Trovati sul Monte Bianco reperti dell’aereo in cui morì Homi Jehangir Bhabha

Ritrovati, sul Monte Bianco, alcuni giornali indiani del 1966. Tra i ghiacci sono sepolti molti resti di aerei che si sono schiantati al suolo. Forse, potrebbero far luce su alcuni misteri, come viene ritenuta, ad esempio, la morte di Homi Jehangir Bhabha, il cosiddetto "padre" del progetto per la bomba atomica indiana.
Monte Bianco

In questi giorni, su alcuni quotidiani è apparsa la notizia del ritrovamento sul ghiacciaio del Monte Bianco di alcuni giornali indiani del 20 e 21 gennaio 1966. Sono pagine di storia. Infatti, quelle testate riportano a titoli cubitali la notizia dell’elezione di Indira Gandhi a Primo Ministro dell’India – ovviamente prima donna -, ma anche figlia di Jawaharlal Nehru che aveva governato il Paese dall’indipendenza fino a pochi anni prima.

Quella carta stampata congelata e, quindi, ancora in ottime condizioni è riemersa dai ghiacci del massiccio del Bianco a 54 anni di distanza da un disastro aereo che aveva fatto scalpore. Il Boeing 707 dell’Air India, compagnia di bandiera del Paese asiatico, era in volo da Bombay (il nome della metropoli non era ancora stato cambiato in Mumbai) a Londra. Dopo aver fatto scalo a Beirut stava scendendo su Ginevra, ultima tappa previsto prima della destinazione finale. Come non di rado accade nelle tragedie aeree, la commissione d’inchiesta, due anni più tardi, pubblicò una relazione dove si addebitava il disastro ad errore umano in condizioni atmosferiche avverse. Ma sono rimasti sempre molti dubbi che il tempo non ha contribuito a dissipare.

Sul volo dell’Air India, infatti, fra i 106 passeggeri a bordo – oltre agli 11 uomini e donne dell’equipaggio – c’era anche Tra, fisico nucleare di fama internazionale, fondatore e direttore del Tata Insitute of Fundamental Research (TIFR), conosciuto come ‘padre del progetto atomico’ in India.

Infatti, Bhabha aveva fondato anche, a Trombay, a nord di Bombay, l’Atomic Energy Establishment, Trombay (AEET) che venne, poi, intitolato proprio a lui come Bhabha Atomic Research Centre. Il fisico era membro di una delle famiglia più in vista di Bombay e imparentato con un altro gruppo familiare molto noto, i Tata.

Entrambe le famiglie sono parsi, una comunità religiosa iraniana, nota come zoroastriani, da secoli stabilitasi in India, di cui fanno parte alcuni dei nuclei industriali ancora oggi più intraprendenti e di successo del Paese. Non poche illazioni sono state fatte riguardo al potenziale legame fra il disastro aereo e la presenza a bordo di una personalità di questo tipo.

Bhabha, infatti, era riuscito ad avviare un progetto atomico in un Paese ancora caratterizzato da grande povertà e con immense problematicità, a soli due decenni di distanza dall’indipendenza dall’Inghilterra. Era, senza dubbio, un personaggio dalle grande capacità imprenditoriali oltre che tecniche e con una visione lungimirante. I centri da lui fondati sono ancora oggi punti di eccellenza in grado di competere con chiunque a livello mondiale. Un personaggio di questo tipo era, ovviamente, scomodo in un mondo bi-polare, come quello degli anni Sessanta del secolo scorso. Qualche tempo prima aveva annunciato pubblicamente che nel giro di poco tempo il suo Paese sarebbe stato in grado di produrre l’atomica. La notizia aveva fatto scalpore e, senza dubbio, non aveva lasciato indifferenti altri leaders mondiali.

In quegli anni, il Paese asiatico, insieme a Egitto, Indonesia e Jugoslavia era uno dei leaders riconosciuti dei cosiddetti Paesi non-allineati, ma di fatto ruotava all’interno dell’orbita dell’Unione Sovietica. Solo pochi anni più tardi, nel 1974, l’India annunciò, infatti, il suo primo esperimento nucleare riuscito. Il nome del progetto sembrava una contraddizione in termini: smiling Buddha, il Buddha sorridente.

Il ritrovamento di quei giornali con la notizia di Indira Gandhi appena eletta nuovo leader di uno dei Paesi più grandi del mondo, riporta, dunque, alla memoria quella storia mai completamente chiusa. Da anni, di tanto in tanto, il ritirarsi dei ghiacciai sembra voler rivelare ancora pezzi di segreti nascosti e di un mistero mai svelato completamente. Nel 2013, infatti, furono ritrovate delle pietre preziose valutate intorno ai 250 mila euro. E la notizia fece non poco scalpore. Questa volta, ad emergere dall’ibernazione sono stati questi giornali, trovati da Timothée Mottin, gestore della Cabane du Cerro, chalet sopra Chamonix, a tre quarti d’ora di marcia dal ghiacciaio des Bossons. Non sembra che l’uomo sia rimasto sorpreso. Ha, infatti, dichiarato ai media: «Non è stata una sorpresa, il ghiacciaio si ritira e restituisce resti dell’aereo, con l’esperienza sai dove li puoi trovare, in estate, quando le condizioni sono favorevoli».

Fra l’altro, nella stessa zona nel 1950 era caduto un altro aereo della stessa compagnia. In questi anni è stato difficile stabilire a chi appartenessero gli oggetti o i resti umani ritrovati. Ma questa volta non ci sono dubbi: i giornali sono testimoni del disastro di quel volo dove l’aereo coinvolto aveva un nome che pareva un destino: Kanchunjanga. Si tratta della seconda vetta dell’Himalaya, dopo l’Everest, e della terza del mondo, dopo il K2 che si trova, però, nel massiccio del Karakorum. Dal tetto del mondo al tetto di Europa, un mistero che chissà se nei prossimi anni il ghiaccio che si scioglie vorrà aiutarci a risolvere.

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