ordinato la fine della lotta armata. Una frase che può significare la chiusura di una storia spaventosa, che conta, solo dal 1969, oltre 3.600 morti, 45 mila feriti, 36 mila sparatorie, 15 mila bombe esplose. I volontari – proseguiva la nota – hanno ricevuto istruzioni per contribuire allo sviluppo di programmi politici e democratici attraverso l’uso esclusivo di canali pacifici. La dichiarazione fa il giro del mondo, ma viene accolta non senza titubanze. Nel ’94, l’Ira aveva dichiarato solennemente il cessate il fuoco, ma in seguito alle armi fu data ancora la parola; nel ’98 si giunse agli accordi del Venerdì Santo, ma ad agosto una frangia oltranzista (Real Ira) del gruppo paramilitare piazzò una bomba nell’abitato di Omagh: 29 morti. Memori del passato, i governi di Londra e Dublino, ma anche Bush e l’ex presidente Clinton, hanno apprezzato la decisione, ma hanno pure dichiarato di attendere il conforto dei fatti. L’Ira s’era impegnata a consegnare il proprio arsenale per la distruzione. A ricevere la santabarbara (da lanciamissili a fucili ad alta precisione, da bombe a micidiali esplosivi al plastico) e a sovrintendere alla trasparenza e completezza dell’operazione una commissione internazionale, guidata dal generale canadese John De Chastelain. Il 26 settembre è stato annunciata la totale distruzione delle armi. Vi avevano assistito, ad ulteriore garanzia, due osservatori indipendenti di credo cattolico e protestante. Belfast Per parte protestante, viene scelta una figura di alto profilo, il reverendo metodista Harold Good. Le armi sono state distrutte. Adesso è importante mettere fuori uso le intenzioni. Le pistole non sparano da sole – commenta dopo averci ricevuto con squisita ospitalità nella sua casa, a Holywood, quartiere orientale di Belfast -. I protestanti dicevano che non c’era da fidarsi dei politici repubblicani fino a che l’Ira avesse avuto armi. Ora è stato tolto un grande macigno dalla strada. Il cammino può riprendere. Ho incontrato persone anziane felici perché sperano che non ci sia un’altra generazione che debba vivere ancora la tragedia del nostro popolo. Tono pacato, quello del reverendo Good, ma vola alto. È un sostenitore del dialogo. E la storia famigliare ne è la radice: il padre della contea di Cork, la più a sud dell’isola, la madre dell’Irlanda del Nord. Non mi considerano un buon protestante, perché metto il vangelo prima della politica. Belfast è tornata viva, ricca di iniziative culturali e di locali. Sembra trascorso un secolo da quando il centro era blindato e nei crocevia dei quartieri stazionavano camionette con soldati in assetto di guerra. L’anno nuovo potrebbe essere davvero un nuovo anno per questa terra. Il futuro potrà procedere a fasi alterne, ma non ho mai avuto tanta speranza come in questo periodo. La gente, spesso, è poco fiduciosa, perché guarda all’immediato. Ma io ripeto: vedete dove siamo oggi rispetto a dieci anni fa. Gli ostacoli non mancano, ma Good ne dà una lettura da esperto di lungo corso. Dove per decenni c’è stata violenza politica, non si può spegnerla di colpo. Anche il Sud Africa insegna. Resto preoccupato per gli episodi di gente picchiata per punizione, di minacce verso protestanti moderati,mentre tra i repubblicani ci sono gruppi di dissidenti che non hanno accettato le prospettive di pace. Dobbiamo far capire che non c’è futuro nella lotta armata. Dietro a tutto, c’è il settarismo, una sorta di razzismo con connotati religiosi presente tra protestanti e cattolici. Ci vorranno una o due generazioni prima che si possa lavarlo dalla mente della gente, dice pensoso. Se le armi tacciono, è la politica che deve riprendere a parlare. Bisogna che venga ristabilito il governo dell’Irlanda del Nord. Si tratta di far vedere che esiste un modo diverso per realizzare istanze e progetti. Questa è la strada della legalità e della democrazia. I politici, se tornano a lavorare insieme, possono far progredire il processo di pace. Stormont Il castello di Stormont è un enorme edificio adagiato sul pendio verdissimo di una collina alle porte di Belfast. La sua recente notorietà è dovuta alla salma del calciatore George Best, nativo del luogo, qui esposta per il rito collettivo e televisivo delle esequie. Stormont, in realtà, è per la gente la tomba della politica nazionale. Dall’ottobre 2002 l’attività dell’assemblea legislativa e dell’esecutivo autonomo dell’Irlanda del Nord sono state sospese da Londra, che ha ripristinato il governo diretto della provincia. Fino a quel momento, Stormont è stato un laboratorio di politica mista, che raccoglieva le indicazioni dell’accordo del Venerdì Santo, siglato il 10 aprile 1998 da protestanti e cattolici. I firmatari, John Hume e David Trimble, ricevettero il Nobel per la pace. Per un anno e mezzo, dal 2001, i politici hanno avviato una collaborazione, unanimemente valutata in modo positivo. Ma alla lunga è pesato il fatto che nessuno dei gruppi paramilitari fosse stato indotto dalle forze politiche a distruggere le armi, uno dei punti del patto del 1998. Così, l’Irlanda del Nord è ancora istituzionalmente paralizzata, proprio quando per la prima volta può disporre di istituzioni ritenute da tutti legittime in seguito al pronunciamento di un referendum popolare tenutosi tanto al Nord quanto al Sud dell’isola. Derry – Londonderry Derry è a 120 chilometri di distanza da Belfast, direzione nordovest. Giornata fredda, pioggia sottile e incessante. Cappotti e giacche a vento, ma c’è anche chi indossa polo estive in tutta normalità. La città fu teatro nel 1972 del Bloody Sunday, la domenica di sangue, quando militari britannici, inviati dal governo inglese a ristabilire l’ordine, uccisero 14 dimostranti. Come a Belfast, i grandi murales sugli edifici dei distinti quartieri celebrano le gesta delle rispettive comunità. Derry o Londonderry? La tensione si scarica anche sulla geografia e sul vocabolario. Se da un lato, si ricorre agli eufemismi – quanto successo nel Nord Irlanda sono solo troubles, disordini -, dall’altro, si impongono prefissi a nomi di storiche città. Per cui, guai a dire Derry ai protestanti o Londonderry con i cattolici. Nel centro della città, l’incontro con Mark Durkan, 45 anni, leader del partito moderato cattolico Sdlp, uno degli architetti dell’accordo del Venerdì Santo. La distruzione dell’arsenale dell’Ira – sostiene – è avvenuta con troppo ritardo. Era prevista negli accordi del 1998 e avrebbe dovuto essere compiuta nel maggio 2000. Il continuo rinvio ha dato il potere di veto ai partiti unionisti e bloccato i lavori parlamentari a Stormont. Comunque, anche se solo nel 2005, resta una decisione importante. È stato rimosso un grande macigno (la stessa metafora di Good, ndr). Il temporeggiare dell’Ira rivela una cinica logica. Si sono attenuti al principio in base al quale si ottiene di più non facendo le cose fino al punto in cui puoi avere di più, facendole – spiega con realismo politico -. La consegna delle armi era prevista dagli accordi ma ora suona come un’iniziativa unilaterale dell’Ira. La definisce una sfida all’unionismo, mentre prima sosteneva che disfarsi dell’arsenale era una resa all’unionismo. Ora la palla è passata ai protestanti, che devono indurre i gruppi paramilitari a fare altrettanto. Si toglierebbe allora un altro macigno dalla strada e la ripresa della collaborazione politica potrebbe essere meno lontana. Sui possibili tempi brevi gioca a sfavore il risultato delle elezioni del 2004. A complicare la già ardua situazione mancava infatti solo la vittoria delle formazioni estremiste, avvantaggiate dalla scarsa affluenza alle urne di un elettorato moderato ma stufo di una politica inconcludente. Sinn Fein, braccio politico dell’Ira, e il Democratic Unionist Party del reverendo Ian Paisley sono i partiti risultati vincenti, ma con scarsa propensione alla collaborazione. La situazione sembra senza uscite. La vicenda non è gestita bene dai governi di Londra e Dublino – sottolinea Durkan -. Si sono limitati ad una trattativa privata con i due partiti. I risultati non si vedono e questo invita a sperare in un cambio di strategia. I due governi – propone il parlamentare – dovrebbero fissare una data per far ripartire le istituzioni, poi coinvolgere tutte le formazioni politiche per creare un ampio consenso, invitando i partiti a decidere se concorrere o meno al funzionamento dell’assemblea e del governo . La convinzione degli esperti è proprio questa: se le istituzioni ripartono, i politici si incontrano e possono allora collaborare. Senza tuttavia mettere una pietra sopra il passato. Altrimenti la pace resta effimera. Ci siamo impegnati tutti – ricorda Durkan – a dar vita ad una commissione che riprenda i fili della nostra storia per arrivare alla verità, accertare le responsabilità e maturare la riconciliazione e il perdono reciproco. Vedrà – ci aveva detto il reverendo Good -, presto il mondo verrà qui a capire come ce l’abbiamo fatta. Ma ancora non ci siamo . Poi, sorridendo all’interlocutore: Al momento giusto, torni. La voglio mio ospite. Messaggio di Benedetto XVI La pace poggia sulla verità È la menzogna sulle grandi questioni, per papa Ratzinger, il principale ostacolo verso un futuro migliore. Possiamo registrare con piacere alcuni promettenti segnali nel cammino della costruzione della pace, ha scritto papa Ratzinger nel suo primo messaggio per la Giornata mondiale della pace, celebrata il 1° gennaio. Pensava al calo numerico dei conflitti armati e alle accresciute prospettive in Palestina e in talune regioni dell’Africa e dell’Asia. Tuttavia precisa subito che ciò non deve indurre ad un ingenuo ottimismo. Non solo perché proseguono ancora sanguinosi conflitti fratricidi e guerre devastanti, ma anche a motivo di comportamenti insensati. Si riferisce a quelle autorità che fomentano nei cittadini sentimenti di ostilità verso altre nazioni. L’altra scelta miope è quella dei governi che si affidano alle armi nucleari per garantire la sicurezza dei loro paesi. Commenta il papa, quasi con filo d’ironia: Tale prospettiva, oltre che essere funesta, è del tutto fallace. In una guerra nucleare non vi sarebbero dei vincitori, ma solo delle vittime. Con rammarico constata anche l’aumento preoccupante delle spese militari e del commercio delle armi, mentre ristagna nella palude il processo politico e giuridico per il disarmo. Riguardo ai terroristi, condanna l’insensatezza dei loro disegni di morte e specifica che sono ispirati da un nichilismo tragico e sconvolgente o da un fanatismo religioso, denominato fondamentalismo. I nichilisti negano l’esistenza di qualsiasi verità, i fondamentalisti accampano la pretesa di poterla imporre con la forza. Per questo messaggio d’esordio, papa Ratzinger ha scelto un titolo Nella verità, la pace, che bene esprime una delle linee portanti del suo pontificato. Cita la Gaudium et spes del Vaticano II per mettere in luce che l’umanità non riuscirà a costruire un mondo veramente più umano per tutti gli uomini su tutta la terra, se gli uomini non si volgeranno con animo rinnovato alla verità della pace. Da qui, l’impegno per il rispetto di quella grammatica del dialogo che è la legge morale universale, scritta nel cuore dell’uomo. Cosa impedisce la realizzazione della pace?, si chiede il papa. La risposta può risultare spiazzante: la menzogna. E prospetta due esempi. Uno storico: Basti pensare a quanto è successo nel secolo scorso, quando aberranti sistemi ideologici e politici hanno mistificato in modo programmato la verità. E uno dei giorni nostri: L’esaltazione esasperata delle proprie differenze , che contrasta con una verità di fondo: tutti gli uomini appartengono ad un’unica e medesima famiglia. Indispensabile allora scrollarsi di dosso tale menzogna. Occorre recuperare la consapevolezza di essere accomunati da uno stesso destino, in ultima istanza trascendente, per poter valorizzare al meglio le proprie differenze storiche e culturali, senza contrapporsi ma coordinandosi con gli appartenenti alle altre culture. Ecco allora che la pace appare in modo nuovo. Riferendosi ai grandi temi del disarmo e della povertà, invita la comunità internazionale a ritrovare coraggio e saggezza per rilanciare in maniera convinta le opportune iniziative. A tutti offre indicazioni da coniugare nel quotidiano. Per servire la verità della pace, c’è bisogno di coltivare relazioni feconde e sincere, ricercare e percorrere le strade del perdono e della riconciliazione, essere trasparenti nelle trattazioni e fedeli alla parola data. Insomma, osiamo la pace.

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