Il trionfo di Genova barocca

A Roma alle Scuderie del Quirinale in 120 opere si racconta lo splendore della repubblica “superba”
Alessandro Magnasco - Web Gallery of Art: Immagine Info about artwork, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=8539096

Apre Rubens, immaginifico, sgargiante colorista con la Visione di sant’Ignazio di Loyola. Esuberante, sfarzoso, vitale. È una ouverture grandiosa che annuncia una galleria di dipinti, sculture, oreficerie che la Repubblica genovese ci offre nel suo secolo di splendore, il Seicento.

La “città regale, superba per uomini e mura”, come l’ha definita Francesco Petrarca, è giunta alla conquista di Roma con le tele monumentali, gli argenti scolpiti, i ritratti di dogi e di nobili che ci guardano dall’alto in basso nei loro costumi fastosi. Sarà il fiammingo van Dyck, amico e successore di Rubens a Genova, a ritrarre alcuni di questi personaggi potenti.

Alta e riparata dal sole dall’ombrello che le porge uno schiavo nero, Elena Grimaldi Cattaneo è una presenza signorile imponente e sottile che dal 1622 ci osserva dalla terrazza durante una passeggiata nella sua villa tra le colline. Il contrasto tra  il rosso squillante del parasole – una specie di aureola laica – e l’abito nero, fra il viso di porcellana e i capelli biondi ne fanno una  icona indimenticabile di fasto e semplicità insieme.

Oppure, ecco Paola Adorno Brignole-Sale che nel 1627 si mette anch’essa in posa sulla loggia, nello sfondo di un drappo che  fa da quinta teatrale. Osserva e vuole essere osservata, racchiusa nell’enorme gorgiera spagnola, nell’abito dalla lunga coda. Immagine di una signorilità altera, ma pure intima, perchè van Dyck non è solo un gran colorista, ma un pittore che spia l’interiorità delle persone, la trasmette e nello stesso tempo la cela, prudentemente. La nobiltà genovese ama mettersi in luce ma non essere troppo indagata: la riservatezza è d’obbligo.

Ed ecco ancora Rubens che anni prima, nel 1606, aveva dipinto Giovan Carlo Doria a cavallo come reduce da una battaglia tempestosa.  Più che il volto mite e intelligente dell’uomo, gran mecenate, Rubens si era soffermato sull’occhio impazzito del cavallo e   sul cagnolino: furia e festa insieme. Barocco, ossia teatro. E che teatro.

Genova accoglie artisti da ogni dove, rifulge in ogni genere, dal ricamo all’argenteria che poi espone durante i fastosi  pranzi e cene nobiliari, è ricca e lo fa vedere. Tra gli artisti c’è pure Bernardo Strozzi, un pittore attento alla quotidianità: non solo dipinti di santi estatici, di trionfi mariani o di ostentata dignità nobiliare, con certi vecchi dalle facce dure che mettono soggezione anche dopo secoli.

Una tela come La cuoca (1625) è un ritratto vivido di una donna in cucina tra la pentola sul fuoco, il pollame e un vaso raffinato: quotidianità ed anche segno di ricchezza, siamo sempre nella cucina di un nobile!. Bernardo Strozzi, genovese, è un gran pittore; emigrerà poi nella “rivale” Venezia.

Fra i numerosi artisti, ve n’è uno davvero grande e ancora troppo poco valorizzato, Alessandro Magnasco. Pittore di “fraterie”,di cappuccini stralunati a pranzo o attorno al fuoco, di visioni spettrali e di torture in carcere, vibra nella rassegna con un capolavoro: il  Trattenimento in un giardino di Albaro (1740 circa).

È una veduta del porto di Genova, di colli abitai e lussureggianti, dei nobili a prendere il fresco e a conversare. Una foto aere, dipinta a guizzi colorati, fantasmagorici, un puntiglioso fibrillare di vita, con una certa qual sotterranea inquietudine. Stanno per finire i 150 anni gloriosi del barocco “superbo”. Magnasco lo sente, lo prevede?. Chissà. Ma quanta vita ancora in quel giardino.

Superbarocco. Arte a Genova da Rubens a Magnasco. Roma, Scuderie del Quirinale, fino al 3/7 (catalogo Skira)

 

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