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Mondo > In punta di penna

Ucraina, una pace imposta?

di Michele Zanzucchi

- Fonte: Città Nuova

Michele Zanzucchi, autore di Città Nuova

Il piano di pace proposto da Trump al solito spariglia le carte. È la vittoria dei forti sui deboli? Kyiv sarà obbligata a firmare un contratto capestro? Una guerra che finisce peggio di come era iniziata

Il presidente russo Vladimir Putin durante una riunione operativa con i membri permanenti del Consiglio di sicurezza russo al Cremlino di Mosca, Russia, il 21 novembre 2025. Il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato: “Mosca ha ricevuto da Washington il testo di un piano per un accordo in Ucraina. Credo che anch’esso possa costituire la base per un accordo di pace definitivo”. Ansa EPA/GAVRIIL GRIGOROV/SPUTNIK/KREMLIN POOL MANDATORY CREDIT

Che qualcosa si muovesse sul quadrante ucraino-russo era evidente già da alcune settimane, come Città Nuova scriveva un paio di settimane fa, in cui già si preconizzava una fine del conflitto assai sbilanciato in favore di Mosca. Ora, Donald Trump, che agisce con decisione e pragmatismo, pronto quindi a rimangiarsi quanto affermato solo pochi giorni prima (Gaza docet), ha proposto una serie di misure che potrebbero essere definite come una capitolazione degli aggrediti, di Kyiv.

Vediamo a sommi capi quanto è contenuto nel piano di pace di Trump: il piano prevede che la Russia ottenga il controllo de facto del Donbass (Lugansk e Donetsk) e il riconoscimento internazionale della Crimea come territorio russo da parte degli Stati Uniti e di altri Paesi; nonostante le concessioni territoriali, la sovranità dell’Ucraina verrebbe formalmente confermata; l’Ucraina dovrebbe sancire nella sua Costituzione la rinuncia all’adesione alla Nato, e l’Alleanza Atlantica si impegnerebbe a non ammetterla in futuro; Kyiv riceverebbe garanzie di sicurezza esplicite e affidabili da parte degli Stati Uniti e degli alleati, intese come una difesa in caso di futuro attacco russo; verrebbe stipulato un accordo globale di non aggressione tra Russia, Ucraina ed Europa; le dimensioni delle forze armate ucraine verrebbero limitate a un massimo di 600 mila unità; sarebbe avviato un dialogo aperto tra Russia e Nato, con la mediazione degli Stati Uniti, per risolvere le questioni di sicurezza ancora sospese; le aree del Donbass cedute a Mosca diventerebbero una zona demilitarizzata dove la Russia non potrebbe schierare truppe; il piano stabilisce che la Russia non invaderà i Paesi vicini e la Nato non si espanderà ulteriormente; in caso di rispetto dell’accordo da parte russa, Mosca beneficerebbe di una reintegrazione nell’economia globale e, in caso contrario, le sanzioni verrebbero ripristinate e aggravate. Insomma, non c’è che dire, Mosca uscirebbe dal conflitto da vincitrice.

Cosa succederà nelle prossime ore, nelle prossime settimane? Servirebbe una sfera di cristallo per capirlo, ma qualche linea appare ormai tracciata. In primo luogo il fatto che questa proposta sembra scritta da The Donald per “costringere” Mosca a sedersi al tavolo delle trattative, ma non è detto che questa sia la versione finale. In secondo luogo, è evidente come la proposta sia stata scritta con l’insofferenza che il presidente statunitense ha da tempo nei confronti dei “piccoli” europei, in particolare i membri dell’Unione Europea: molto dipenderà dalla volontà dell’Unione e dalla coesione delle sue reazioni. Terzo, è chiaro che vi sia ovunque un’estrema stanchezza per una guerra che da quasi 3 anni sta provocando morti (un milione? Non è una stima eccessiva), disturbi al commercio internazionale e quindi diminuzione del benessere della gente, assideramento dei processi diplomatici, turbative nelle operazioni di avvicinamento culturale. Vero, le cancellerie sembrano aver scelto la guerra per sostenere lo “sviluppo” (eufemismo!) economico e finanziario, in particolare per le pesanti implicazioni tecnologiche del comparto digitale (i droni e i missili, l’AI come supporto sui campi di battaglia), ma la gente normale, pur se indottrinata dalla polarizzazione provocata dai social, è indubbiamente stanca dell’insicurezza crescente.

Ulteriore sviluppo che appare inevitabile è quello dell’insostenibilità a lungo termine della resistenza ucraina nelle città (la penuria di gas, elettricità e riscaldamento) e sul campo: troppo forte la sproporzione tra le forze umane in campo. Non è tanto una questione di volontà di resistenza e di svantaggio tecnologico, ma un problema numerico: Kyiv non ha abbastanza soldati per dare il cambio alle truppe al fronte. Non è escluso che Trump abbia dato uno scossone al quadro politico – ingoiando il rospo a cui Putin lo ha sottomesso con lo scacco in Alaska – per anticipare il tracollo militare annunciato in campo ucraino, che potrebbe avere conseguenze più durature che la semplice perdita del Donbass e della Crimea. Senza poi considerare altri 2 fattori: l’instabilità crescente del quadro politico ucraino e la crisi evidente delle forniture di armi da parte della Nato a Kyiv.

Infine – come Città Nuova ripete da sempre – la Seconda guerra del Donbass poteva e doveva essere evitata. La responsabilità oggettiva di colui che ha attaccato – chi attacca ha sempre torto – è evidente, ma non può essere gommata la scarsa lungimiranza del campo Nato che non ha saputo leggere l’enorme appoggio goduto da Putin da parte dei russi che avevano vissuto la caduta dell’Unione Sovietica come un trauma nazionale, e avevano covato in seno il desiderio di una vendetta da consumare fredda. Le umiliazioni del periodo Gorbaciov-Eltsin, la scarsa attenzione posta alla crisi georgiana, il distacco dei Paesi Baltici dalla sfera di influenza russa, e via dicendo, non potevano essere digerite facilmente dal popolo russo.

I prossimi giorni e le prossime settimane diranno se la tregua avrà reali chance di essere proclamata. Per la pace, per la riconciliazione, per il perdono, beh è tutta un’altra storia.

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