Trilussa: la felicità delle piccole cose

La saggezza popolare e la pungente ironia di un poeta dialettale, amato ieri come oggi

Trilussa (anagramma del vero cognome Salustri) è stato, come pochi, un poeta dialettale e universale al tempo stesso. Ammirato per i suoi fulminanti sonetti romaneschi e per quella lingua che, col tempo, si è avvicinata all’italiano conservando soprattutto, del dialetto, la pungente ironia, una pensosa malinconia, la saggezza popolare e concreta.

Trilussa ci ricorda la felicità delle piccole cose, la scandalosa incoerenza di certi potenti e benestanti, le bugie dell’apparenza, l’amore per la pace, la fatica del vivere quotidiano. Senza dimenticare la sua prorompente religiosità, l’aspetto meno scavato della sua immensa produzione poetica. Aspetto che invece colpiva papa Luciani (Giovanni Paolo I), il quale durante un’udienza recitò a memoria una poesia di Trilussa, La fede: una vecchina cieca che ti aiuta a ritrovare la strada quando ti perdi nel bosco.

La poesia di Trilussa, protagonista con D’Annunzio della vita cultural-mondana di Roma, nasce sparsa su giornali e riviste del giovane Regno d’Italia, ispirata a fatti di cronaca e occasioni del momento, ma poi, raffinata, selezionata e pubblicata in volume, acquista una dimensione sovratemporale. Trilussa prende in giro la statistica, che assegna due polli ad ogni cittadino, solo che uno li mangia entrambi mentre l’altro nessuno, e così muore di fame. Anche la guerra si merita le sue frustate poetiche, soprattutto con quella memorabile Ninna nanna che avrebbe ispirato una celebre canzone di Claudio Baglioni.

Con le sue poesie e favole, il “non fascista” Trilussa (così definiva sé stesso durante il regime di Mussolini) graffia la vita per condannare le leggi disumane della violenza e dell’egoismo, e dare voce all’ansia di libertà e giustizia. Ma la sua non è un’ispirazione moralistica, anzi si traduce in immagini vivide, in simboli indimenticabili: la tartaruga che muore con il guscio rovesciato ma per la prima volta può guardare le stelle; la lucciola che ha il coraggio di dire alla Luna, orgogliosa della sua lucentezza, che la luce che emana è piccola sì, ma totalmente sua, non riflessa come quella della Luna stessa; il somarello che sa piangere “de core”, sinceramente, ben lontano da quel «monno letterario / che piagne co’ le lagrime / spremute da un rimario».

La tradizione di famiglia è da tempo nelle mani di un suo pronipote, Luigi Salustri, che vive ad Anzio. Er mare mio è il titolo del suo ultimo libro: un omaggio all’indimenticabile Trilussa.

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