Tutto è relazione

Firenze ha ospitato anche quest'anno le Giornate dell'interdipendenza. Sul tavolo le sfide poste da una globalizzazione che sembra esserci sfuggita di mano.
Benjamin Barber

«Sinora abbiamo fatto esperienza solo degli elementi negativi della globalizzazione»: è partito con una provocazione Andrea Olivero, presidente della Acli, nell’aprire le Giornate dell’interdipendenza 2009 a Firenze, il 29 e 30 ottobre. Crisi economica, capitalismo selvaggio: sembra che la globalizzazione significhi solo questo. «Siamo di fronte alla sfida di farla diventare qualcosa di positivo. Come ha affermato il papa nella Caritas in veritate: l’umanità è oggi molto più vicina che in passato, e dobbiamo far diventare questa vicinanza vera comunione».

 

Che cosa significa vivere in un mondo interdipendente – ossia in cui tutte le realtà sono intimamente legate – e come può questo essere una via per arrivare alla vera “comunione planetaria”? Il politologo americano Benjamin Barber, fondatore delle Giornate dell’interdipendenza, ha sottolineato la centralità dei singoli, delle associazioni e delle città in un mondo in cui i singoli Stati sono inadeguati a rispondere a sfide che vanno oltre i loro confini. «Si tratta di creare nuove istituzioni che portino ad una globalizzazione democratica, invece dell’attuale globalizzazione anarchica. Le singole città multiculturali sono il modello ideale di partecipazione locale all’interno di una rete globale, perché appartengono al mondo intero molto più delle singole nazioni».

 

E infatti le esperienze che si sono susseguite durante le giornate, pur varcando a volte i confini dei singoli Stati, hanno le loro radici nelle relazioni quotidiane. Per garantire la messa in comune delle conoscenze e la formazione di gruppi di ricerca scientifica, ha ricordato il fisico Ugo Amaldi, vent’anni fa è nato il web. E poiché tutta la vita civile si regge su una rete di relazioni, è da lì che bisogna partire per risolvere le tre crisi individuate da Barber – economica, climatica e culturale. Tre crisi generate dalla mancanza di fiducia: dalla rottura di quella tra banche e risparmiatori, ha osservato l’economista Luigino Bruni, si è generata la bolla dei mutui. Dalla mancanza della fiducia tra popoli è nato lo “scontro di civiltà”, da cui la necessità di un percorso di riconciliazione sia a livello di base – come dimostrano diverse esperienze in Africa e in India, portate dall’assessore regionale Massimo Toschi e dalla dott.ssa Kezevino Aram – che di istituzioni: Marco Fatuzzo, del Movimento politico per l’unità, ha auspicato la riscoperta della fraternità come categoria politica. E anche la crisi ambientale, potendo essere affrontata soltanto a livello globale, richiede fiducia tra i vari attori: lo hanno ben illustrato il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza, e l’economista Marzio Galeotti, con una panoramica sulle interazioni tra economia e sviluppo sostenibile.

Ripartire quindi dal locale, dalle singole relazioni, per poter andare al globale? Forse. Ammesso che locale e globale siano distinzioni ancora valide in un mondo che ha già coniato l’aggettivo glocal.

 

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Un nuovo modello democratico

 

Tra globalizzazione ed esportazione della democrazia la differenza può essere sottile. Dove si colloca il confine tra le due? Intervista a Benjamin Barber, fondatore delle Giornate dell’interdipendenza.

 

Nel suo intervento ha parlato di “globalizzazione della democrazia”: quest’espressione non può far pensare alla tanto contestata “esportazione della democrazia”?

«Certo, ed è fondamentale non confondere i due concetti. Non si tratta di imporre il modello democratico del più forte. Globalizzare la democrazia significa aiutare ciascun popolo a trovare la sua via per attuarla».

 

A quale modello farebbe riferimento una democrazia globale?

«Ad uno nuovo, che garantisca non solo una democrazia interna agli Stati ma tra nazioni».

 

A questo proposito, faceva notare come le attuali istituzioni internazionali non siano adeguate a rispondere alle sfide globali, perché si basano ancora su singoli Stati sovrani. Non potrebbero essere proprio contesti come quello delle Nazioni Unite il luogo per superare questa concezione?

«Possono essere un punto di partenza, ma dobbiamo andare oltre: un modello di democrazia globale deve includere anche soggetti come le città, le associazioni, i gruppi di cittadini».

 

Nel suo intervento ha fatto più volte riferimento a Chiara Lubich, definendola “una campionessa di interdipendenza” per il suo impegno a favore della fraternità universale. Qual è stato il più grande contributo che Chiara ha lasciato?

«L’intuizione che la sfera spirituale e quella sociale e politica non sono poi così lontane. Chiara è stata un’ispirazione per me. Nel 2004 venni in Italia insieme a Howard Dean, allora candidato alle presidenziali: una persona decisa, quasi dura, molto diversa da Chiara. Eppure, quando si incontrarono, proprio perché entrambi credevano profondamente nella fraternità globale, ebbero una stupenda conversazione. Il Movimento dei focolari ha sempre avuto a cuore questo tema, e mi fa piacere che Maria Voce stia proseguendo sulla stessa strada: il che mi fa dire che i veri “campioni dell’interdipendenza” sono le donne!».

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