Treviso, ospitalità in proroga

Rinnovata fino al 29 febbraio la convenzione con la Caritas per i 34 migranti africani. Ma «urge dare loro una risposta definitiva», spiega don Davide Zancan
Treviso
La parola magica è una sola: proroga. Pare che per ora non ci sia altro modo di gestire la situazione dei 34 rifugiati ospiti del Centro Caritas di Treviso, di cui avevamo parlato nel reportage del numero 20 della rivista. La convenzione per l’ospitalità, infatti, è scaduta il 31 dicembre scorso; ma di fronte al fatto che la maggior parte di loro non ha ancora ottenuto risposta definitiva alla domanda di protezione internazionale, la prefettura ha chiesto la disponibilità alla Caritas per altri sei mesi. La diocesi, però, non ci sta: «Come Cei del Triveneto – spiega don Davide Zancan, direttore della Caritas di Treviso – abbiamo deciso di dare un segnale forte al governo, accettando di rinnovare la convenzione soltanto fino al 29 febbraio. Vogliamo che venga loro data una risposta giuridica seria: perché a coloro che sono arrivati prima del 5 aprile scorso è stato concesso il permesso umanitario di un anno, peraltro rinnovato, mentre gli altri hanno dovuto fare richiesta di asilo sebbene non rientrassero nei parametri della Convenzione di Ginevra? Perché costringere a chiedere lo status di rifugiato, se poi non si è disposti a riconoscerlo?». Domande che difficilmente avranno una risposta nel giro di due mesi, e alla Caritas ne sono consapevoli: «Chiaro che non li molliamo e che accetteremo la proroga fino a giugno, e anche oltre se necessario – assicura don Davide – però si tratta comunque di un modo per fare pressione».

 

Intanto l’odissea giuridica dei migranti prosegue: 33 di loro hanno ottenuto l’audizione, ma soltanto 14 hanno già avuto una risposta. La metà si è vista negare il permesso di rimanere, ma ha presentato ricorso; degli altri, uno ha ottenuto la protezione internazionale per cinque anni, due la protezione sussidiaria (un permesso temporaneo di tre anni), e quattro il permesso umanitario per un anno. Tutte situazioni “a termine”, nel corso delle quali gli immigrati dovranno trovare un impiego e una casa per vedere il loro permesso umanitario convertito nel canonico permesso di soggiorno per lavoro: per questo la Caritas lavora anche sul fronte dell’orientamento e dell’accompagnamento lavorativo. Per gli altri venti la situazione è ancora sospesa, con il disagio che ne consegue.

 

A proseguire, però, è anche il percorso sia formativo che umano iniziato qui: i laboratori e i corsi di formazione professionale vanno avanti, così come le lezioni di italiano e le esperienze lavorative e di volontariato già avviate. «In questi otto mesi si è creato un rapporto molto significativo con i volontari Caritas – riferisce don Davide –, con ricadute molto positive su tutta la diocesi: hanno portato la loro testimonianza in diverse occasioni, e questo è stato un arricchimento sia per loro che per i trevigiani».

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