Tu non uccidere, segno di contraddizione al tempo della guerra

Continua il dialogo con Anselmo Palini, storico e saggista, esperto del pensiero di don Primo Mazzolari, a proposito del ricorso giustificato alla violenza di fronte all’ingiustizia. Un dilemma che ha accompagnato la lotta di liberazione nel continente latino americano e la posizione dei cristiani davanti alle dittature
Guerra (AP Photo/Libkos)

Viviamo un tempo segnato dalla guerra, ormai penetrata nell’agenda politica quotidiana, nel timore di un escalation incontrollabile del conflitto in Ucraina. Una questione, quella della guerra, accantonata in questi anni, nonostante lo scenario geopolitico mandasse segnali ben precisi e la diffusione planetaria di conflitti cruenti, come testimoniano i milioni di morti nel continente africano, pressoché ignorati nei media occidentali. Ma è stata negli anni a noi più vicini, la lotta di liberazione nell’area dell’America Latina a sollecitare il dilemma sulla giustificazione dell’uso della violenza per motivi di giustizia. Continuiamo, perciò, il dialogo con Anselmo Palini, storico e saggista, a proposito dell’insegnamento di Primo Mazzolari, più volte citato come riferimento da papa Francesco, che abbiamo approfondito già con riferimento alla maturazione dall’interventismo giovanile nella prima guerra mondiale alla posizione assoluta consegnata nel suo testo definitivo Tu non uccidere.

(AP Photo, File)

Sappiamo che don Primo Mazzolari giunse a condannare l’uso della violenza anche quando viene esercitata per opporsi a gravi forme di ingiustizia sociale, mentre nell’enciclica Populorum progressio del 1967, Paolo VI prevedeva la possibilità di un uso della forza, insurrezione rivoluzionaria, in certi casi. Non è un dilemma ancora irrisolto a suo parere?
Come già detto, la contrarietà di Mazzolari alla guerra non nasce a tavolino, non è frutto di una riflessione teorica, bensì nasce dall’esperienza: don Primo ha vissuto la prima guerra mondiale partecipandovi in prima persona come cappellano militare. Poi ha conosciuto la seconda guerra mondiale nella quale ha perso molti suoi parrocchiani. Da queste drammatiche esperienze è derivata la convinzione che la guerra, ogni guerra, è fratricidio, oltraggio a Dio e all’uomo. Si tratta pertanto di trovare strade diverse per resistere e don Mazzolari indica nella nonviolenza attiva questa strada.

Ciò non ha impedito ad altri cristiani di compiere scelte di altro tipo…
Per opporsi all’ingiustizia legalizzata vi sono stati dei credenti, pensiamo a Camillo Torres, che hanno scelto invece la strada della lotta armata, rifacendosi alla “Populorum progressio” di Paolo VI, in particolare là dove si dice: «E tuttavia sappiamo che l’insurrezione rivoluzionaria – salvo il caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del Paese – è fonte di nuove ingiustizie, introduce nuovi squilibri e provoca nuove rovine. Non si può combattere un male reale a prezzo di un male più grande».

Guerra rivoluzionaria Fidel Castro (AP Photo/Andrew St. George, File)

Papa Montini tornò sulla questione durante il suo pontificato?
Paolo VI in altri testi ha poi di fatto sottolineato la negatività della riposta armata e l’impossibilità della realizzazione delle condizioni che la possano rendere lecita. Nella “Evangelii nuntiandi” del 1975, in particolare nel cap. 37, si trova una conferma della posizione di rifiuto di ogni forma di violenza, anche di quella rivoluzionaria che vuole abbattere le strutture ingiuste. Anche il tema che Paolo VI sceglie per la Giornata Mondiale della Pace del 1978, “No alla violenza, sì alla pace”, va nella direzione opposta rispetto a quella della scelta armata e intende proporre a tutti la strada indicata dal Vangelo, la strada dell’amore e della nonviolenza.

Quindi, non resta comunque, a suo parere, il dilemma teorico dell’uso della violenza posto nel 1967?
Non siamo dunque di fronte ad un dilemma irrisolto. La condanna assoluta della guerra, di ogni guerra, è ormai patrimonio solido nel Magistero della Chiesa, come dimostra la continua insistenza in merito di papa Francesco. Sta poi ai laici trovare le strade per opporsi alla violenza e alla guerra senza utilizzare le armi e senza considerare chi ci sta di fronte un nemico da eliminare.

La storia contemporanea del continente latino americano non ci dice tuttavia che resta la contraddizione nella scelta concreta dei cristiani?
Se è vero che la scelta della rivolta armata per opporsi alla brutalità delle dittature militari è stata fatta da non pochi credenti in America latina, questa scelta non è stata condivisa dai grandi profeti di pace e di giustizia latinoamericani, da Oscar Romero a Helder Camara, da Juan Gerardi a Enrique Angelelli, da Pedro Casaldáliga a Leonidas Proaño. Per tutti costoro le condizioni che rendevano possibile una rivolta armata, come previsto dall’inciso nel testo di Paolo VI, erano inesistenti nella realtà, anche e soprattutto in considerazione del fatto che le conseguenze sarebbero devastanti soprattutto per la popolazione.

(AP Photo/Salvador Melendez)

Ma come si fa ad abbattere un potere ingiusto e predominante senza la rivolta armata? Alcuni dei nomi citati non sono stati assassinati impunemente dalle dittature militari oppressive?  
I vescovi latinoamericani che ho citato erano coscienti del fatto che, finché non si rimuove l’ingiustizia, è estremamente difficile realizzare condizioni di pace. Si tratta dunque di trovare un’altra strada per risolvere i problemi e i contrasti. La scorciatoia della violenza, scelta dalle forze rivoluzionarie, per questi vescovi era moralmente inaccettabile; non faceva altro che offrire il pretesto per la repressione di tutto il dissenso da parte dei militari. Nella stagione delle dittature militari, di fronte al dilagare in America latina della violenza, dei rapimenti, della tortura, questi vescovi, basandosi sul testo evangelico, hanno posto come riferimento assoluto il “Tu non uccidere”. Non può essere artefice di pace chi ha nel cuore il risentimento, l’odio, la violenza. La soluzione dei mali infatti è nella conversione del cuore, nell’assunzione di atteggiamenti di rispetto, di dialogo, di collaborazione, di nonviolenza. Il concetto che riassume tutto ciò, e che derivano da Paolo VI, è quello della “civiltà dell’amore”.

Qui il profilo biografico di Mazzolari https://fondazionemazzolari.it/biografia/

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