Il presidente Usa, Donald Trump, l’aveva sbandierato alla stampa mesi fa: a settembre, lui e il suo segretario alla salute (l’equivalente del nostro ministro) Robert Kennedy avrebbero fatto un annuncio “straordinario” riguardo all’autismo in una conferenza stampa ad hoc.
La cosa aveva lasciato parecchio perplesso il mondo medico, americano e non solo, per diverse ragioni. La prima era l’irritualità dell’annuncio: una ricerca scientifica, per quanto straordinaria sia, deve passare dalla revisione paritaria e dalla conseguente pubblicazione su una rivista scientifica o agli atti di un congresso. Al più si organizza una conferenza stampa per illustrarla una volta pubblicata qualora i risultati siano particolarmente rilevanti, ma non viene pubblicizzata mesi prima come fosse un prodotto da lanciare sul mercato.
Il dubbio che ci fossero motivazioni politiche era, quindi, particolarmente elevato: tanto più che Kennedy (nipote del più noto ex presidente) è noto per essere letteralmente ossessionato – o almeno così lo definiscono molti commentatori – dall’autismo, in passato l’ha più volte collegato ai vaccini o a inquinanti ambientali usando a supporto delle sue tesi ricerche ampiamente smentite, o addirittura nulla.
Non solo: l’accoppiata Trump-Kennedy è nota oltreoceano non solo per la diffusione di notizie false in tema di salute, ma anche per aver finanziato studi sulle cause dell’autismo che indagano piste già ampiamente smentite (come appunto i vaccini), senza che siano emersi nuovi elementi che facciano mettere in dubbio le ricerche precedenti; mentre sono state definanziate ricerche promettenti su altre patologie come il cancro (che a differenza dell’autismo miete vittime ogni giorno, verrebbe da dire).
Il tutto, fanno notare sempre medici, psicologi e associazioni di famiglie, senza far sentire chi ha figli con autismo più sostenuti, ma viceversa colpiti da una retorica allarmista che ha il risultato di stigmatizzare le persone che ne sono affette e dipingerle come disabili mentali senza possibilità di riscatto. Anche l’aumento dei casi, dovuto ad una maggiore capacità diagnostica che dovrebbe aiutare le famiglie e i bambini, viene additato viceversa come prova di una “epidemia”.
Mentre è quindi ampiamente accettato dal mondo medico che i disturbi dello spettro autistico siano qualcosa di estremamente vario e multifattoriale, in cui sono coinvolti primariamente fattori genetici e in secondo luogo ambientali – entrambi ancora non del tutto chiariti, ma è lì che deve eventualmente concentrarsi la ricerca –, Trump e Kennedy avevano già preparato il terreno ad un annuncio che appariva agli addetti ai lavori come volto a “trovare un colpevole” pur sostenere le proprie tesi, non a portare un tassello in più alle conoscenze scientifiche in questo campo.
Il dubbio era che i colpevoli potessero essere, di nuovo, i vaccini; in un Paese in cui non solo le coperture vaccinali sono in calo (continuano ad essere segnalati focolai di morbillo, con una vittima recentemente in California), ma diverse iniziative delle autorità sanitarie sono dirette a farle calare ulteriormente. La Florida ha ad esempio annunciato che intende togliere il requisito delle vaccinazioni per l’iscrizione a scuola, ed è stato eliminato il vaccino Covid tra quelli consigliati (eccetto per gli anziani e i fragili) con il rischio che le assicurazioni non li coprano più.
In realtà, questo rischio non si è concretizzato: tutte le maggiori compagnie assicurative hanno infatti annunciato che continueranno a fornire copertura finanziaria per le vaccinazioni – a riprova, dicono i medici, che queste funzionano, consentendo alle assicurazioni di risparmiare sulle ben più costose cure di chi si ammala, e dimostrando che gli effetti avversi che richiedono intervento medico sono così pochi da non essere giudicati impattanti.
Sia come sia, la pandemia ci ha insegnato che l’emergere di un virus in una parte del mondo non è affare solo di quel Paese, ma di tutti; e quindi i focolai di malattie prevenibili negli Usa, da cui vanno e vengono ogni giorno numerosi voli per il resto del mondo, non è cosa che possa essere ignorata.
Premessa lunghissima, ma necessaria a capire in quale contesto di grande tensione si sia collocata la conferenza stampa tanto attesa, che alla fine si è tenuta nel pomeriggio (tarda sera in Italia) di lunedì 22 settembre. Come anticipato dalla stampa, il “colpevole” dell’autismo secondo lo studio citato da Trump e Kennedy sarebbe un comune farmaco da banco, il Tylenol (paracetamolo, come la Tachipirina nostrana), tra quelli (pochi) che è possibile utilizzare anche in gravidanza.
La levata di scudi contro tale affermazione era avvenuta già qualche giorno prima, quando appunto il Washington Post aveva per primo pubblicato l’indiscrezione: la ricerca in questione già da tempo era stata considerata come non affidabile in quanto non teneva conto dei fattori confondenti (ossia di tutti quegli elementi che possono andare a falsare il risultato finale), e una ricerca successiva che invece lo aveva fatto, e su un numero molto maggiore di casi (2,5 milioni) aveva smentito questa correlazione.
Trump e Kennedy hanno invece proposto un altro farmaco, il Leucovorin (acido folico), per curare l’autismo. Anche questa presa di posizione è stata messa in discussione dalla comunità scientifica: non solo perché non è corretto affermare che l’autismo va “curato” (i disturbi dello spettro autistico sono tecnicamente non una patologia, ossia una malattia che va curata, ma una neurodivergenza, ossia – semplificando al massimo – una maniera diversa che il cervello ha di funzionare); ma anche perché le poche ricerche condotte finora, per quanto promettenti, non sono tali da poter affermare con certezza che l’uso di acido folico sia efficace nel gestire questi disturbi.
Uno sferzante editoriale del Washington Post, dal titolo «Spacciare una scienza scadente sull’autismo non aiuta nessuno e insulta le mamme», parla di un approccio «farsesco» alla questione, di un «monologo contorto infarcito di falsità» (ha parlato il presidente, ndr), e di una conferenza stampa che «ha messo in chiaro che l’amministrazione intende andare avanti con le sue delusioni antivacciniste».
Già, perché buona parte del monologo di Trump è stato incentrato su alcune affermazioni che hanno lasciato presenti e ascoltatori a bocca aperta: come quella secondo cui, alla prima dose di vaccino, verrebbero iniettati «circa 80 vaccini»; o quella secondo cui mescolare vaccini diversi (riferendosi al vaccino per morbillo, parotite e rosolia) sarebbe nocivo; o quella secondo cui l’epatite B è trasmessa solo sessualmente, e quindi non c’è ragione di vaccinare i bambini prima che siano adolescenti; o quella che nei vaccini è presente mercurio.
Posto che la prima di queste affermazioni si smentisce da sé, anche le altre lo sono state ampiamente: dei vaccini polivalenti è stata indagata e confermata la sicurezza a più riprese, consentendo di ridurre il disagio e i rischi di iniezioni ripetute; l’epatite B non si trasmette solo per via sessuale, e infatti da quando si è iniziato a somministrare il vaccino alla nascita negli Usa i casi si sono ridotti tra i bambini di oltre il 90%; e nei vaccini non c’è mercurio – fino al 2000 si usava il Thimerosal come conservante, ma si tratta di sodio-etilmercurio-tioslicilato, che a differenza del mercurio può essere metabolizzato dall’organismo senza accumularsi: l’eliminazione è stata quindi solo precauzionale, nonostante gli studi ne abbiano evidenziato la sicurezza a quelle dosi.
Un altro capitolo di quella che la celebre rivista Time, in una sua copertina, ha definito «la fine della scienza americana»? Realisticamente parlando, difficile che basti una conferenza stampa ad arrivare a tanto. Ma la tendenza dei ricercatori a cercare lidi migliori, e il sistematico piegare le istituzioni sanitarie e la ricerca alla politica sono un fatto da guardare con estrema attenzione. Anche dall’Italia.