Tunisia, elezioni parlamentari: 90% di astensione

I tunisini hanno disertato in massa le urne (con oltre il 90% di astensionismo) al primo turno delle elezioni parlamentari indette dal presidente Kais Saied, che sta sempre più azzerando gli spazi di dialogo politico con le sue riforme autocratiche. Intanto l’economia allo sbando spinge sempre più tunisini a lasciare il Paese.
Tunisia
Tunisi, una donna alza un cartello di protesta contro il presidente Kais Saied (Foto: LaPresse)

Continua il crollo del consenso dei tunisini nei confronti del presidente Kais Saied. Alla prima tornata delle elezioni parlamentari del 17 dicembre 2022, indette da Saied, i votanti sono stati poco più dell’11% (un milione su 9 milioni di aventi diritto), con un’astensione che sfiora quindi il 90%: numeri da guinness dei primati in negativo.

La parabola di Saied era iniziata ad ottobre 2019, quando era stato eletto al ballottaggio con il 72,71% dei voti espressi (18,40% al primo turno). Ma le speranze della maggioranza dei tunisini (soprattutto di molti giovani) che fosse lui l’uomo giusto per affrontare i gravi problemi del Paese si sono ben presto arenate davanti agli sconcertanti provvedimenti istituzionali che Saied aveva avviato, minando e poi annullando le conquiste democratiche della prima “primavera araba”, quella tunisina del 2011, e l’ultima sopravvissuta.

Il 25 luglio 2021, Saied aveva destituito il primo ministro Hichem Mechichi, licenziato il Governo e sciolto il Parlamento. Dopo tre mesi di governo personale tramite decreti, nell’ottobre 2021 il presidente aveva nominato il governo presieduto da Najla Boude, riservandosi comunque un ampio controllo su tutto. Il 25 luglio di quest’anno Saied aveva presentato una Costituzione molto presidenzialista, che era stata da lui “approvata” dopo una consultazione in cui l’affluenza alle urne era arrivata ad uno striminzito 30% degli aventi diritto (2,5 milioni su 9), inaccettabile per una riforma della Legge fondamentale dello Stato. Una Costituzione, poi, quella di Saied, in cui il presidente della Repubblica non può essere destituito, nomina o licenzia direttamente non solo il premier, ma tutto il governo e ogni singolo ministro. Insomma, la Tunisia secondo Saied, sarebbe di fatto una sorta di autocrazia presidenziale. Alla fine, in queste elezioni disertate di dicembre, le candidature al Parlamento ammesse erano quelle personali, non in quanto espressione di formazioni partitiche, ma solo di singoli candidati. Ne è derivato un forte boicottaggio del voto da parte di partiti, sindacati e organizzazioni della società civile, che spiega la scarsissima affluenza alle urne.

E se è anche vero che la democrazia partitica non godeva di buona salute ed era in certo modo bloccata, l’esclusione operata da Saied delle forze politiche, più che risolvere qualcosa sembra allontanare ogni possibilità di mediazione politica, aggravando problemi già di per sé pesantissimi.

In pratica, su 161 seggi parlamentari, solo 23 sono stati assegnati. I restanti 138 verranno definiti con un ballottaggio che si dovrebbe tenere alla fine di gennaio. L’annuncio dei risultati definitivi del primo e secondo turno è previsto per il 3 marzo 2023. Senza contare che in alcuni collegi, dove non c’è stata alcuna candidatura, si prevedono fin da ora elezioni legislative parziali-suppletive oltre la data del 3 marzo.

Queste complicate, macchinose e ben poco rappresentative manovre istituzionali avvengono mentre un numero sempre maggiore di tunisini cerca di abbandonare il Paese. Anche perchè l’azione “riformista” di Saied non ha minimamente affrontato i veri problemi che affliggono la popolazione tunisina. Oltre alla disoccupazione giovanile che viaggia intorno al 40%, nel Paese mancano latte, riso, farina, zucchero e carburanti. L’inflazione sta superando il 10% e il debito pubblico il 100% del Pil. C’è poi un forte problema legato all’eccessivo numero di dipendenti pubblici (680 mila persone), che pesa sul Pil nazionale per il 18-20%. Per non parlare di agevolazioni e sussidi non più sostenibili dal bilancio dello Stato, ma difficili da abolire senza incidere pesantemente sulle già esigue risorse di molta gente.

Un altro enorme problema riguarda l’agricoltura: la Tunisia ha spinto da decenni la produziuone agricola a specializzarsi in colture da esportazione (fragole, pomodori, meloni, ecc.) a scapito della produzione cerealicola dedicata all’alimentazione della popolazione. Con i cambiamenti climatici (siccità prolungata), sommati alle conseguenze del Covid19 e della guerra in Ucraina, la Tunisia si trova a fare i conti non solo con la mancanza di grano e generi alimentari di prima necessità ma soprattutto con una grave carenza idrica: manca l’acqua e quella di superfice è sempre più salina, per cui si scavano pozzi sempre più profondi e in modo sempre più incontrollato. Il paradosso è che gli “ortaggi da esportazione” ad alto consumo idrico sono in realtà una sorta di dissennata esportazione di quell’acqua di cui il Paese è carente.

Una situazione drammatica che ha conseguenze anche per l’Italia, sia per il considerevole numero di tunisini che tentano di entrare illegalmente in Europa attraverso il nostro Paese (il canale di Sicilia misura solo 140 Km nel punto più stretto) che per le risorse energetiche (petrolio, gas e rinnovabili) e l’esportazione di energia dalla Tunisia verso l’Italia e l’Europa. Lo sviluppo dei rapporti, peraltro già stabiliti e avviati, potrebbe dare lavoro ad un maggior numero di tunisini e non solo: occorrono però garanzie politiche, non solo economiche e finanziarie, sia da parte della Tunisia che dell’Unione europea.

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