Trattativa Stato-mafia, una ricostruzione /1

L'audizione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, riapre nuovi interrogativi sull'ottobre del 1991 quando Cosa nostra attraverso stragi e attentati cercò di ricattare gli organi di governo attraverso 12 proposte contenute nel cosidetto "papello". Pubblichiamo un primo commento del nostro penalista
Napolitano-Mancino

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è stato ascoltato come testimone nell’ambito del processo sulla presunta “trattativa” tra Stato e Mafia per la quale pende oggi un processo penale a carico di dodici imputati, tra cui, oltre ad esponenti di Cosa Nostra, rappresentati delle istituzioni e vari politici. Questo processo, molto probabilmente, riscriverà la storia italiana di quest’ultimo ventennio

La trattativa fonda le sue origini nell’ottobre del 1991 quando, in alcune riunioni di Cosa Nostra,  presiedute dal boss Totò Riina, si decise di dare inizio ad una serie attentati contro lo Stato italiano, da rivendicarsi con la sigla “Falange Armata”. Fu in una riunione del dicembre 1991 che fu deciso di colpire i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, nonché i politici Salvo Lima, Calogero Mannino, Carlo Martelli ed altri. A gennaio del 1992, infatti, a seguito della conferma, da parte della Cassazione, della sentenza del Maxiprocesso, che condannava all’ergastolo Riina ed altri boss, Cosa Nostra decise di dare attuazione al progetto di sangue: il 12 marzo 1992 l'onorevole Salvo Lima venne ucciso alla vigilia delle elezioni politiche e l'omicidio fu rivendicato con la sigla appunto di “Falange Armata”. Questo episodio segna l’inizio di un lungo periodo di stragi ed attentati sulle quali ancora oggi si sta facendo chiarezza grazie alla testimonianza di tanti collaboratori di giustizia e in particolare di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex-sindaco di Palermo Vito Ciancimino, che ha consegnato ai magistrati il cosiddetto “papello”, un foglio contenente le richieste di Cosa nostra allo Stato, che avrebbero dovuto essere soddisfatte per evitare la prosecuzione delle stragi di mafia.

La volontà di Cosa nostra, infatti, allora comandata dallo stesso Riina, passò attraverso le mani di Vito Ciancimino con dodici richieste, contenute appunto nel papello:

1. Revisione della sentenza del maxi processo di Palermo.

2.Annullamento del decreto legge che inaspriva misure detentive previste dall'articolo 41 bis per i detenuti condannati per reati di mafia;

3. Revisione della associazione di tipo mafioso (reato introdotto con la legge 13 settembre 1982 n. 646, detta "Rognoni-La Torre");

4. Riforma della legge sui pentiti;

5. Riconoscimento dei benefici dissociati per i condannati per mafia (come per le Brigate Rosse);

6. Arresti domiciliari obbligatori dopo i 70 anni di età;

7. Chiusura delle super-carceri;

8. Carcerazione vicino alle case dei familiari;

9. Nessuna censura sulla posta dei familiari;

10. Misure di prevenzione e rapporto con i familiari;

11. Arresto solo in flagranza di reato;

12. Defiscalizzazione della benzina in Sicilia (come per Aosta).

La seconda richiesta riportata dal papello è l’"annullamento del decreto legge 41 bis", che prevede il "carcere duro" per alcune categorie di crimini, tra cui la criminalità organizzata. Proprio questo punto ha fatto sì che l'indagine sulla trattativa Stato-mafia ponesse maggiore attenzione agli episodi che lo riguardano, come il fatto che nel 1993 sono stati lasciati scadere circa trecento provvedimenti di carcere duro e che, contemporaneamente nel giugno 1993 il ministro Conso rimosse Nicolò Amato, contrario alla trattativa, da direttore del DAP, con nomina a vice direttore di Francesco Di Maggio.

La conseguenza fu la revoca dell'isolamento per Totò Riina e il coinvolgimento di persone che avevano cercato di modificare l'articolo 41 bis o che avevano avuto a che fare con lo stesso. Calogero Mannino, indagato per la trattativa, ha ricevuto un avviso di garanzia per le "pressioni" che avrebbe esercitato su "appartenenti alle istituzioni", sulla "tematica del 41 bis", il carcere duro che i capimafia cercavano di far revocare.  E sono stati ascoltati sull'argomento anche Carlo Azeglio Ciampi e Oscar Luigi Scalfaro, al quale è stato chiesto per lettera, la revoca del 41 bis sul carcere duro.

Il procuratore di Palermo Francesco Messineo, interrogato alla Camera il 17 luglio 2012, ha affermato che la trattativa tra lo Stato e la mafia «c'è stata ed è stata reale.  Abbiamo impiantato un procedimento, che è alla fase dell'avviso di conclusioni indagini e che verosimilmente si evolverà più avanti, basato sull'ipotesi che la trattativa ci sia stata e sia stata reale. Non mi sembra di poter assolutamente concordare con quelli che parlano di presunta trattativa, salvo poi il successivo vaglio processuale»

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