Trasparenza sulle bombe all’Arabia Saudita

La vicenda dell’invio di armi pesanti dall’Italia verso la coalizione a guida saudita, impegnata nei bombardamenti sullo Yemen, è ormai sotto inchiesta della magistratura. Iniziamo un confronto con un'intervista al deputato Luca Frusone, gruppo M5S, autore delle istanze che hanno chiamato in causa la responsabilità del governo e la risposta di due ministri  
ansa yemen

Su cittanuova.it abbiamo riportato le risposte dei ministri Pinotti e Gentiloni, titolari di Difesa e Esteri, sull’istanza presentata dal deputato Luca Frusone, componente per il M5S della commissione Difesa della Camera, circa l’invio delle bombe dall’Italia verso l’Arabia saudita, Paese a capo di un colazione impegnata, senza alcuna autorizzazione dell’Onu, in un devastante e poco noto conflitto in Yemen.

 

La storia del giovane onorevole Frusone, poco più che trentenne, narra di un impegno nato sul territorio del frusinate, tra liste locali e attivismo civile, fino ad approdare in Parlamento grazie al successo pentastellato delle ultime elezioni del 2013. Lo abbiamo interpellato per capire come potrà essere ancora trattata una vicenda che è ormai all’attenzione della magistratura per violazione della legge 185/90, su produzione e commercio di armi, dopo l’apertura delle inchieste giudiziarie non solo da parte della procura di Brescia ma anche di Cagliari.

 

Davanti alle risposte dei due ministri che negano violazione della legge per l’invio di bombe in Arabia Saudita, cosa si può fare ancora a livello parlamentare? Esiste una rete di senatori e deputati pronti ad esporsi a prescindere dall’appartenenza tra maggioranza e minoranza?

 

«I ministri hanno mentito perché è palese la violazione della legge 185/90 che non vede come unico impedimento al commercio di armi l’embargo ed essendo stata violata una legge ci rivolgeremo all’autorità giudiziaria.

Una rete di parlamentari esiste e già qualche volta è servita per mettere insieme delle battaglie comuni come gli F35 ma ha subito anche delle defezioni di fronte ai richiami dei capigruppo su singoli temi quindi spesso i buoni propositi dei singoli vengono sacrificati per l’unità di partito».

 

Oltre la questione specifica ed eclatante delle bombe alla coalizione saudita, esiste una proposta del M5S sulla politica industriale di Finmeccanica?

 

«Una proposta definitiva ancora no. Abbiamo già affrontato diversi aspetti della politica industriale e dei singoli programmi. Stiamo utilizzando il tempo che ci divide dalle prossime elezioni proprio per rendere completa questa proposta e soprattutto realizzabile».

 

Per superare la solita accusa di essere velleitari e utopici, avete una proposta circa il comparto della Difesa in Italia? Quali sono, a vostro parere, le emergenze da affrontare in questo settore?   

 

«Il problema principale è la mancanza di progettazione e di coerenza. Vediamo come si parli di difesa europea ma poi si investono miliardi in sistemi d’oltre oceano. Si usano parole di pace ma non si ha il coraggio di alzare la voce sui genocidi che avvengono nel mondo, soprattutto se sono dei partner commerciali a praticarli. Si continua a parlare di dual use ma si saccheggia il Ministero dello sviluppo economico per finanziare progetti prettamente militari. Prima di tutto bisogna rimettere ordine in tutto questo è iniziare a recuperare una sovranità militare che risponda alle esigenze dell’Italia e meno a quelle di altri Paesi».

 

Come è cominciato l’interesse personale su questi temi?

«Ho avuto la fortuna di avere dei professori di diritto internazionale con idee innovative in materia di interventi militari e delle responsabilità dei singoli Stati. Questo si è automaticamente incastrato con il lavoro di parlamentare e le interpretazioni distorte che si fanno di trattati e leggi che sulla carta tutelano l’uomo e i suoi diritti ma che vengono facilmente scavalcate».

 

Chi affronta seriamente questi argomenti non avverte, spesso, la mancanza di un sostegno reale da parte di un’opinione pubblica che magari si indigna temporaneamente per poi accettare l’irrimediabilità di una situazione impossibile da cambiare?

 

«Fortunatamente l’Italia ha un animo fortemente pacifista, non tutti lo sono “a tempo pieno” ma, se ben indirizzate, queste forze possono essere dirompenti. Le materie trattate dalla Difesa sono spesso ostiche e tecniche ed è difficile quindi raggiungere un ampio pubblico ma o vogliamo porre rimedio anche a questo ostacolo con una grande operazione di trasparenza che avvicini il mondo militare a quello civile».

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