Trivelle in Adriatico, uno stop… forse

A inizio luglio il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, aveva rassicurato verbalmente sul fatto che non si sarebbe proceduto con la ripresa dell’estrazione di gas sulle coste del Polesine. I comitati che si oppongono, però, ritengono che questo passo indietro non possa dirsi definitivo
Luca Zaia

Una situazione di stallo, rispetto alla quale però «non si può davvero stare tranquilli»: così Lorenzo Franzoso, uno dei componenti dei comitati del Basso Polesine, definisce ciò che sta accadendo a proposito della possibile ripresa delle trivellazioni per l’estrazione di gas in questa zona della costa adriatica – autorizzata dal governo Meloni lo scorso autunno.

A inizio luglio, infatti il presidente della Regione Veneto Luca Zaia si è espresso definendo «quantomai inutile» la ripresa delle perforazioni alla luce della discesa del prezzo del gas e della fine dell’emergenza approvvigionamenti; dicendosi inoltre certo che anche per il governo tale ripresa non sia più una priorità.

Un no definitivo quindi? Non esattamente, nel senso che da Roma non sono, almeno per ora, arrivati passi indietro formali in questo senso: «Stiamo ancora attendendo una conferma che l’ipotesi sia stata effettivamente accantonata – osserva Franzoso –, per cui dobbiamo mantenere alta l’attenzione. Tanto è vero che intendiamo anche organizzare per settembre una nuova manifestazione, dopo quella di Adria lo scorso maggio, nella zona di Porto Tolle».

La questione è quella che ormai dagli anni Sessanta si ripropone in Polesine: ossia il problema della subsidenza, l’abbassamento del terreno costiero, che queste estrazioni provocano; con conseguente rischio inondazioni, risalita del cuneo salino e danni all’ecosistema. «Basti dire che già adesso in alcuni punti l’alveo del Po è più alto del piano campagna – osserva Franzoso –, e anche là dove io abito siamo tre metri sotto al livello del mare: è evidente che il rischio di andare tutti sott’acqua è concreto. Proseguire con l’estrazione di gas richiederebbe di alzare ulteriormente gli argini dei fiumi e di realizzare interventi anche verso il mare, ma ad ora nulla è stato fatto». Non stiamo parlando solo di pozzi in mare, ma anche sulla costa: con effetti comunque analoghi, dato che una volta che il gas viene estratto il fatto di pompare acqua dal mare per riempire gli spazi lasciati vuoti non pare essere sufficiente ad evitare che il terreno si abbassi.

Come già accennato su Città Nuova, la scorsa primavera si erano mosse anche le diocesi della zona (Adria-Rovigo, Chioggia e Ferrara-Comacchio) per dare voce alle perplessità della popolazione: «E devo dire che l’intervento dei vescovi è stato molto importante – sottolinea Franzoso – perché purtroppo tutti coloro che non sono toccati direttamente dal problema, anche qui in Polesine, sembrano essere addormentati”. Alla manifestazione di maggio eravamo solo trecento, ma avremmo potuto essere molti di più».

Non ci sono al momento notizie nemmeno sul ricorso presentato da Greenpeace alla Corte europea di giustizia contro le trivellazioni in Adriatico.

Comprensibile dunque che chi teme la ripresa delle trivellazioni non possa considerare le rassicurazioni verbali di Zaia una pietra tombale sulla questione, e che si punti il dito contro le possibili pressioni di chi da questa attività avrebbe da guadagnarci: «Quello al largo del Polesine è poco gas, parliamo di circa l’1% del fabbisogno nazionale, e quindi non determinante per l’approvvigionamento energetico – conclude Franzoso –; però è facilmente immaginabile come costituisca comunque motivo di grande attenzione da parte delle aziende del settore. Ci sono notevoli interessi economici e politici che continuano a spingere per la ripartenza dell’estrazione».

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