Troppi migranti: asse Meloni-Sanchez

Le storie dei migranti in fuga da guerre e fame, raccontate dal Dossier Immigrazione, redatto dalla Caritas diocesana. Nel colloquio tra Giorgia Meloni e il premier spagnolo Sanchez ribadito il ruolo che dovrebbe svolgere l’Europa
migranti (AP Photo/Francisco Seco, File)

I giorni freddi, il vento e la pioggia hanno fermato, almeno per ora, le partenze dei migranti dai paesi del Nord Africa. Ma migliaia di persone sono ammassate sulle rive settentrionali del Maghreb e sono pronte a rischiare l’impossibile per tentare la traversata verso l’Italia.

Le ultime tragedie, le centinaia di vittime di questi ultimi mesi, non hanno fermato coloro che, carichi di disperazione, tentano la traversata pur sapendo di rischiare la vita.

Il governo di centrodestra ha tentato in tutti i modi di rendere più difficoltosa l’azione delle navi di salvataggio delle Ong, costrette a recarsi verso porti lontani per fare sbarcare i migranti.

«Sappiamo di rischiare la vita ma è sempre meglio della guerra» sono le parole di Omar, giovane ventiduenne, raccolta nei giorni scorsi dal quotidiano Avvenire. Nonostante una traversata da incubo che sta per trasformarsi in tragedia Omar non ha dubbi. Scappare dalla guerra è una necessità, non si può restare aspettando di morire: «Lo dovevo fare e altri lo faranno ancora».

Nelle parole di un giovane la testimonianza di chi ha visto la morte in faccia. Serve questo punto di vista per capire il perché di queste traversate.

Nei giorni scorsi a Ragusa è stato presentato il Dossier Immigrazione, redatto dalla Caritas diocesana. Il titolo è “Costruire il futuro con i migranti”. I dati raccolti e presentati da Vincenzo La Monica raccontano la realtà dell’immigrazione in provincia di Ragusa. Tra i dati, spicca la testimonianza di Jallow Cherno Momodou, giovane gambiano che è arrivato on i barconi e ha scelto di restare a Ragusa. «Perché qui sto bene» ha raccontato. Oggi ha un lavoro, una casa, sogna di trovare una moglie, ma gli manca il rapporto, il contatto umano con la sua famiglia in Africa che non vede da tanto tempo.

Jallow ha anche raccontato la sua storia: la fuga dal suo paese, più di un anno nei campi in Libia a soffrire il freddo e la fame e poi l’arrivo a Pozzallo, rischiando di morire. E spiega come l’organizzazione sia perfetta, ma soprattutto protetta. Nessuno di coloro che organizzano le tratte rischia in prima persona. Nessuno sale su quelle barche rischiando i marosi e i possibili arresti.

«A volte arrestano gli scafisti – spiega Jallow –, ma non ci sono scafisti che fanno parte dell’organizzazione. Quelli stanno altrove. Chi si mette alla guida di una barca lo fa perché costretto, o per una necessità o perché non ha i soldi per pagare, a volte vengono costretti a farlo. Ma chi in Italia finisce in carcere non è il vero responsabile».

Punti di vista. Racconti di vita che emergono tra le pieghe di una cronaca quotidiana che continua a riferire di naufragi e di morti, ma anche di trasbordi difficili e complicati, di nuove norme nazionali che rendono più difficili i salvataggi in mare.

È stato concluso in questi giorni il soccorso del barcone alla deriva nel Mediterraneo. Ancora una volta Malta non è intervenuta (anche se il barcone su cui viaggiavano i migranti era nella sua zona di competenza Sar) e 440 persone sono state tratte in salvo dalla Geo Barents. Il Viminale ha assegnato Brindisi come porto di sbarco e la nave Ong ha già cominciato a risalire lo Jonio verso la destinazione pugliese. A bordo di sono 339 persone: cento sono stati trasferiti su un altro natante, uno è stato sbarcato per motivi sanitari.

Ma è sul piano politico che si registrano le maggiori novità. Ma l’unica novità è che il cosiddetto “Decreto Cutro” fatica ad essere esitato. Sul tappeto il possibile ruolo di coordinamento affidato alla Marina militare (e quindi al Ministero della Difesa retto da Guido Crosetto) che sottrarrebbe spazi di autonomia e di decisione al ministero dell’Interno e soprattutto all’asse Salvini – Piantedosi.

Sul tappeto ci sono diversi nodi, difficili da sciogliere. I rapporti con i paesi del Nord Africa e con la Libia definita criminale, l’impossibilità di fermare i migranti alla partenza (cosa che tutti auspicano ma che per ora è una montagna insormontabile), gli accordi per i rimpatri e la necessità di aumentare le espulsioni, tramite l’aumento dei “Centri per il rimpatrio” (si vorrebbe aprirne uno ogni regione). E poi i rapporti internazionali, affidati al fine tessitore del governo Antonio Tajani.

E il tema dei migranti è stato anche al centro dei colloqui tra Giorgia Meloni e il premier spagnolo Pedro Sanchez. Entrambi hanno ribadito che i migranti sono un problema europeo, che richiede una risposta dell’Unione Europea. Un’asse che potrebbe tornare utile alla premier italiana che sul tema dei migranti vorrebbe una stretta, evitando però le derive del passato o gli incidenti come Cutro.

Intanto si registra anche un intervento del presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, intervistato a “Radio anch’io”.  Schifani ha detto che è necessario aiutare la Tunisia, anche tramite il Fondo monetario internazionale e che le migrazioni vanno bloccate sul nascere.

I dati diffusi dal Viminale parlano di centinaia di migliaia di persone pronti a sfidare il mare, anche perché la crisi economica in Tunisia sta creando nuove ondate di razzismo verso chi proviene da altri paesi. L’estate che si avvicina potrebbe essere davvero calda su questo fronte.

Anche Schifani parla di blocco alle partenze, ma da sempre questo enunciato di tanti rimane nel campo delle intenzioni e degli auspici. Non si sa bene quali possano essere i contenuti e i metodi attuativi per agire in paese straniero, ma la frase viene ripetuta più volta, da più parti. Senza molti risvolti pratici.

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