Trump e la religione

Uno sguardo alla grande attenzione che l’attuale presidente statunitense, Donald Trump, mostra verso il fattore religioso come attrazione di consensi elettorali
Donald Trump con il pastore evangelicale Andrew Brunson alla Casa Bianca (AP Photo/Jacquelyn Martin)

In questi giorni gli osservatori internazionali stanno seguendo con estrema attenzione la Convention Repubblicana, begli Usa, come, pochi giorni fa, avevano seguito quella democratica. Si studiano la scelta dei relatori e le loro parole, si cerca di capire quali sentimenti suscitano o potrebbero suscitare nell’elettorato, quale tipo di elettori possono aver convinto, entusiasmato o deluso. Il tutto è virtuale, ma all’epoca del Covid e nella stagione della globalizzazione è difficile stabilire dove finisca il reale e cominci il virtuale. Comunque, in questo momento, la cosa che importa ai più è capire la flessione o la salita nell’indice di gradimento dei due candidati. Le ricerche e le proiezioni sono costantemente aggiornate e confrontate.

Nel contesto delle due convention aspetto chiave è la questione “religiosa”, che si gioca su diversi fronti. Biden, per esempio, potrebbe essere, se verrà eletto, il secondo presidente cattolico, e la sua vice, l’afro-americana di origini indiane e giamaicane, Kamala Harris, porterebbe altre sensibilità e culture religiose alla Casa Bianca.

Da parte di Trump, come già successo, in occasione della cerimonia di insediamento, è stato il cardinal Dolan, arcivescovo di New York, a recitare la preghiera che ha aperto la convention repubblicana. Mentre sul fronte democratico, sono stati, da parte cattolica, un sacerdote ed una suora. Segnali importanti per una chiave di lettura dal punto di vista del ruolo che la religione gioca nelle elezioni ritenute come le più importanti nel mondo. Alcuni anni fa alcuni giornalisti avevano puntualizzato come la parola ‘Dio’ fosse stata una di quelle menzionate più frequentemente da Bush Jr., durante la Convention che lo incoronò candidato repubblicano, spianandogli la strada per la Casa Bianca.

Nel turbine dell’attuale campagna elettorale, l’aspetto della religione sarà nuovamente un elemento importante. Ci si chiede già come reagiranno i cattolici alla scelta di Biden a favore di una potenziale vice-presidente come la Harris che porterebbe alla Casa Bianca una presenza femminile, afro-americana con origini indiane, ma anche una posizione a favore dell’aborto e delle coppie gay.

Un interessante articolo apparso su una rivista cattolica (America, the Jesuit Review) ha proposto un’analisi del ruolo che la religione ha avuto nella gestione Trump dal 2016 ad oggi. Trump, infatti, ha messo in chiaro che la religione avrebbe avuto un ruolo importante fin dalla cerimonia di insediamento nel gennaio 2017, quando a pregare per la sua presidenza, oltre al cardinale cattolico, furono un rabbino, un imam e rappresentanti di chiese protestanti ed evangelicali. Non si trattava che dell’inizio.

Il presidente, infatti, in questi anni ha radunato regolarmente il suo circolo formato da una ventina di pastori evangelicali che fungevano da consiglieri, ma anche da persone che potevano pregare con il presidente. In effetti, il magnate, nelle elezioni del 2016, è riuscito ad accaparrarsi il voto dell’80% degli evangelicali bianchi, a favore dei quali era disegnata l’intera campagna elettorale. Ma è importante anche rileggere atti politici e amministrativi dell’amministrazione Trump che hanno avuto un senso importante dal punto di vista religioso.

Per esempio, nel giro di poche settimane dal suo arrivo alla casa Bianca, il neo-Presidente è riuscito a far passare un nuovo ordine esecutivo –  Protecting the Nation from Foreign Terrorist Entry into the United States – con il quale impediva l’entrata negli Usa a persone provenienti da alcuni Paesi a maggioranza islamica. La decisione aveva provocato una reazione forte con denuncie e manifestazioni, ma nulla è cambiato. Anche il mondo ebraico è stato al centro della sua attenzione e nel febbraio del 2017, dopo pressioni di diverso tipo, ha finalmente condannato le nuove ondate di antisemitismo. Nel 2018, poi, la sua amministrazione ha annunciato che gli USA avrebbero riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele, trasferendo la propria ambasciata da Tel Aviv. La nuova ambasciata fu benedetta da due pastori evangelicali conservatori.

Trump e la sua amministrazione hanno anche appoggiato il governo Modi in India, longa manus del fondamentalismo indù. Nel settembre del 2019, in occasione della visita del primo ministro indiano negli Usa, poche settimane dopo la controversa mossa anti-Kashmir che aveva di fatto colpito la comunità musulmana in India, Trump si è unito a Modi per salutare circa cinquanta mila indiani americani radunatisi a Houston per un convegno con il primo ministro della più grande democrazia del mondo. Pochi mesi più tardi, ha restituito la visita e non ha perso l’opportunità di apprezzare la controversa personalità indiana per la sua politica in difesa dei diritti delle minoranza. Una vera offesa per musulmani ed altre minoranza della penisola indiana.

L’attenzione per il mondo evangelicale conservatore si è rivelato ancora una volta in occasione della liberazione da parte del governo turco del pastore e missionario americano, Andrew Brunson, che, poche settimane dopo il ritorno negli Usa, è stato invitato alla Casa Bianca. In quell’occasione Trump ha permesso al pastore che pregasse per lui, imponendogli le mani, secondo la più classica preghiera degli evangelicali. Il tutto si è svolto nell’Oval, il centro decisionale ed il cuore della presidenza Usa. E non è tutto. Nel novembre dello scorso anno, infatti, Trumph ha nominato la pastoressa della Florida, Paula White, a dirigere White House Faith & Opportunity Initiative’, un gruppo che permette a questa leader evangelicale di avere libero accesso alla Casa Bianca per discutere questioni di religione negli Stati Uniti d’America. Si tratta di una ulteriore evidenza dell’influenza che il mondo dei conservatori evangelicali radicali ha avuto ed ancora ha sull’attuale presidente Usa.

E la lista potrebbe continuare. Comunque, il gesto “religioso” più plateale del governo Trump è stato quello di farsi fotografare, in piena rivolta antirazzista, davanti alla St. John’s Episcopal Church, che dista poche centinaia di metri dalla Casa Bianca, con una Bibbia in mano. È stata l’immagine del vero “prescelto” il chosen one, come Trump ha cercato di apparire in questi anni: colui che è chiamato a combattere il “male” affinchè il bene vinca.  La foto e l’iniziativa di Trump hanno attirato le critiche di molti anche in campo pentecostale ed evangelicale, ma hanno rafforzato l’immagine del difensore dall’impero del male del presidente eletto per aiutare gli States a trovare o ritrovare il posto che Dio ha assegnato loro nella storia.

 

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