A trent’anni dalla distruzione di Babri Masjid

Domenica 6 dicembre 1992, 150 mila indù attaccarono e distrussero in poche ore, a mani nude o quasi, la moschea di Ayodhya (670 Km a sudest di New Dehli), nota come Babri Masjid, costruita nel XVI secolo, al tempo dell’impero Moghul, in un sito ritenuto da molti indù come luogo di nascita del dio Rama
Fondamentalismo Indù
Il Primo Ministro indiano Narendra Modi, a sinistra, e il presidente del Bharatiya Janata Party (BJP) alla sede del partito a Nuova Delhi, dicembre 2022 (Foto LaPresse)

Il 6 dicembre scorso si sono ricordati i trent’anni di uno dei momenti più dolorosi dell’India moderna. Si tratta dell’assalto e della distruzione di Babri Masjid, la moschea di Ayodya che, secondo alcune frange indù, era sorta su un terreno sacro alla loro religione. Si sosteneva, infatti, che il luogo di culto musulmano fosse stato costruito su un tempio – o su un terreno – dedicato a Rama, divinità del pantheon induista. Nel 1992 già da anni il fondamentalismo indù si era concentrato in modo significativo su quella moschea e si sapeva che avrebbe insistito a rivendicare la sacralità indù di quella porzione di terra.

Le autorità non fecero molto per evitare l’assalto e quando cercarono di intervenire furono, di fatto, sopraffatte da una folla di migliaia di indù fanatici. L’episodio, avvenuto lontano dalle grandi città nello stato dell’Uttar Pradesh, scatenò rabbia da entrambe le parti (indù e musulmani). Chi si lamentava e reagiva al sopruso di aver visto un luogo sacro distrutto in nome di un’altra fede e chi, invece, ottenuto il risultato che voleva, si apprestava a ripetere gesti simili.

Nelle grandi metropoli si scatenarono scontri fra le comunità musulmane e indù: ci furono morti, distruzione e le autorità furono costrette a ricorrere al coprifuoco. Giornate tremende. Ricordo che quando scoppiarono gli scontri e la situazione sfuggì di mano dovetti dare rifugio nell’appartamento dove abitavo ad alcuni muratori che stavano facendo dei lavori in casa e che erano atterriti all’idea di uscire la sera. Vissero con me per vari giorni. Da allora l’India è cambiata e lo si vede guardando in retrospettiva. Ci si rende conto come, sia pure in un contesto di innata tolleranza e rispetto reciproco fra comunità sia sociali che religiose, abbia preso a crescere una spinta discriminatoria in nome dell’identità indù, sulla corrente nazionalista e dell’ideologia dell’Hindutva, l’India agli indù, a scapito soprattutto dei musulmani – l’India è il secondo Paese musulmano del mondo – e, anche, dei cristiani.

Ad Ayodya agirono con violenza inaudita circa 150 mila persone che non lasciarono pietra su pietra della pre-esistente moschea. L’area, poi, venne chiusa e iniziò una lunga disputa che è arrivata alla Corte Suprema, che ha offerto una sua sentenza discussa. Dopo una prima assegnazione del luogo sacro alla comunità indù, la Corte ha anche prosciolto i leader del Bjp (Bharatya Janata Party) a cui appartenevano coloro che avevano lanciato l’attacco. Anche se l’organo supremo della giustizia indiana ha offerto ai musulmani di costruire una moschea in un luogo non troppo distante, resta il fatto di una decisione controversa che ha lasciato adito a sviluppi successivi. Infatti, la parabola non si è chiusa: nuove rivendicazioni sono state sollevate su un’altra moschea dell’Uttar Pradesh, a Gyanvapi. Contemporaneamente continua a crescere l’intemperanza religiosa verso le minoranze. «La moschea di Babri fu demolita con crudeltà», afferma un religioso cattolico che lavora con organizzazioni non-governative impegnate socialmente e pastoralmente nella zona di Varanasi, la città santa degli indù, e Lucknow.

«Ricordo alcuni alti dirigenti della nostra nazione presenti in silenzio ad osservare quell’orribile evento – continua il religioso cattolico – nel loro silenzio sostenevano a gran voce quelle folle violente che si arrampicavano in cima ai tre minareti. Le cicatrici non sono state rimarginate fino ad oggi. Dopo 30 anni l’atteggiamento verso le minoranze è solo peggiorato. È un peccato che i gruppi politici e la maggior parte dei media dipingano la comunità musulmana come antinazionale, terrorista e asociale. E sono gli stessi – sottolinea – che prendono di mira la comunità cristiana con l’accusa di conversioni forzate».

Nei giorni del triste anniversario dell’attacco e della deturpazione di un luogo sacro da parte di membri di un’altra religione, sono emersi particolari dolorosi anche riguardo alla situazione dell’anziano gesuita Stan Swamy, che ha speso la sua vita fra popolazioni tribali e di fuori casta e che, per questo, è stato arrestato dal governo, imprigionato e lasciato morire di stenti, vista l’età e la salute malferma. Analisi dettagliate hanno, infatti, rivelato che il computer del religioso era stato hackerato al fine di inserire nel suo hard disk elementi sulla base dei quali potesse essere incriminato di sedizione.

Le minoranze sia musulmane che cristiane vivono nel terrore che i loro luoghi sacri (moschee, chiese, cappelle) vengano piano piano distrutte con processi che stanno rivelando una tecnica ben studiata che coinvolge non solo leaders religiosi, ma soprattutto l’opinione pubblica. Si parte da una iniziale richiesta di restituire il luogo sacro reclamando che sia stato edificato dove, in precedenza, era presente un tempio indù. Si passa, poi, ad un intervento più deciso con la partecipazione della folla. La polizia e le forze dell’ordine rinunciano ad intervenire per connivenze con il potere forte del primo ministro Narendra Modi o lo fanno quando, ormai, è troppo tardi. Molti luoghi sacri nel paese sono ora in pericolo a causa di questa politica legata al fondamentalismo indù. Non esiste, infatti, forza politica capace di contrapporsi in maniera decisa e costruttiva allo strapotere del Bjp, che sempre più ha accresciuto il suo potere non solo politico, ma anche sociale e amministrativo. E presto Narendra Modi prenderà la presidenza del gruppo al G20, accrescendo ulteriormente il suo profilo internazionale. Non sarà, comunque, facile parlare di questo argomento. L’India ha una notevole suscettibilità ad interferenze dall’esterno, e i Paesi occidentali dovranno essere cauti e non scontati nel loro eventuale affrontare questi problemi. Infatti, l’occidente stesso, nel quadro dei processi migratori, non sta offrendo un’alternativa credibile alla complessa situazione indiana.

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