Umanità tra gli orrori

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Per quanto sgradevole possa risultare la lettura di certi libri, conoscere di quali nefandezze sia capace l’uomo quando ha perso il senso di Dio e della fraternità con i propri simili è operazione salutare: non solo per deplorarle ma ancor più, se possibile, per porvi rimedio o almeno trarne stimolo per operare a favore delle vittime. I titoli che segnaliamo testimoniano tuttavia, insieme al diabolico scatenarsi del male, la reazione ad esso, dovuta a quella capacità di bene insita nell’uomo, che sempre induce alla speranza. Le ragazze di Aboke 9 ottobre 1996. 139 ragazze fra i 12 e i 15 anni vengono rapite dal collegio St. Mary di Aboke, una delle migliori scuole del nord Uganda, gestito dalle suore missionarie comboniane. Con incredibile coraggio suor Rachele Fassera, la vicepreside italiana, insegue i rapitori, appartenenti all’Esercito di Resistenza del Signore (Lra), uno dei più crudeli gruppi di guerriglieri del mondo, guidato da Joseph Kony, un fanatico religioso. La suora ottiene il rilascio della maggior parte delle sue ragazze, ma è costretta a lasciarne trenta al loro destino. Cosa è accaduto a quelle infelici, come pure alle migliaia di altri fanciulli portati via dalle loro case e dalle scuole di Gulu? E come definire un leader che sta uccidendo la sua stessa gente in nome della sacra Bibbia? Ne Le ragazze di Aboke (Edizioni Ares) la giornalista belga Els De Temmermann ricostruisce l’itinerario di due di loro che sono riuscite a fuggire dal Lra. Racconta anche la storia di uno dei rapitori, un bambino-soldato di 14 anni, che faceva parte delle truppe scelte di Kony. Descrive inoltre l’opera instancabile di suor Rachele per liberare le altre sue allieve ancora in schiavitù, in una ricerca che l’ha portata a incontrare le più alte autorità politiche e religiose, da papa Giovanni Paolo II a Kofi Annan, ai presidenti di Uganda, Sudan e Sud Africa. Sconvolge, questo libro, come una immersione nei gironi infernali, ed è una fiera protesta contro l’uso dei bambini nei conflitti armati. Fra l’altro, la sua traduzione italiana è stata fortemente voluta dal medico Pietro Corti, che ha svolto la sua missione proprio in Uganda e la cui figura esemplare è stata portata di recente sugli schermi televisivi. Nel saggio conclusivo Africa: educare alla fraternità padre Pietro Gheddo offre come uno sprone perché le vicende umane, spesso tragiche, dell’intero Continente Nero non si consumino nell’indifferenza internazionale. Diario di Thura La guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein è scoppiata il 20 marzo 2003. Da allora, e anche dopo la caduta e la cattura del dittatore, quel martoriato paese ci è quotidianamente presente attraverso stampa e tv, tanto da avere l’impressione che più nulla ormai resti da scoprire al riguardo. Ma come ha vissuto la popolazione civile irachena quei mesi tremendi in cui la stessa capitale veniva pesantemente bombardata dalle forze alleate? Fra tante contrastanti opinioni, si leva una voce diversa: è quella di Thura Al- Windawi, una ragazza diciannovenne che a Baghdad, e poi nel villaggio dove era evacuata insieme alla famiglia, ha tenuto un diario di quel periodo (Diario di Thura, Fabbri Editori): un modo per mantenere salde le redini della propria emotività e riuscire un giorno a trasmettere ad altri la verità di un conflitto breve ma dalle conseguenze nefaste per la psiche e l’animo della sua gente. Di famiglia musulmana sciita, appartenente al ceto medio, grazie ad un lungo soggiorno in Inghilterra con i suoi Thura ha saputo mantenere una visione piuttosto aperta nei riguardi dell’Occidente. Con la semplicità e l’immediatezza proprie della giovane età, ella annota giorno per giorno gli espedienti per sopravvivere sotto la pioggia dei missili, i traumi dei più deboli e indifesi, il vuoto di persone care che si fa attorno a lei. Sorprende la maturità di questa ragazza, che senza tranciare giudizi, sembra ergersi sopra le parti, soffre per l’incapacità degli uomini di riconoscersi fratelli, ma non ha perso la speranza che in futuro la pace possa prevalere sull’odio. Andrò in America un giorno: non per cercare vendetta – così conclude il suo diario -, ma per studiare, e per vivere in armonia con tutti… E quando sarò laggiù, andrò a trovare le famiglie dei soldati americani morti in Iraq, e le famiglie di coloro che stanno ancora combattendo, e porgerò loro le mie condoglianze. Farò lo stesso in Gran Bretagna… e alla fine scopriremo che possiamo vivere tutti insieme solo se non c’è buio né ingiustizia tra noi. Io sono nessuno I poveri ci attendono. I modi del servizio sono infiniti e lasciati all’immaginazione di ciascuno di noi. Non aspettiamo di essere istruiti nel tempo del servizio. Inventiamo (…) e vivremo nuovi cieli e nuova terra ogni giorno della nostra vita. Così Annalena Tonelli concludeva la sua testimonianza a un convegno vaticano sulla pastorale della salute. Era il 1° dicembre 2001 e le restavano da vivere ancora due anni scarsi, prima dell’assassinio avvenuto nel suo ospedale di Borama, nel Somaliland, ad opera di fondamentalisti islamici. Io sono nobody, nessuno andava ripetendo questa forlivese che aveva preferito non legarsi a nessuna congregazione o organizzazione religiosa per diventare missionaria laica. La sua unica ambizione: ridurre la propria persona al minimo assoluto per trasformarsi in un conduttore perfetto dell’amore di Cristo special- mente per quei brandelli di umanità ferita di cui aveva fatto la scelta già a cinque anni. Essere nessuno… Eppure era diventata famosa in tutto il mondo per aver sfamato decine di migliaia di persone, accolto reietti della società, costruito scuole e ospedali e, pur senza essere medico, avviato programmi sanitari in Kenya, Somalia, Etiopia e Sudan; nonché liberato migliaia di donne dall’umiliazione delle mutilazioni genitali Una donna dalla forte personalità mistica, eremitica e ascetica, che non ha esitato ad opporsi ai ricatti dei signori della guerra, che ha dialogato e collaborato con l’Islam, vincendo là dove altri avevano continuato a raccogliere sconfitte, e in ogni caso patendo sulla propria pelle povertà, fame, aggressioni e sequestri. Cosa abbia ispirato la Tonelli nella sua missione lo esprime bene questa testimonianza, riportata nella bella biografia di lei edita da San Paolo Io sono nessuno: Quella dell’ut unum sint è l’agonia amorosa della mia vita, lo struggimento del mio essere. È una vita che combatto affinché gli uomini siano una cosa sola. La lista del console Ancora Africa, terra stupenda e straziata, e precisamente il Ruanda. In questa piccola nazione il 6 aprile 1994 si scatena l’inferno: una vera e propria caccia all’uomo da parte degli hutu, l’etnia predominante, contro i tutsi. Tre mesi di massacri e violenze di ogni genere provocano un milione di morti, uno genocidi più atroci del XX secolo. Città nuova – N.1 – 2005 UMANITÀ TRA GLI ORRORI Durante quei cento giorni di follia collettiva, Pierantonio Costa, alle spalle una famiglia con cent’anni di emigrazione in Africa, imprenditore di successo e console italiano a Kigali dal 1988 al 2003, opera controcorrente per mettere in salvo italiani, belgi, spagnoli, burundesi, francesi ma anche ruandesi, molti dei quali tutsi. E mentre lui percorre la capitale in preda al caos, la sua famiglia nasconde in casa una quindicina di appartenenti a questa etnia. Tre mesi frenetici di faticosi viaggi col fuoristrada fra Ruanda e Burundi, esposto talora a rischi altissimi, registrando episodi di altruismo e di eccezionale umanità. Obiettivo, che diventa per Costa quasi un’ossessione, è portare in salvo due grossi gruppi di bambini: 600 si trovano nell’orfanotrofio di Nyanza, custoditi dai padri rogazionisti; altri 750 sono in un campo di raccolta della Croce Rossa a Butare. Una storia che lascia il fiato sospeso sino alla fine e che il protagonista ha accettato di narrare al giornalista Luciano Scalettari ne La lista del console (Focsiv-Paoline). Non sappiamo se i responsabili dei massacri provino oggi dei rimorsi. Sappiamo però che quest’uomo giusto, che ha profuso tutto il suo patrimonio per sottrarre al mattatoio-Ruanda più gente possibile, tuttora è roso dal tarlo di aver fatto troppo poco, lui che di vite umane ne ha salvate quasi 2000.

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