Un altro tipo di autorità

Al maschio dominante è seguito il leader. Con altri problemi. Eppure un modello c’è

Nella nostra società non soffiano venti favorevoli all’autorità. Si tratta di uno schema strutturale che trova radici persino a livello biologico (basta pensare all’individuo “alfa”, o maschio dominante, nelle mandrie di tanti mammiferi). Uno schema sempre presente tra noi, in quanto lo svolgersi della vita umana è sempre stato segnato dal carattere sociale, di gruppo, per cui c’è bisogno che ci sia qualcuno che decide, che governa, che comanda. Questo schema suscita oggi, però, un’allergia profonda. Il più piccolo riferimento all’autorità è subito qualificato come autoritarismo.

Non stupisce. A lungo abbiamo sofferto dall’abuso di potere da parte di coloro che godevano di un’autorità riconosciuta. Anzi, con gli eccessi inimmaginabili del secolo scorso, in cui abbiamo toccato con mano dove ci possono portare gli assolutismi collettivi, si capisce bene che il trionfo politico della democrazia sia visto come un grande passo avanti dell’umanità. A livello di pensiero c’è stato un processo simile. L’emergere della scienza e della filosofia centrate sulla razionalità ha significato la sconfitta definitiva dell’argomento di autorità, di grande peso in altre epoche.

Ma le analisi non devono essere mai troppo veloci, perché le cose non sono mai semplici. Il primato razionale della scienza ha un campo di competenza limitato. Lascia fuori tutto il cosmo delle visioni globali, filosofiche o religiose. Come si fa con queste? Basta lasciarle nel campo del privato? Inoltre, la scienza non è più innocente. Ha tradito la sua neutralità quando si è messa a servire gli interessi più corrotti delle ideologie autoritarie (pseudo-scienza nazista o comunista). Per non parlare dell’attuale sottomissione della ricerca scientifica agli interessi di coloro che pagano di più.

La scomparsa del valore dell’autorità ha generato non pochi frutti problematici. Alcuni dati. Il progressivo tramonto della figura paterna nelle famiglie non nasce soltanto dal rifiuto dei padri dispotici o autoritari, dipende anche dal dispotismo dei figli che, in nome dei propri diritti, non tollerano il più piccolo divieto ai propri capricci. Questo non è buono per nessuno. Forse è giusta la scomparsa della cornice tradizionale, che stabiliva in modo generico cosa fossero il bene e il male, secondo un criterio religioso. Ma adesso non è rimasto niente, nessuna alternativa. Le nuove generazioni devono camminare inventando tutto, senza criterio. Questo non è giusto. Avere accantonato gli anziani come realtà inutile e inefficace, significa che per la nostra società non contano più la saggezza e l’esperienza. Al contrario di quanto accade nelle culture tradizionali, non sono più le persone sagge a guidare la famiglia e i gruppi. Così, però, ci condanniamo a una ricerca angosciosa, senza risultato. Se i frutti dell’autoritarismo erano negativi, i frutti del modello lassista non sembrano migliori.

Eppure, quando cade un re, subito ne appare un altro. Ed essendo necessaria l’autorità, subito si è cercato di trovare un’alternativa. La psicologia ci ha offerto una soluzione: la leadership. Se con l’autorità si trattava di obbligare gli altri a seguire certe norme, il vero leader continuerà a guidare le pecore e portarle dove vuole, ma per seduzione, non per imposizione. Una strategia diversa quindi: il capo non obbliga, ma trascina. Non forza a seguire le leggi, ma provoca la stessa risposta convincendo.

Di nuovo, però, emergono i limiti anche di questa versione “truccata” dell’autorità. Non è facile fare del capo un eroe, magari seguendo un corso di 15 giorni. Perché lo scopo rimane lo stesso: convincere gli altri a fare qualcosa. Questa richiesta nascosta si scopre subito.

L’autorevolezza infatti non si raggiunge né per imposizione, né per seduzione. Occorre dare, servire, occorre la gratuità, l’assenza di pretese nascoste, occorre dare la vita per gli altri. Bisogna che gli altri sentano il richiamo a dare la vita in reciprocità, perché prima l’hanno avuta da te. È lì che nasce la reciprocità, il dono scambievole, la comunione. Fatto questo, tutto è fatto, ma dovremmo imparare a guardare più spesso alla radice di questo modello: la comunione trinitaria. Dove il Padre comanda perché prima ha dato la vita, il Figlio obbedisce per ridonare al Padre l’amore ricevuto, e la reciprocità di entrambi si chiama Spirito Santo: vita data, ricevuta, scambiata, condivisa. L’autorità che comanda secondo il Regno di Dio.

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