Trump sostiene le proteste in Iran

C'è mobilitazione, in Iran, dopo che il governo ha ammesso le proprie responsabilità nell'abbattimento dell'areo ucraino che ha provocato la morte di 176 persone. E mentre la nuova guerra si combatte anche a colpi di tweet, l'Italia e l'Europa stentano ad assumere un ruolo da protagonisti nelle grandi manovre in atto nel Mediterraneo.

Il confronto tra Iran e Stati Uniti d’America sembra avviato verso una dinamica che potrebbe portare alla guerra diretta, ma ha assunto anche una nuova configurazione diplomatica e comunicativa.

Non sappiamo se, poco dopo la mezzanotte del 3 gennaio, quando un drone statunitense ha ucciso, tra gli altri, il generale iraniano Qasem Soleimani, il presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, fosse sincero dichiarando: «Abbiamo attaccato la scorsa notte per fermare una guerra, non per iniziarla». Nella regione del Medio Oriente le guerre sono state così tante e così lunghe che vi sono persone che non sanno cosa significhi la pace.

In realtà, l’uccisione del generale Soleimani si avvicinerebbe di più ad un’azione terroristica che ad un atto di guerra, in barba al diritto internazionale che ancora ci insegnano nelle facoltà di Scienze Politiche; azione condotta, tra l’altro, in uno stato diverso (l’Iraq) rispetto a quello dei due avversari (Iran e Stati Uniti). Soleimani si sarebbe recato a Baghdad per incontrare rappresentanti dell’Arabia Saudita, storico alleato degli Stati Uniti nella regione, ovviamente, temono un possibile riavvicinamento tra l’Iran,  perno dell’Islam sciita (che rappresenta una minoranza di circa il 15% del mondo mussulmano, concentrato principalmente in Iran, Iraq, Azerbaigian, Bahrein, Libano e Yemen) e l’Arabia Saudita, al centro dell’Islam sunnita. Inoltre, assieme a Soleimani è stato ucciso il politico iracheno Abu Mahdi al Mouhandis, vice capo delle milizie sciite Hashd al-Shaabi, che hanno dato un contributo decisivo alla sconfitta dello Stato Islamico in Iraq (ma che da luglio scorso fanno parte delle Forze armate irachene), un paese tanto fragile che molti considerano sull’orlo di una guerra civile. Si tratta forse di un avvertimento a nemici ed alleati degli Stati Uniti che non vogliono rinunciare alla loro influenza nella regione?

Del resto, curiosamente, questa escalation militare avviene in concomitanza con la richiesta di impeachment per Donald Trump da parte della Camera dei Rappresentanti e nell’approssimarsi delle elezioni presidenziali statunitensi nel novembre 2020. Armi di “distrazione” di massa in una guerra politica ed elettorale tutta interna agli Stati Uniti?

Senza entrare nello specifico, però, indubbiamente, l’atteggiamento degli Stati Uniti e le risposte dell’Iran non lasciavano presagire nulla di buono, almeno fino a quando, a causa di un errore delle forze iraniane, un aereo civile dell’Ukraine International Airlines, compagnia aerea ucraina, è stato abbattuto da un missile iraniano poco dopo il decollo da Teheran. Dopo avere inizialmente negato ogni responsabilità, il presidente iraniano, Hassan Rouhani, ha ammesso che si è trattato di un disastroso e imperdonabile errore umano ad aver abbattuto l’aereo carico, tra gli altri, di cittadini con doppio passaporto canadese e iraniano, e lo ha fatto tramite un tweet: «La Repubblica islamica dell’Iran si rammarica profondamente per questo disastroso errore. I miei pensieri e le mie preghiere vanno a tutte le famiglie in lutto. Offro le mie più sincere condoglianze», precisando che «l’indagine interna delle Forze armate ha concluso che i missili purtroppo lanciati a causa di un errore umano hanno causato l’orribile incidente dell’aereo ucraino e la morte di 176 persone innocenti. Le indagini proseguiranno per identificare e perseguire» i responsabili di «questa grande tragedia» e di questo «errore imperdonabile».

le-lacrime-dellayatollah-ali-khamenei-per-il-generale-qassem-soleimani-ucciso-dagli-statunitensi-foto-apChe guerra è questa? Una guerra non dichiarata nella quale in uno spazio aereo aperto, si confonde un missile con un aereo civile appena decollato che viene abbattuto con tanta disinvoltura? E cosa proverà quel soldato che ha premuto quel pulsante e lanciato quel missile? Cosa proverà L’Ayatollah Ali Ḥoseyni Khamenei, attuale guida suprema dell’Iran (che è bene ricordare è una teocrazia), di cui è stato presidente dal 1981 al 1989, nonché il massimo esponente nazionale del clero sciita, nell’osservare la riprovazione della comunità internazionale e nel vedere tanti iraniani – soprattutto giovani – scendere in piazza e chiedere le sue dimissioni?

E dov’è la comunità internazionale? Dov’è il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite? Sempre nelle università ci hanno insegnato che, in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni unite, il Consiglio di sicurezza dovrebbe gestire il cosiddetto sistema di sicurezza collettiva, mantenendo la pace e la sicurezza internazionale e, a questo fine, prendendo efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace. E dov’è l’Unione europea, che sembra osservare inerme alla fine degli accordi che arrestavano il nucleare iraniano che pure tanto aveva contribuito a raggiungere? E dov’è la NATO, che vede gli alleati sull’orlo di una crisi di nervi quasi come le protagoniste del noto film di Pedro Almodovar?

Questa sembra essere diventata anche la guerra dei tweet. Proprio Twitter, un social media che fino a qualche anno fa molti davano se no, già morto senz’altro morente, è stato praticamente resuscitato da Donald Trump, che ne ha fatto un mezzo di comunicazione politica, nello specifico attraverso la disintermedizione tra eletto ed elettori, eliminando i tradizionali filtri della stampa, ma anche dei cosiddetti corpi intermedi (partiti, associazioni, sindacati, ecc.). Dopo il 3 gennaio, Twitter è anche diventato uno strumento di disintermediazione diplomatica, poiché i Capi di Stato di Iran e Stati Uniti hanno twittato proclami e comunicati superando (certamente non eliminando) i tradizionali canali diplomatici. Interessante anche il salto di qualità di Donald Trump, che ha pubblicato dei tweet in farsi, la lingua parlata in Iran, rivolgendosi direttamente ai manifestanti che in Iran protestano contro l’abbattimento dell’aero dell’Ukrainian Airlines: «Seguo attentamente le vostre proteste. Sono ispirato dal vostro coraggio».

il-discorso-alla-nazione-di-trump-foto-apAnche i jihadisti potrebbero essere resuscitati grazie a questa situazione di incertezza e dall’acuirsi di vecchie tensioni; indubbiamente ne troveranno giovamento. A farne le spese saranno nuovamente civili inermi, che vorrebbero invece tornare a vivere in serenità dopo decenni bui, caratterizzati da conflitti tra e negli stati della regione, terrorismo, guerre non dichiarate o guerre per procura (quelle condotte da Stati o attori non statali per conto di altri Stati che non sono direttamente coinvolti).

E, in tutto questo, l’Italia? Cosa fa il nostro paese che è uno dei principali partner commerciali (e geopolitici) dell’Iran? E cosa accadrà se una guerra spingerà centinaia di migliaia di rifugiati o migranti che dir si voglia verso le nostre coste? Qual è il ruolo che l’Italia si sta ritagliano in Libia, mentre la Turchia prova a riprendersi quello spazio geopolitico che è stato per secoli appannaggio dell’Impero Ottomano? Come reagire agli assalti di alcuni paesi, della Francia in primis, a quelle che sono tradizionalmente zone di influenza italiana? Come tutelare i contingenti militari italiani in giro per il mondo? Forse il dibattito politico interno sarà ancora avviluppato sulla legge elettorale, su deputati e senatori che lasciano o vengono espulsi dai propri partiti per ragioni politiche o per qualche spicciolo da devolvere a non si sa bene chi o che cosa, mentre l’Italia rischia di vedere messi in gioco i propri interessi geopolitici (senza dimenticare contratti miliardari di gas e petrolio, e non solo).

Ministri e parlamentari potrebbero sfogliare uno di quegli atlanti storici che qualche vecchio professore universitario o qualche giovane ricercatore ancora suggerisce ai propri studenti; intendiamoci, niente tablet e piattaforme Internet, basterebbe un semplice atlante geopolitico di carta che si trova in quelle stanze piene di libri chiamate biblioteche.

Oppure, per affrontare la complessità dello scenario internazionale, potremmo semplicemente ricordare le parole di Pio XII che, il 24 agosto del 1939, tentando di evitare il secondo conflitto mondiale, facendo appello ai leader di allora, disse alla radio: «Nulla è perduto con la pace; tutto può esserlo con la guerra».

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